VITA, MIRACOLI E DETENZIONI DI “SCIABOLETTA” - È LA SECONDA VOLTA CHE SCAJOLA FINISCE IN CARCERE: LA PRIMA FU NEL 1983, QUANDO, DA SINDACO DI IMPERIA, FINÌ NEI CASINI PER GLI IMPICCI AL CASINÒ DI SANREMO. DOPODICHE’, IL DILUVIO…

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

Cascano le braccia a occuparsi ancora delle disavventure giudiziarie di Claudio Scajola, ma come accade spesso in Italia la demoralizzazione del serial se la combatte con l'incredulità, e quest'ultima, sopraffatta dai ricordi, inesorabilmente defluisce nella consueta commedia. Scajola arrestato? Sì, proprio lui, "Sciaboletta".

Ma a sua volta il buffo e folgorante diminutivo, che da una ventina d'anni evidenzia nel personaggio un impettito sussiego e una melliflua solennità in qualche modo regale, entra subito e di nuovo in conflitto con qualcosa di drammatico, che sta nell'ennesima sua caduta e nel destino stesso del potere: «Egli scava un pozzo profondo/ e precipita nella fossa che ha fatto» (Salmo numero 7). Sul piano contabile è la seconda volta che finisce dentro. La prima nel 1983, quando era giovane sindaco democristiano di Imperia, per gli impicci al casinò di Sanremo.

Sul palazzo comunale compaiono scritte tipo: «Alì Babà e i 40 ladroni». Prime dimissioni, 72 giorni di carcere. Cella singola, con tv, a San Vittore. Lo difende il fratello, già sindaco e come Claudio figlio di Ferdinando, pure lui ex sindaco, nonché capostipite di una dinastia ciociara curiosamente, ma felicemente impiantatasi nella diffidente provincia ligure. Ma a tirarlo fuori è soprattutto il suocero, grande e ricco avvocato. Nel 1989 Scajola è completamente prosciolto.

E ricomincia la scalata, o forse è lo scavo che lo perderà. Per dire il carattere. Nel 2001, quando come premio post-elettorale Berlusconi gli assegna la poltrona di ministro dell'Interno, un giorno Scajola pretende e ottiene di visitare la cella della caserma milanese dei carabinieri di via Moscova dove è stato ospite per qualche giorno.

Così, un po' per non dimenticare e un altro po' per prendersi una soddisfazione. Della vittoria del 2001, del resto, è uno degli artefici. Come coordinatore di Forza Italia nel corso della formazione delle liste ha sbrigato con pazienza e perizia grane inenarrabili.

Guarda caso - oh sorprese degli archivi! - una riguarda proprio Matacena, la cui esclusione minaccia di provocare dalle parti di Reggio una specie di rivolta, anzi per la precisione «un'apocalisse di portata galattica», come prospettato ufficialmente dai berlusconiani locali.

Ma Scajola è fermo e Matacena resterà fuori dal Parlamento. I due s'incontrano a notte fonda: «Gli ho parlato - racconta poi il coordinatore - e ci siamo commossi. Ha capito». Già allora, per la verità, i due non passavano come dei sentimentaloni, anche se con il senno di poi quelle presunte lacrime lasciano immaginare il più enigmatico prosieguo.

A Natale distribuisce i doni ai figli degli impiegati di via dell'Umiltà - toponimo quant'altri mai incompatibile con le sue ambizioni e con i suoi appetiti che in entrambi i casi crescono, crescono, a dismisura. «Io sono nonno Silvio - lo presenta comunque Berlusconi - e lui è lo zio Claudio». Il Viminale è il sogno del comando per antonomasia. La personalissima partita di Scajola ministro è quella di restare un democristiano, ma pagando un adeguato tributo alle vistose forme espressive della monarchia aziendale e patrimoniale del Cavaliere.

Però anche in questo esagera; paragona il sovrano al sole; assicura: «Lui ci ama»; a Porta a porta lo scimmiotta, premette «Mi consenta», sorride, Vespa prova a reggergli il gioco, ma in studio cala il gelo; prima dello sciaguratissimo G8 di Genova incorre in una delle più formidabili gaffe dell'era berlusconiana, quando pensando al «controllo delle frontiere» gli scappa «il controllo delle fioriere».

Accorto, secchione, sbrigativo, un curioso misto di lucidità e d'istinto. La figura minuta, il volto a triangolo da gattone, occhi piccoli, magnetici ed espressivi, la boccuccia perennemente atteggiata in una piega indecifrabile. Come quasi tutti i potenti non immagina, né forse gli interessa di essere buffo. Si laurea pure, a 52 anni, cerimonia da film di Risi.

In Liguria se la tira come nessuno mai da quelle parti. Epiche foto con moglie sulla vecchia Guzzi da lui stesso tirata a lucido. Idilliaco resoconto degli hobby, invero un po' infantili, i presepi, i trenini, la sincronizzazione delle pendole di casa per farle vibrare all'unisono regalandosi, declama pensoso, «un attimo di perfezione».

Esce pure un fantastico opuscoletto a lui dedicato, purtroppo introvabile, il titolo suona oggi piuttosto impegnativo, "La politica del fare". Il ministro è ritratto in tenerissima età, «Una vocazione precoce» recita la didascalia. Nell'introduzione risuona un monito: «Rischiamo di essere nelle mani di mestieranti senza ideali, pronti a vendersi per qualsiasi causa». Eh sì. Un brutto giorno, a Cipro, premette: «Non fatemi parlare».

E poi sostiene che il povero Biagi era un rompicoglioni. La graziosa definizione, oltre a farlo sloggiare dal ministero dell'Interno, resta impressa negli annali della Seconda Repubblica. Ma a pensarci bene, per comprenderla meglio va combinata con l'astrusa formula da lui utilizzata qualche mese prima per liquidare la questione della scorta negata al professore ucciso dalle Br: «Si è appurata una evidente distonia nel circuito valutativo a livello centrale e periferico che è stata fondata, distintamente nelle fasi della concessione e della revoca delle misure di protezione, su parametri non omogenei, il che ha prodotto risultati disomogenei».

Eppure, passato appena un anno, per lavargli la reputazione Berlusconi lo riporta al governo. Nel ministero più inutile che ci sia, l‘Attuazione del programma, cui Scajola ordina la produzione di un cd che in 50 mila copie reclamizza il rispetto e l'aderenza alle promesse del già allora periclitante Contratto con gli italiani.

È in questa fase, 2004, che ormai reso cieco dalla sua smania quasi shakesperiana per gli abissi e i bassifondi di quel potere d'argilla che pure lo schiaccerà, decide di comprarsi una bella casa a Roma, e la "trova" con affaccio sul Colosseo.

Anche in questo caso la storia dell'appartamento acquistato «a sua insaputa » in via del Fagutale è tragicomica. Esplode nel 2010 quando "Sciaboletta" è allo Sviluppo dell'Economia, missione nucleare, poi fortunatamente abortita. Pure qui il più grottesco presagio fa tòc tòc nel vivo delle cronache: ritorna la solita vanità fotografica, lui e signora sorridenti dinanzi alle più gloriosa rovina della storia; quindi parte un carosello di inseguimenti ai condomini vip, Lory Del Santo, che con Scajola ha avuto dissidi per via dell'antenna, e Raul Bova; poi si registrano stentoree promesse di vendita ed evanescenti impegni di beneficenza; sul tutto si deposita la lista dei regali del costruttore Anemone che fissa 100 euro «per frullatore ministro ».

E sono le terze dimissioni. Cui seguono storie minori, il porto di Imperia, città «che dovrebbe farmi un monumento», una certa villa con dei problemi, compresi dei reperti archeologici di incerta provenienza. La fronda a Berlusconi e lo sgretolamento del potere locale. E adesso addirittura il Libano. Comico sgomento per quel po' di esotismo che tinteggia la recidiva; stralunata rassegnazione per l'incredibile durata delle vicende che non sai bene quanto ancora potranno durare.

 

CLAUDIO SCAJOLA CLAUDIO SCAJOLA CON MASSIMO NICOLUCCIIL _FOGLIO_ ACCOMUNA LA BICICLETTA DI MARCO BIAGI CON LA MAGLIETTA _FORNERO AL CIMITERO_scontri G8 SCAJOLA E SIGNORA NELLA CASA CON VISTA COLOSSEOCasa Scajola al colosseoCerchi Casa Chiedi a Scajola Striscione appeso di fronte alla casa con vista sul colosseo

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