1- SE GARIMBERTI E IL CDA VOGLIONO SOSTITUIRE MINZO DEVONO VOTARE UNA DELIBERA IN TAL SENSO. LA SCORCIATOIA ATTRAVERSO UN PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE DEL DG LEI È FUORI DALLE NORME. IL DG PUÒ DI SUO DARE A MINZO FINO AD UN MASSIMO DI 10 GIORNI DI SOSPENSIONE, COME FECE A SUO TEMPO SADO-MASI CON SANTORO 2- E NON È VERO CHE IL DG PUÒ TOGLIERE L’INCARICO A MINZO APPLICANDO IN VIA ESTENSIVA LA LEGGE DEL 2001 SUL PUBBLICO IMPIEGO. ALLORA IL SUCCESSORE DEL DIRETTORISSIMO SI DOVREBBE TROVARE PER CONCORSO PUBBLICO (SAI LE RISATE!) 3- COSA RESTA DEL TGMINZO: NOTIZIE SCOMPARSE, ASCOLTI AI MININI, LITI IN REDAZIONE 4- “SALTANO I DIRETTORI”, COMMENTA UN VETERANO DI REDAZIONE, “S'INFRANGONO LE ALLEANZE, MA AL TG1 TRIONFA SEMPRE LA MEDESIMA QUALITÀ: L'ARTE DI ADATTARSI…” 5- OLTRE AI SOLITI NOMI NOTI CHE GIRANO PER IL POST-MINZO (ORFEO, CALABRESI, PREZIOSI, MACCARI, SORGI, ETC), MIELI LANCIA IL NOME DI MASSIMO FRANCO, CORRIERE DELLA SERA

1- DAGOREPORT
I direttori dei TG in Rai sono nominati dal CDA su proposta del direttore generale. Secondo un principio generale del diritto positivo italiano "chi nomina revoca" (contrarius actus) quindi solo il CDA può togliere l'incarico a Minzo.

E non è vero che può farlo il DG applicando in via estensiva la legge del 2001 sul pubblico impiego che semplicemente e palesemente non è valida per la Rai anche perché se fosse valida allora il successore di Minzo si dovrebbe trovare per concorso pubblico o comunque con una "trattativa di pubblica evidenza" (sai le risate!).

Quindi se il presidente e il CDA Rai vogliono sostituire Minzo devono votare una delibera in tal senso. La scorciatoia attraverso un provvedimento disciplinare del DG è fuori dalle norme. Il DG può di suo dare a Minzo fino ad un massimo di 10 giorni di sospensione come fece a suo tempo Sado-Masi con Santoro.

PS - Oltre ai soliti nomi noti che girano per il post-Minzo (Orfeo, Calabresi, Preziosi, Maccari, Sorgi, etc), Paolino Mieli lancia il nome di Massimo Franco, notista del Corriere della Sera)

2- MAMMA RAI OFFRE A MINZO...
Da Lettera43.it -
L'offerta è di quelle che difficilmente si possono rifiutare: mantenimento dello stesso stipendio, 550 mila euro all'anno, conservazione del grado, direttore ad personam non facente funzione, alloggio di servizio a completa disposizione pagato dall'azienda, tanto a New York quanto a Parigi, auto di servizio con autista, nessun vincolo d'esclusiva in modo da poter conservare e ampliare le collaborazioni, più accessori e benefit vari.

Tanto propone mamma Rai al direttore del Tg1, Augusto Minzolini, per abbandonare le telecamere. Un' operazione che Lorenza Lei, direttore generale di Viale Mazzini e Paolo Garimberti, presidente della medesima azienda, vorrebbero chiudere il prima possibile per il bene di tutti, dicono. Ma è giusto ricordare che a fine marzo scade il mandato dell'attuale consiglio di amministrazione e quello del direttore generale Rai. E sia la Lei sia Garimberti sono alla ricerca della conferma.

3- COSA RESTA DEL TG1 MENTRE L'IMPERO DELL'AUGUSTO DIRETTORE SEMBRA GIUNTO ALLA FINE
Riccardo Bocca per "l'Espresso"

Rinviato a giudizio. È la severa formula con cui è stata decapitata, martedì 6 dicembre, la direzione di Augusto Minzolini. Comunque finisca, il processo al grande capo del Tg1, rimarrà indelebile il pollice verso del gup, il giudice delle udienze preliminari Francesco Patrone, per il quale l'ex segugio di Montecitorio dovrà rispondere in tribunale di peculato. Sotto accusa, i circa 65 mila euro spesi in giro per il mondo (e in gran parte restituiti) con carta di credito aziendale.

Un problema che Minzolini, a caldo, ha ribaltato contro mamma Rai, che si costituirà tra l'altro parte civile: "Per due anni", ha fatto notare, "l'azienda non mi ha contestato niente". Ma nella testa di Lorenza Lei, direttore generale della tv pubblica, la strategia era già pronta da settimane: "Punto primo", riassume un dirigente di viale Mazzini, "spostare ben lontano il direttore nei guai". Punto secondo, "trovare un sostituto all'altezza del Monti style".

La prima vittoria da tempo immemorabile, per i resistenti alla gestione minzoliniana. Quasi un 25 aprile, nel ventre del Tg1, con tanto di baci, abbracci e grandi speranze. Ma anche l'ennesima puntata di un confronto feroce, che da giugno 2009 a oggi ha cancellato la serenità in redazione. "Le brigate minzolini", come la schiera degli esasperados ha ribattezzato direttore e staff, "stanno insistendo nel post berlusconismo con la solita procedura: censure, omissioni e chiusura integrale verso i dissenzienti".

Il tutto incupito da ascolti funebri: "Il 27 novembre", illustra Francesco Siliato, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Politecnico di Milano, "il Tg1 delle 20 è piombato al 16,08 per cento: record negativo di sempre". Appena tre giorni dopo, il Tg5 di Clemente J. Mimun ha superato per l'ennesima volta - la settima in un anno - il concorrente pubblico (21,69 contro 21,59). "Ed è un danno serio", analizza Siliato, "non sanabile semplicemente con l'addio di Minzolini. Siamo di fronte, piuttosto, al progressivo cedimento sulla credibilità, a uno sperpero del patrimonio culturale e informativo, con conseguente fuga del pubblico più acculturato".

"Macerie da bombardamenti", le chiamano nel day after gli anti Minzolini. O anche "calunnie, attacchi concimati con malizia politica", come continuano a ribattere i vertici del Tg1. Insomma: punti di vista inconciliabili. Che in questo clima acciaccato, tra amarezze e livori, generano il peggio. Imbarazzante per tutti, ad esempio, è stato il faccia a faccia tra Fedele La Sorsa, 62 anni, volto storico del Tg1 sport, e il traballante Minzo.

"Io mai firmerei un telegiornale come il tuo", ha buttato lì il cronista in riunione. "E allora vattene", lo ha gelato il direttore: "Sono anni che mi rompi i coglioni!". Dopodiché uno s'immagina la rissa, il tracimare della lite con altri insulti. Invece no: a un passo dal precipizio, Minzolini ha corretto il tiro. "Scoppiando", testimoniano i colleghi, "in una risata surreale: come nulla di grave fosse successo".

Episodi spiacevoli, certo, per il più istituzionale dei tg Rai. E anche opposti, nell'insieme, al documento di reciproco impegno che Minzolini ha sottoscritto con l'azienda a inizio mandato. Un foglio che garantiva "informazione completa, corretta e imparziale, capace di rappresentare tutte le componenti di una società democratica". In quelle stesse righe, tra l'altro, il direttore assicurava il pluralismo "nel rispetto della collettività". Senonché s'è visto, com'è finita: sia sul versante della qualità ("Il Tg1 è un cattivo prodotto, tra i peggiori nella storia Rai", ha scolpito il presidente Paolo Garimberti), sia sul fronte ascolti.

Un disagio intenso, costante, a cui finora i minzoliniani hanno risposto serrando i denti. Il vicedirettore Susanna Petruni, ad esempio, non ha ceduto per lo smacco delle poltrone accarezzate (direzioni RaiDue e Tg2) e non afferrate. Paziente, presidia la fascia delle news mattutine, borbottando giusto, di tanto in tanto, che "Augusto, a conti fatti, s'è fatto soprattutto gli affari suoi".

Stessa conclusione, dicono, a cui sta arrivando anche Gennaro Sangiuliano, secondo vicedirettore, ex ragazzo dal cuore nero con testa e mani sul desk politico. "Negli ultimi tempi", scherza qualche sottoposto, "ha smesso di segnalare, per i nostri servizi, l'onorevole Pdl Amedeo Laboccetta (oggi accusato di favoreggiamento per sottrazione di un computer durante i controlli della Guardia di finanza). Ma da qui a ipotizzare che stia mollando la presa", s'affrettano a specificare,"ci passa un mondo: anzi, due".

L'errore più ingenuo, spiegano insomma al Tg1, sarebbe credere che il minzosfascio sia colpa soltanto di chi ha guidato l'ammiraglia. "La responsabilità", al contrario, "è diffusa, e incardinata in ogni snodo della filiera redazionale". Basti pensare, per esempio, all'8 ottobre scorso, mentre per Roma sfilava il maxi corteo della Cgil. "L'edizione delle 17", ricorda Elisa Anzaldo, conduttrice del Tg1 autosospesasi per protesta, "ha taciuto su questo evento in corso da tre ore".

E c'è anche altro. Rivoltasi per chiarimenti a Claudio Fico, terzo vicedirettore, la giornalista ha incassato questa giustificazione: "Non essendoci le immagini, si è deciso di non dare neppure la notizia".

Una tenera bugia, si sosterrà in bacheca redazionale: "Al vidigrafo (strumento per raccogliere i servizi esterni, ndr.) la registrazione dei manifestanti era disponibile già alle 16,50", ha scritto la stessa Anzaldo. Il che non strappa applausi, per il curriculum del primo tg pubblico, ma viste le premesse non riesce a stupire. "Con il trattamento Minzolini", urla la pancia del Tg1, "siamo caduti nel grottesco, nell'accantonamento sistematico dei fatti". Il 28 ottobre, episodio tra i tanti, la Borsa milanese ha vissuto un giorno infelice, come le altre Borse europee. Ma per il Tg1 la notizia, sparata il giorno dopo dai quotidiani, non meritava eccessivo spazio: "L'abbiamo data, senza dettagli, dopo un quarto d'ora di tg".

Lo stesso approccio, più o meno, con cui il 24 novembre si è affrontato il caso di Marcello Dell'Utri, indagato nell'inchiesta sul patto tra Cosa nostra e Stato. Dopo un incipit con freno a mano tirato ("Presunta trattativa Stato-mafia"), lo speaker ha aggiunto che "la procura di Palermo" aveva "iscritto nel registro degli indagati il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri". L'accusa, stando al Tg1, era "di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario". Della serie: chi ci capisce, da casa, è bravo. Molto bravo.

"Ormai", ironizza una firma del settore politico, "al Tg1 non basta essere giornalisti: ci improvvisiamo poeti ermetici". Ed è così che parte il gioco più in voga, in queste giornate, dentro la redazione di Saxa Rubra: quello della guerra. A volte civile, a volte meno. Da una parte, furente, scalpita il blocco degli emarginati; maxi schieramento che ha per bandiere due ex stelle delle edizioni serali, Tiziana Ferrario e Maria Luisa Busi, oggi rinchiuse in una semi nullafacenza.

Dall'altra parte, invece, s'abbarbica il gruppo dei minzo-protetti: "I colleghi promossi e pluripromossi che ballano sul precipizio". Un club in cui spicca, per brillantezza e mestiere, il quarto vicedirettore: Fabrizio Ferragni. Ex pupillo della Margherita, fulcro del Tg1, nonché gestore dei servizi ultralight che concludono il telegiornale: quelli, per capirsi, con argomenti eterni come "L'abbronzatura artificiale può dare dipendenza?", "Allarme rosso per la medusa quadrata" e "Arriva lo scanner per la scarpa su misura".

"Minzolini lo stima tantissimo", è noto in redazione. Eppure, in questo periodo, ha speso tra le scrivanie frasi spiazzanti. "Facciamo un tg penoso", si sarebbe spinto a dire. E sulla stessa prospettiva, proiettata verso il futuro, lo seguono due noti caporedattori: Francesco Giorgino e Filippo Gaudenzi. Entrambi pluridecorati in epoca Minzolini, ed entrambi in forte ebollizione. Il primo, non per niente, ha già intervistato Angelino Alfano, con cui vanta ottimo feeling.

Gaudenzi, invece, ha curato con successo la diretta per l'insediamento del governo Monti: affidata, guarda un po', a colleghi sensibili a Udc e centrosinistra. "Saltano i direttori", commenta un veterano di redazione, "s'infrangono le alleanze, ma al Tg1 trionfa sempre la medesima qualità: l'arte di adattarsi". Al meglio, si spera, ma anche al peggio "che non ha limiti".

 

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