DAGO, CRITICO MUSICALE – CERTO, “QUELLI DELLA NOTTE”, DAGOSPIA COME NO, MA ‘’L'UNICA PASSIONE È LA MUSICA’’ – ‘’IL PRIMO SHOCK È STATO ELVIS, LUI NON SEGUIVA LA MUSICA MA IL SUO FALLO’’ - UNA COSA È SUONARE, UN'ALTRA È IL SUONO. QUANDO RECENSIVO MI IRRITAVA IL FATTO CHE IN ITALIA C'È QUESTA TENDENZA A PARLARE PREVALENTEMENTE DEI TESTI - L’ULTIMO SUSSULTO NELL'83 CON ‘’BLUE MONDAY’’ DEI NEW ORDER…

Francesco Adinolfi per "Alias - il manifesto"

Roberto D'Agostino, 65 anni, collezionista seriale, vive a Roma nell'attico più bello del mondo. Tre piani di irresistibile e vertiginoso accumulo ultrapop in cui convivono: «due divani fallici comprati da un porno shop tedesco e pagati tantissimo», cristi di ogni genere e foggia («io sono credente»), una croce lignea (opera d'arte di Alan Vega, Suicide), una quantità sterminata di action figure recenti e d'epoca, un flipper dei Rolling Stones che quando si accende parte Miss You, quei juke box da infarto (tra cui un Seeburg del '46), l'oggettistica di Mao («sono un collezionista del Grande Timoniere»), 20mila vinili sistemati per terra e relativa sala d'ascolto (con mega poltrona davanti a un muro su cui troneggia un «Wurlizer speaker» d'epoca, tutto luci e liquido circolante a bollicine). E ancora chitarre (una di Jack White) e mille altre cose. Tra le chicche in arrivo, un orinatoio rosso fuoco («va in salotto come oggetto da collezionemica in bagno») che ritrae la tipica bocca dei Rolling Stones.

D'Agostino è noto per essere stato un critico musicale e per ‘Quelli della notte'; di sicuro verrà ricordato per Dagospia ma «l'unica cosa di cui mi intendo è la musica». Benvenuti a Dag Vegas, dove «qui dentro è tutto un altarino».

LO SVEZZAMENTO
Il primo shock è stato Elvis; Hound Dog mi ha scoperchiato il cervello. Ci metterei anche Jailhouse Rock, Mystery Train e That's Alright. Se confronti quest'ultimo pezzo con l'originale di Big Boy Crudup del '46 capisci cos'è il dopoguerra, c'è uno scatto in quella voce, un'urgenza che si ritrova poi in Jerry Lee Lewis o in Little Richard; meno in Chuck Berry, il «papà» di Keith Richards, che è un genio della scrittura ma non un genio vocale.

Il mio svezzamento avviene con Elvis, con quella voce piena di sfumature black, tipiche del sud degli Stati Uniti: non c'è Paul McCartney o Jagger che tengano. Penso che l'Elvis prima del militare ci abbia regalato solo gemme. Elvis aveva una voce che se ne fregava della musica che lo seguiva; prima arrivava lui e poi Scotty Moore, il chitarrista che lo accompagnava, da cui discende Jimmy Page.

Il vero accompagnamento di Elvis era il bacino, lui non seguiva la musica ma il suo fallo. Era The Pelvis. Per questo quando sono arrivati i Beatles non mi hanno molto impressionato: il testosterone che conteneva la voce di Elvis non aveva eguali, quelli erano eunuchi al confronto.

IL SUONO
Una cosa su cui ho sempre insistito è il suono, anche quando ho iniziato a scrivere di musica collaborando nei primi '70 prima con il situazionista Angelo Quattrocchi e poi con Ciao 2001, Popster o Rockstar. Ad esempio quando ho formato il gruppo Tina & The Italians - con alcuni colleghi giornalisti e con la mia exmoglie Tina Semprini - mi interessava il gioco del mixaggio.

Il suono. Io sono un patito di Phil Spector e il suo wall of sound per me è un culto. Quando Spector vuole creare le sue sinfonie da tre minuti con le Ronettes quello che ha in mente è dar vita a un suono. Allo stesso modo quando ascolto i pezzi Motown, ad esempio delle Supremes, mi domando come fosse possibile mixare batteria e basso in quella maniera così granitica, massiccia.

Penso che la creazione di un suono è insieme alla voce quello che realmente fa la differenza. Creare un suono è come creare uno stile letterario, un stile di abbigliamento. Lo stesso Keith Richards nella sua autobiografia racconta che in Some Girls «abbiamo ritrovato un suono». Una cosa è suonare, un'altra è il suono.

Quando recensivo mi irritava il fatto che nel nostro paese c'è questa tendenza a parlare prevalentemente dei testi. Per questo non ho mai capito i nostri cantautori, o almeno all'epoca quando recensivo. Del resto Greil Marcus ha scritto un libro solo su ‘Like a Rolling Stone', il pezzo di Dylan, perché quella canzone crea un suono. La voce di Dylan, anche sgradevole, diventa parte di un suono.

Che mi importa di cosa parla un pezzo, mi interessa il suono, la parola è il suono. Quando ascolto Peaches and Regalia di Frank Zappa, sull'album ‘Hot Rats', lì c'è la creazione di un suono, c'è Edgard Varèse e mille altre influenze. Se senti un 78 giri di Elvis capisci come siano riusciti a testimoniare qualcosa su un pezzo di plastica. Noi abbiamo una critica musicale che non parla mai del suono che è invece la cosa che riceviamo. E comunque non percepisco un suono nuovo, escono nuovi cantanti ma non c'è un suono nuovo; l'ultimo forse è Fatboy Slim che ha fatto tantissimo per cercare nuove strade.

FRANK ZAPPA
Quando si arriva a Zappa e a Captain Beefheart allora vuol dire che il rock è diventato adulto. Quando con Paolo Zaccagnini facemmo radio per la prima volta a Radio Blu mi ricordo che passammo tutta la discografia di Zappa: eravamo cresciuti. Così come con Elvis torni indietro al blues, così come con i Rolling Stones arrivi al suono elettrico di Chicago, con Zappa scopri Varèse o John Cage.

Il juke box di Zappa ci ha aperto ascolti e letture. Del resto prima o poi si tende a tornare alle radici di quello che ti ha eccitato. Ad esempio per capire il blues ho letto Alan Lomax dall'inizio alla fine.

BEAT & 1968
Nel 1965 iniziò Bandiera Gialla, lì arrivavano dischi import che sembravano gioielli, cose che ti aprivano la mente. Ad esempio rimasi sconvolto dall'album Santana; non avevo mai sentito quel miscuglio di suoni latini e rock.

Un anno prima, nel '64, il movimento beat a Roma era rappresentato da 100 ragazzi al massimo. Ci riunivamo nelle cantine e poi nel '65, con l'apertura del Piper, andavamo tutti lì a ballare. Diventammo un fenomeno di costume. Quelli di Bandiera Gialla attingevano dal Piper per il pubblico, e noi da lì ci spostavamo a via Asiago (dove si registrava il programma), con la circolare, il tram.

Per quanto mi riguarda io ho ballato per due anni con i Collettoni di Rita Pavone e con lei ho fatto due film, ‘Rita la zanzara' e ‘Non stuzzicate la zanzara', regia di Lina Wertmuller. Sempre con i Collettoni ho partecipato allo show tv del sabato sera di Rocky Roberts, Stasera mi butto. Il mondo era quello del Piper. Tra i ballerini c'erano nomi noti come Renato Zero, al tempo ancora Fiacchini.

Una sera io e Renato uscimmo dal Piper e ci accompagnò in Cinquecento un nostro amico; all'incrocio con via Sicilia, a Roma, ci scontrammo con un'altra macchina e finimmo dritti nel negozio delle pompe funebri Zega. Fummo portati al Policlinico, io ricoverato al reparto maschile e Renato in quello femminile.

Di quegli anni ricordo benissimo i viaggi a Londra; mi sembrava di essere su Marte; le scarpe, le t-shirt, niente di quella roba esisteva in Italia. Per molti di noi gli anni Sessanta sono finiti col '68, con l'ideologia. Ci fu una diaspora, chi andava in India, chi negli Usa, chi a Londra. Noi eravamo una cultura anarco-situazionista, il nostro libro di riferimento era ‘'La società dello spettacolo'' di Guy Debord, un libro anti-ideologico.

Il '68 fu un salto all'indietro rispetto a quanto scritto in quel testo, gli stessi slogan erano così superati. Per me chi è partito dal '68 non è mai passato attraverso i fondamentali della musica: Elvis, Beatles, Rolling Stones, Zappa, Hendrix. Quello era un tragitto che arrivava dritto alla società dello spettacolo, al situazionismo e con il '68 non fu così. Rimasi totalmente spiazzato.

Certo anche qui molto dipendeva dall'età. Va da sé che eravamo tutti compagni ma del resto la sinistra non è mai stata un monolite e al tempo c'erano più sigle che militanti.

SUSSULTI
L'ultimo ce l'ho avuto nell'83 con Blue Monday dei New Order. Quando faccio il dj i ragazzini che oggi ascoltano Skrillex impazziscono. Lì c'è un suono che rispecchia l'elettricità del tempo. Ho apprezzato anche i Gossip ma nulla di sconvolgente e Antony and the Johnsons anche se è un po' stucchevole.

X FACTOR
È solo bubble gum music. Mio figlio che ha 17 anni e studia chitarra e pianoforte nemmeno sa cos'è X Factor; i ragazzini di quell'età o ascoltano robe vecchie o vanno in club dove c'è elettronica nuovissima. Lo shock per lui è stato un concerto dei Red Hot Chili Peppers. È da lì che ha voluto una chitarra. Riascoltando i dischi con John Frusciante è poi arrivato a Jimmy Page.

 

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