ALLA SCALA VA IN SCENA SOLO IL CORO (DI PROTESTE): “A TOKIO ABBIAMO OFFERTO UNA SERIE DI LUOGHI COMUNI”

Annachiara Sacchi per "Il Corriere della Sera"

Il messaggio è violento: «Troppo marketing, poca qualità artistica». In Giappone hanno incassato gli applausi e il costante tutto esaurito. A Milano, smaltito il fuso orario e dimenticati inchini, sayonara e toni trionfali, è rimasta la rabbia: la tournée della Scala nel Sol Levante (appena conclusa) non è stata «un'operazione di esportazione culturale, ma un'offerta di luoghi comuni internazionali».

Questo hanno scritto orchestra e coro in una lettera datata 30 settembre e indirizzata al presidente della Fondazione Scala, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Poche righe dalla forma impeccabile e dai toni durissimi: «Il progetto commerciale è stato brutalmente anteposto alla scelta qualitativa».

È stata comunque la tournée dei record. Venti recite sold out; Falstaff nella nuova regia di Robert Carsen diretto da Daniel Harding; Rigoletto e Aida (questa in forma di concerto) guidate da Gustavo Dudamel; cinque recite del balletto Romeo e Giulietta; quattro concerti sinfonici; 462 persone impegnate negli spettacoli che si sono susseguiti dal 4 al 25 settembre tra Tokyo, Osaka, Nagoya; 53 mila spettatori, un esercito di fan su Twitter e Facebook.

Grande programma e grande cast per l'ottava presenza della Scala in Giappone dal 1981. Eppure, a freddo e intra moenia, orchestra e coro non se la sono sentita di fare finta di nulla. Lunedì, pochi giorni dopo il rientro, hanno inviato la loro lettera a Pisapia. In copia, al consiglio di amministrazione del teatro e al sovrintendente e direttore artistico, Stéphane Lissner.

Prima staffilata, il programma. Più da festival del bel canto che da «teatro più importante del mondo». «Fino a oggi la Scala in Giappone - comincia la lettera - si faceva portavoce di un'esportazione culturale di altissimo livello volta a diffondere la particolarità della tradizione musicale italiana.

Abbiamo condiviso lo spirito dell'operazione credendoci e sforzandoci di dare il meglio della nostra professionalità, ma siamo costretti a riconoscere una perdita forte di identità tanto culturale quanto artistica: il progetto commerciale è stato brutalmente anteposto, negli schemi e nelle modalità, a quello più alto della scelta qualitativa in termini di accuratezza musicale».

Se l'operazione non è naufragata è perché la riuscita è stata «demandata alla serietà di pochi singoli artisti navigati e scrupolosi e all'esperienza dell'Orchestra e del Coro, depositari unici di un senso di responsabilità musicale». È chiaro che con un Leo Nucci, che in questo tour interpretava il suo Rigoletto numero 493, non si potesse andare così male. Ma i nomi importanti non bastano. E infatti, continua lo sfogo, «ben poco hanno potuto fare i due direttori d'orchestra coinvolti (Harding e Dudamel, ndr), sia per la mancanza di tempo, sia per la completa assenza di figure autorevoli che vigilassero».

Tradotto, orchestra e coro volevano Lissner. In loco. Quanto meno per evitare una trasferta segnata da «inadeguatezza del livello artistico e banalizzazione di un'idea musicale prettamente italiana quasi facessimo parte di un sistema di svalutazione adatto solo a una volgarizzazione mediatica». Con quell'«offerta di luoghi comuni internazionali di cui la scelta di alcuni cantanti è stato l'apice». Nel cast c'erano, tra gli altri, Ambrogio Maestri, Barbara Frittoli e Daniela Barcellona.

Un gioiello che nasconde troppe imperfezioni, ecco la Scala in Giappone. Ma coro e orchestra non si limitano alle proteste: rilanciano indicando alcune condizioni imprescindibili per andare avanti in futuro: «Presenza del sovrintendente e del direttore artistico; rigore nella preparazione dei cantanti; accuratezza nella scelta dei programmi; prove non improvvisate con cast dimezzati e acustiche improponibili; preparazione dei direttori sullo spirito reale della tournée». Se non è una dichiarazione d'amore per la Scala, le si avvicina molto.

 

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