1. LA VIA CRUCIS DELL’ALCOL, MEGLIO NOTA COME ‘PUB CRAWL’, È IL TERRORE DELLE MADRI USA: UN FENOMENO CHE A ROMA HA GIÀ PROVOCATO 4 MORTI, TUTTI STUDENTI VENTENNI 2. IL MOTTO DEGLI ORGANIZZATORI: ‘BEVI QUELLO CHE VUOI, QUANTO VUOI, FIN QUANTO PUOI’ (IN ITALIA LE REGOLE SUGLI ALCOLICI SONO PIÙ PERMISSIVE RISPETTO, AD ESEMPIO, AGLI STATI UNITI E GRAN BRETAGNA, DOVE L’ETÀ MINIMA PREVISTA E’ 18 ANNI) 3. IL “TOUR CHE UCCIDE” STRISCIA SENZA SOSTA TRA I LOCALI SEGUENDO I PERCORSI DISEGNATI SULLE MAPPE DEI PUB CRAWL, EVENTI ORGANIZZATI TUTTE LE SERE CON UN UNICO OBIETTIVO: FAR CONSUMARE AI RAGAZZI LA MASSIMA QUANTITÀ DI ALCOOL (E DI EURO) POSSIBILE 5. NOTTE DI FOLLIE A SAN PATRIZIO: 12 PUB IN 12 ORE, IN PREMIO UN VIAGGIO A DUBLINO!

1. I FORZATI DEL PUB CRAWL, TOUR CHE UCCIDE
Marco Ciaffone e Anna Maria Liguori per ‘La Repubblica-Roma'

"When in Rome". È il motto inglese che sottintende movida, notte da sballo, modernissima Dolce vita. Vuol dire anche "quando sei a Roma fai come i romani ma bevi come vorresti fare in patria". Bevi quello che vuoi, quanto vuoi, fin quanto puoi. E anche oltre. «Roma o Italia. Paese senza legge» dice Cris, 19 anni del Texas, in uno stentato italiano. È nella capitale per seguire un corso di sei mesi, abita a Trastevere insieme a cinque amici, poteva andare altrove ma qui da noi c'è un mito irrinunciabile: il pub crawl.

Lo conoscono tutti ormai, italiani e stranieri. Un fenomeno che a Roma ha provocato già quattro morti: l'ultimo John Durkin, statunitense, 21 anni, trovato sui binari della ferrovia a Trastevere a febbraio scorso; Andrew Keith Carr, statunitense, 21 anni, caduto dal parapetto del lungotevere Tebaldi a novembre 2013. Poi nel luglio del 2012 un altro giovane americano di origini coreane, 19 anni, Han Kwang Kee, caduto dal parapetto di Tor di Nona con una maglietta "Pub crawl". Il primo caso nel 2009, australiano, 20 anni, Keith Jason Scorer, morì nello stesso modo, vicino a ponte Cavour.

Ma ora il "tour che uccide" come lo chiamano le mamme americane sui loro blog, è diventato un business preciso, dilagante e inarrestabile come tutte le cose che corrono sul web. La movida «striscia» senza sosta tra i locali della capitale seguendo i percorsi disegnati sulle mappe dei pub crawl, eventi organizzati tutte le sere con un unico obiettivo: far consumare ai ragazzi la massima quantità di alcool (e di euro) possibile.

I tragici casi di cronaca e le ordinanze non sembrano aver influito sull'organizzazione delle serate a cui si partecipa con la semplice compilazione di un modulo online. Due i principali spazi nei quali vengono reclutati i giovani dello "sballo alcolico estremo": www.pubcrawlrome.com (insieme al gemello www.barhoprome.com), il secondo è la piattaforma www.colosseumteam. com.

Al sito si accede attraverso uno spazio di prenotazione online nel quale indicare nome, email, numero di telefono, paese di provenienza e numero delle persone; con una cifra tra i 20 e i 25 euro si acquista un pacchetto nel quale è compresa una guida tra i pub che hanno l'open bar e uno spuntino a base di pizza. In ogni locale si viene accolti da uno «shot» di superalcolico e, dove non c'è l'open bar, si pagano i drink di tasca propria.

Le informazioni interamente in inglese rendono subito l'idea di chi siano i reali destinatari di una tale offerta di «feste supreme»: gli studenti americani a Roma. Certo non mancano giovani provenienti da altri paesi europei (gli organizzatori sono sempre a caccia di persone che parlano anche svedese, portoghese, danese e tedesco) e anche gruppi di italiani, ma l'incidenza dei ragazzi provenienti dagli Stati Uniti sembra essere ancora maggiore, tanto che la pericolosità di certe dinamiche alcoliche è finita da tempo sotto la lente degli studiosi di oltreoceano, preoccupati dalla possibilità che i giovani americani possano abusare delle regole più permissive in fatto di alcolici vigenti nelle città italiane rispetto, ad esempio, all'età minima prevista negli Usa per bere alcolici.

Curioso come il titolo di uno studio condotto dall'American Psychological Association nel 2010 abbia lo stesso titolo dello slogan che campeggia sulle magliette esposte come trofei dai ragazzi ritratti nelle foto sulle pagine Facebook delle organizzazioni: «When in Rome». Appunto. Per variare l'offerta, ogni serata ha un proprio tema.

È così che il martedì diventa il «sex and the city tuesday», con un titolo che fa il verso alla celebre serie televisiva americana e promette, oltre all'open bar e a speciali magliette celebrative, giochi a base di alcool come i «body shots», le bevute sul corpo dei propri compagni di viaggio, e il mercoledì, semplicemente, è la festa di metà settimana al Colosseo.

Tanto quello che resta invariato è il canovaccio delle serate: bevute senza limiti alla caccia di un effimero premio, spesso con tempi contingentati. «Tutto quello che riesci a bere in un'ora», recita la locandina di una delle serate. È così che alla fine i ragazzi che non si reggono in piedi. Strisciano sui binari delle stazioni, lungo i parapetti del Tevere, sull'asfalto in mezzo alla carreggiata. E lì restano per sempre.

2. IL RECORD DI 12 PUB IN 12 ORE: ECCO LA FOLLE NOTTE DI SAN PATRIZIO
Marco Lodoli per ‘La Repubblica- Roma'

Le premesse del St. Patrick's Day, la grande festa irlandese per il loro santo nazionale, mettevano addosso una certa preoccupazione: alcuni pub hanno lanciato la Maratona della Birra, dodici pinte in dodici ore per partecipare all'estrazione di un viaggio gratis a Dublino. C'era da immaginarsi una carovana mezza sbandata in giro per Roma, ubriachi che vomitano e pisciano qua e là, forse qualche rissa, forse qualche ragazzo completamente obnubilato dall'alcol disteso sui parapetti del Lungotevere, e poi giù di sotto, come purtroppo è già capitato.

Insomma, una festa impregnata di birra può facilmente degenerare, dodici pinte in dodici ore possono diventare la via crucis dell'alcol, forse c'è un modo migliore per ricordare l'Irlanda in questo giorno speciale. Mi sono tornate alla mente le canzoni e le immagini dei Pogues, la formidabile band irlandese di Shane MacGovern che negli anni Ottanta era sempre in bilico tra il punk-folk e l'autodistruzione alcolica.

Per capirne di più sono andato a controllare di persona cosa accadeva all'Highlander Pub di via di San Biagio, che i volantini indicavano come punto di partenza per questo viaggio al termine della notte. D'altronde, san Patrizio o meno, pare sia diventata un'abitudine il cosiddetto Pub Crawl, ossia il pellegrinaggio organizzato tra i santuari cittadini dell'ebbrezza, un locale e una birra, un altro locale e un'altra birra e via così, finché il fegato e le gambe reggono.

Non sono passeggiate spontanee, serate matte venute fuori per caso: si tratta proprio di viaggi metropolitani studiati a tavolino tappa dopo tappa, o forse tappo dopo tappo. Il primo sguardo agli avventori dell'Highlander - per altro, come il nome testimonia, birreria più scozzese che irlandese - mi ha dato qualche apprensione: indossavano quasi tutti una maglietta verde con la scritta "Irish Yoga in Rome" e disegni di personcine accartocciate in strane posizioni tra bottiglie vuote. Non le posizioni dello yoga, ma quelle scomposte degli ubriaconi, raggomitolati su se stessi o persi nel Nirvana dell'alcol. Però ho presto capito che si trattava di uno scherzo, di un buffo richiamo a una tradizione massacrante che per fortuna quasi mai si traduce in realtà.

Certo, fuori dal locale una ragazza ballava da sola, quasi in trance, seguendo la musica del telefonino che teneva in una mano: e nell'altra mano un bicchierone spumeggiante di birra. Un paio di ragazzi parlavano a voce altissima di fidanzate crudeli, in un risentimento forse fomentato dall'alcol. Ma dentro il locale tutto era tranquillo, la maggior parte della gente seguiva su vari schermi la partita della Roma.

Mi sono avvicinato a tre signori con le birre in mano e gli occhi incollati a Totti e De Sanctis: «Ma quanti sono gli irlandesi a Roma?» ho domandato. «E che ne sappiamo noi? Noi siamo di San Giovanni». Ho riproposto la stessa domanda a una coppietta sbevazzante: «Boh, noi veniamo da Centocelle ». Insomma, tre quarti di coloro che festeggiavano San Patrizio erano romanissimi, tremavano più per la possibile rimonta dell'Udinese che per la verde Irlanda.

In effetti, quale irlandese di passaggio a Roma potrebbe ambire a un viaggio a Dublino? Viene da lì, perché dovrebbe sperare di vincere un premio per tornare a casa? «Non è necessario girare dodici pub - mi ha spiegato un ragazzo al bancone, regolamento alla mano - basta che bevano un po' di birra qua e conservino gli scontrini per l'estrazione del premio».

Insomma, la maggior parte dei maratoneti birraioli erano romanissimi e non avevano troppa voglia di fare il giro della città per sbronzarsi e vincere quel viaggio. Al triplice fischio dell'arbitro, tutti hanno esultato, brindando con le loro Guiness, più giallorossi che verde smeraldo, più Daje Lupi che nostalgici dei Pogues e della bella Irlanda!

 

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