SOLO CHI E’ TECNOLOGICAMENTE NON CONNESSO E’ SOLO – I SINGLE DI IERI SONO GLI SPOSATI DI OGGI

Serena Danna per La Lettura - "Il Corriere della Sera"

Ci sono parole che assumono un significato positivo o negativo per ragioni esclusivamente culturali. Solitudine è una di queste. Eccezion fatta per artisti e poeti, lo stare da soli è legato - suo malgrado - a contesti di disagio e tristezza. Quando va bene, a una fase di transizione che si risolverà nel tepore della coppia.

L'obiettivo di Eric Klinenberg, sociologo della New York University, è riscattare la parola solitudine. Per riuscirci ha trascorso sette anni a studiarne gli attori: i singleton, ovvero le persone che hanno deciso di vivere da sole. Il risultato è Going Solo, libro uscito un anno fa negli Stati Uniti, ma che ancora spunta in molte conversazioni.

Klinenberg, nato a Chicago 42 anni fa, è sposato e ha due figli. Lo chiarisce subito. «Non sono né uno psicologo, né un fan del celibato - spiega seduto alla sua scrivania, al 70 di Washington Square - ma uno scienziato sociale convinto che la sociologia abbia trascurato il più grande cambiamento degli ultimi cinquant'anni: l'aumento inarrestabile e globale di persone - single, separate, sposate, divorziate, fidanzate, vedove - che vivono da sole perché lo scelgono».

Vuole dire che anche gli studiosi hanno ceduto allo stereotipo del single «per scelta di altri»?
«Per pura pigrizia intellettuale abbiamo legato l'aumento dei single al declino della comunità e dei valori familiari, scoprendo infine che la verità è un'altra: la quantità di appartamenti "per uno" è un simbolo di quanto siamo connessi e interdipendenti. Una condizione che favorisce l'indipendenza individuale».

Secondo lei è merito soprattutto della tecnologia e dei social network.
«La tecnologia è uno dei motori del cambiamento in atto: telefono, radio, televisione, fax hanno portato gli altri in casa. Una nuova dimensione esplosa con internet e con i new media, che ci permettono di partecipare, da casa come dall'autobus, a un numero svariato di attività sociali. Una socialità diversa da quella del passato, ma non per questo più debole. Abbiamo sviluppato un rapporto emotivo con i nostri device perché sono il nostro tramite con gli altri».

Eppure la sociologa Sherry Turkle definisce gli uomini connessi tramite la tecnologia «insieme, ma soli».
«Non sono d'accordo. I social media stanno facilitando le relazioni tra gli individui. Li usano abilmente quelli che amano di più interagire con gli altri. Intellettuali come Turkle pensano che trascorrere molto tempo al pc isoli dal mondo, per me è vero l'opposto: i disconnessi sono i veri isolati».

Klinenberg, lei sostiene che i new media abbiano avuto anche il merito di annullare le differenze di genere: può spiegarci in che modo?
«Le donne si sono sempre distinte per una maggiore dimestichezza nello stare da sole. Per noi era molto più difficile, soprattutto dopo un divorzio o una separazione importante. Ma i giovani uomini cresciuti nel web 2.0 hanno migliorato le loro abilità sociali, non si lasciano più trascinare dalle compagne: sono protagonisti della socialità. E forti nella loro indipendenza.

Purtroppo la retorica del "si stava meglio prima" è dura a morire: abbiamo un'attrazione profonda per gli argomenti a favore di un passato segnato da un forte senso di comunità e un presente disgregato. Non nasce oggi: in tutti i secoli la retorica del "si stava meglio prima" è stata capace di attirare attenzione».

Com'era «prima»?
«Cinquant'anni fa i single venivano visti come malati, nevrotici o immorali. Non è più così, anche se gli uomini e le donne tra i trenta e i quaranta senza partner vengono spesso letti attraverso la lente del "se è single deve avere qualcosa che non va". Siamo solo all'inizio di una battaglia culturale.

Ma è importante partire dal presupposto che c'è differenza tra la solitudine e il vivere da soli. La frase più ripetuta dai miei intervistati in Going Solo è "nulla fa sentire soli come stare in una relazione sbagliata". Quella è la vera solitudine».

Descrive un fenomeno che non è solo americano. A Parigi e Stoccolma i non sposati superano il 50 per cento della popolazione, in Italia le famiglie costituite da una persona sfiorano un terzo del totale. Anche in India, Brasile e Cina la crescita di single è proporzionale a quella economica. Essere soli è indice di benessere?
«Laddove c'è, o comincia a esserci, benessere, welfare e le donne sono libere, le persone vivono da sole. Solo un collasso economico potrebbe portarci a ricominciare a vivere insieme»

La crisi economico-finanziaria ha ridimensionato il fenomeno?
«Solo in parte. La tendenza resta la stessa: a New York, come in tante città occidentali, il business, dal turismo al cibo fino al mercato immobiliare, cresce sui single. Nessuno ha mai "corteggiato" le donne nubili come Barack Obama e Mitt Romney alle ultime elezioni politiche: i politici hanno capito che sono una risorsa economica e culturale unica per gli Stati Uniti.

La popolare serie televisiva Mad Men ci ha ricordato quanto fosse frustrante, ma allo stesso tempo "normale", essere infelici in famiglia, nel matrimonio, negli anni Sessanta».

«Sex and The City», serie televisiva cult andata in onda per la prima volta alla fine degli anni Novanta, rappresenta il ritratto patinato delle single americane; mentre la recente «Girls», alla sua seconda stagione sul canale Hbo, sembra il prodotto tv perfetto della crisi economica.
«Girls è la versione matura di Sex and The City e segna proprio il passaggio di consapevolezza di cui parlavamo.

Il primo è la storia di quattro over trenta alle prese con sesso e bellezza in una società opulenta e piena di opportunità: vivono in case fantastiche, indossano abiti bellissimi, lottano per trovare un equilibrio tra carriera e hobby. E intanto cercano "Mister Big". Il punto è che alla fine la storia si sbilancia tutta verso la ricerca del partner, fino a toccare la disperazione. Gli spettatori scoprono che, in fondo, l'unica cosa a cui tengono davvero le amiche è la presenza di un uomo.

La serie di Lena Dunham sposta la scena da Manhattan a Brooklyn. Le quattro ventenni protagoniste stentano a trovare un lavoro, sono costrette a vivere insieme per mancanza di soldi, non hanno fiducia nel futuro né nell'America, ma solo in loro stesse. Hanno con l'altro sesso un rapporto consapevolmente irrisolto, sono molto lontane dal vedere nella coppia la soluzione dei loro problemi. Sono libere. Anche di stare male».

 

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