ERA MIO FRATELLO - LA COMMEMORAZIONE FUNEBRE DI MONA SIMPSON, LA SORELLA DI STEVE JOBS - “NELLA SCALA DI VALORI DI STEVE AL PRIMO POSTO NON C´ERA IL NUOVO. C´ERA IL BELLO” - “NON SI VERGOGNAVA DELLE SCONFITTE” - “PRIMA DI PARTIRE PER IL SUO VIAGGIO AVEVA GUARDATO LA SORELLA PATTY, POI A LUNGO I SUOI FIGLI, POI LA SUA COMPAGNA DI VITA, LAURENE, POI UN PUNTO PIÙ OLTRE, ALLE LORO SPALLE. LE ULTIME PAROLE DI STEVE SONO STATE: “OH WOW. OH WOW. OH WOW” (COSA AVRA’ VISTO?)...

Mona Simpson per "la Repubblica" (Traduzione di Emilia Benghi)
il testo è stato pubblicato per la prima volta il 30 ottobre 2011 sul New York Times

(Mona Simpson, scrittrice e docente universitaria, ha tenuto questo discorso in memoria del fratello Steve Jobs, il 16 ottobre 2011 in occasione della cerimonia funebre tenuta presso la Memorial Chirch della Stanford University)


Sono cresciuta figlia unica di una ragazza madre. Sapevo che mio padre era di origine siriana e lo immaginavo con il volto di Omar Sharif. Dato che noi eravamo povere speravo che fosse ricco e buono e che prima o poi venisse in nostro aiuto (non avevamo neanche tutti i mobili in casa). Dopo averlo conosciuto mi sforzai di credere che aveva cambiato numero di telefono ed era andato via senza lasciarci un indirizzo solo perché era un rivoluzionario idealista, che tramava per la causa del popolo arabo.

Anche se femminista avevo passato la vita ad aspettare un uomo da amare e che potesse amarmi. Per molto tempo avevo pensato che fosse mio padre. A venticinque anni lo incontrai, ed era mio fratello.

All´epoca vivevo a New York, ed ero alle prese con il mio primo romanzo. Lavoravo per una piccola rivista, in un ufficio grande quanto uno sgabuzzino, assieme a tre altri aspiranti scrittori. Un giorno mi cercò un avvocato - voleva proprio me, la ragazza californiana che assillava il capo con l´assicurazione sanitaria -e mi disse che il suo cliente, un personaggio ricco e famoso, era il fratello che non avevo mai conosciuto. Era il 1985 e lavoravo per una rivista letteraria di avanguardia, ma mi ritrovai catapultata in un romanzo di Dickens e la cosa fece impazzire i miei giovani colleghi.

L´avvocato si rifiutò di dirmi il nome del fratello ritrovato, così in redazione si accesero le scommesse. Il primo in lizza era John Travolta. In segreto io speravo che mio fratello fosse un novello Henry James - qualcuno con più talento di me, con un genio innato.

Poi conobbi Steve. Era un ragazzo della mia età, in jeans. Aveva tratti mediorientali, poteva essere arabo, o ebreo, ed era più bello di Omar Sharif.
Facemmo una lunga passeggiata - scoprimmo che camminare piaceva a tutti e due. Non ricordo molto di quello che ci siamo detti quella prima volta, solo la sensazione che avrei potuto sceglierlo come amico.

Mi spiegò che si occupava di informatica. Non capivo molto di computer. Scrivevo ancora sulla vecchia Olivetti. Raccontai a Steve che avevo idea di comprarmi il primo computer, forse un Cromemco. Meno male che non l´hai ancora fatto, mi disse. Stava per realizzare qualcosa di straordinariamente bello, spiegò, da perderci la testa.

Vorrei condividere con voi un po´ di cose che ho imparato da Steve in questi 27 anni, in tre diverse fasi della sua esistenza. La maturità. La malattia. La morte.

Steve amava quello che faceva. Si impegnava moltissimo nel lavoro. Tutti i giorni.
È incredibilmente semplice, ma vero. Non prendeva le cose alla leggera. Non si vergognava delle sconfitte. Se una persona intelligente come Steve non si imbarazzava a dire «ci ho provato ma è andata male», perché avrei dovuto farlo io? Fu molto doloroso quando lo estromisero dalla Apple. Mi raccontò di una cena con l´allora presidente a cui parteciparono 500 pezzi grossi della Silicon Valley e lui non fu invitato.

Era amareggiato ma continuò ad andare a lavorare in Next. Tutti i giorni.
Nella scala di valori di Steve al primo posto non c´era il Nuovo. C´era il Bello.
Per essere un innovatore, Steve era stranamente fedele. Se gli piaceva una camicia ne ordinava dieci, o cento. Nella casa di Palo Alto ci sono tanti di quei dolcevita neri che basterebbero forse per tutti quelli che sono qui in chiesa oggi.

Non seguiva le mode, non amava le trovate. Gli piacevano le persone della sua età.
Il suo concetto di estetica mi ricorda un aforisma che dice più o meno così: «La moda è quello che oggi sembra bello e domani sarà brutto; l´arte può anche essere brutta oggi, ma sarà bella domani».
Steve ha sempre aspirato a fare cose che fossero belle domani.
Era pronto a non essere capito.

Non l´avevano invitato al ballo. Senza scomporsi salì sulla terza o quarta "iterazione" della sua macchina sportiva nera e andò alla Next, dove assieme al suo team stava inventando, zitto zitto, la piattaforma su cui Tim Berners-Lee avrebbe scritto il programma per il World Wide Web.
Vista la frequenza con cui parlava d´amore poteva essere donna. L´amore era per lui la suprema virtù, il dio di tutti gli dei. Si appassionava alle vicende sentimentali dei suoi collaboratori.

Quando incontrava un uomo secondo lui potenzialmente affascinante gli chiedeva se fosse single e lo invitava a cena: «Così ti presento mia sorella», diceva.
Ricordo la telefonata che mi fece il giorno in cui incontrò Laurene. «È una bella donna, veramente intelligente, ha un cane sai, e la sposerò».

Alla nascita di Reed iniziò ad usare vezzeggiativi a profusione e non ha mai più smesso. Era un padre molto fisico con tutti i suoi figli. Si agitava per i fidanzati di Lisa, gli spostamenti e le gonne corte di Erin, ed era preoccupato che Eve potesse farsi male, sempre attorno ai cavalli, il suo grande amore.
Chi, come me, era alla festa di diploma di Reed, non dimenticherà mai il lento che ha ballato con suo padre.

L´incrollabile amore per Laurene era il suo sostegno. Steve era convinto che l´amore fosse sempre e ovunque presente. A questo proposito non era mai ironico, né cinico, né pessimista. Sto ancora tentando di imparare da lui.

Steve era arrivato al successo in giovane età, e questo a suo avviso lo aveva isolato. Da quando lo conosco gran parte delle sue scelte sono state mirate a demolire i muri che lo dividevano dagli altri. Era una ragazzo della classe media di Los Altos e si innamorò di una ragazza della classe media del New Jersey. A entrambi premeva che Lisa, Reed, Erin e Eve crescessero come bambini qualunque, con i piedi per terra.

La loro casa non era pretenziosa, a dire la verità i primi anni in cui frequentavo Steve e Lo, la cena veniva servita sul prato e a volte consisteva semplicemente di una portata di verdure. Abbondante ma di un unico tipo di verdure. Broccoli, quando era stagione. Conditi in modo semplicissimo, solo erbe aromatiche fresche.

Anche quando era già miliardario Steve veniva sempre di persona a prendermi all´aeroporto. Mi aspettava lì, con indosso i suoi jeans.
Quando uno dei figli lo chiamava in ufficio la segretaria Linetta rispondeva: «Il tuo papà è in riunione, vuoi che te lo chiami?».

Quando Reed insisteva per travestirsi ogni volta da strega a Halloween, Steve, Laurene, Erin e Eve si adeguavano tutti.

Ricordo quando decisero di ristrutturare la cucina della casa di Palo Alto. Ci volle un secolo e intanto cucinavano su un fornellino in garage. La sede della Pixar, che era in costruzione nello stesso periodo, fu terminata in metà tempo. Si fermarono alla cucina. Tennero i bagni vecchi. Ma era stata perfetta come prima casa.

Non voglio con questo dire che Steve non si sia goduto il successo. Se l´è goduto moltissimo, solo con qualche zero in meno. Mi raccontava la soddisfazione di stare davanti alle vetrine del negozio di biciclette di Palo Alto e pensare che poteva permettersi la bici più bella. E la comprava.

Steve era umile. Steve non smetteva di imparare.
Una volta mi disse che se fosse cresciuto in un ambiente diverso forse sarebbe diventato un matematico. Parlava con grande rispetto delle università e adorava gironzolare per il campus di Stanford. Nell´ultimo anno di vita si è concentrato sull´opera di Mark Rothko, un pittore che non conosceva, pensando a immagini adatte a essere riprodotte sulle pareti di una futura università Apple.

Steve coltivava strane passioni. Quale altro C.E.O. sa tutto sulle rose Té inglesi e cinesi e ne predilige una in particolare di David Austin?
Aveva le tasche sempre piene di sorprese. Scommetto che Laurene troverà piccoli tesori -canzoni che gli piacevano, poesie ritagliate e messe in un cassetto - anche dopo 20 anni di matrimonio vissuti con straordinaria intensità. Sentivo Steve quasi tutti i giorni ma era sempre una sorpresa, come quando aprendo il New York Times trovai il servizio sulla scala di vetro. Ero felice.

Steve si è divertito moltissimo, assieme ai suoi quattro figli, a sua moglie, a tutti noi. Sapeva dar valore alla felicità.
Poi Steve si è ammalato e abbiamo visto la sua vita contrarsi in uno spazio ridotto. Prima adorava girare per Parigi. Aveva scoperto un posto a Kyoto dove trovava i soba fatti a mano. Era bravo nelle discese con gli sci. Peggio nel fondo. Tutto finito.

Alla fine neppure i piaceri più semplici, non so, una buona pesca, lo attiravano più.
La malattia gli aveva tolto molto, ma l´energia che manteneva era sorprendente, in quel frangente mi ha insegnato tanto.

Ricordo la sua fatica per riprendere a camminare dopo il trapianto di fegato. Una volta al giorno si metteva in piedi. Sembrava impossibile che potesse reggersi sulle gambe così smagrite. Ma si appoggiava allo schienale della sedia e la spingeva lungo il corridoio dell´ospedale di Memphis verso la sala infermieri, si sedeva un po´ a riposare, poi tornava indietro. Contava i passi e, ogni giorno, aumentava un po´ la distanza. Laurene si piegava sulle ginocchia e lo guardava negli occhi. «Dai, Steve, ce la fai». Lui si concentrava nello sforzo, stringeva i denti, sbarrava gli occhi.

Non si è mai arreso. Ci ha sempre provato. Sempre. E sempre con amore. Era un uomo di grande sentimento.
In quel periodo terribile ho capito che non era per sé che sopportava il dolore. Si poneva degli obiettivi: il diploma di Reed, il viaggio a Kyoto di Erin, il varo di una barca su cui voleva portare tutta la famiglia a fare il giro del mondo e su cui sperava di andare a vivere un giorno con Laurene.

Anche nella malattia si è mantenuto esigente e critico. Ha avuto 67 infermieri prima di trovare le tre anime gemelle che gli sono rimaste accanto fino alla fine. Tracy. Arturo. Elham.

Quando si ammalò di una forma molto grave di polmonite il medico gli proibì tutto, anche il ghiaccio. Eravamo in un normale reparto di terapia intensiva e Steve, che generalmente rifiutava i favoritismi, questa volta avrebbe desiderato un trattamento speciale.
Gli dissi: Steve, questo è un trattamento speciale, sei in un reparto speciale.
Si sporse verso di me e mi disse «Lo voglio un po´ più speciale».

Era intubato, non poteva parlare e chiese a gesti un blocco su cui disegnò un sostegno per l´iPad adatto a un letto d´ospedale. Disegnò nuovi monitor e strumentazioni diagnostiche. Riprogettò quel reparto non abbastanza speciale. E ogni volta che sua moglie entrava nella stanza, sul suo viso si ridisegnava il sorriso.
Per le cose davvero davvero importanti dovete dare retta a me, scrisse sul blocco. Ci guardò. È un ordine.

Voleva che disubbidissimo ai dottori, voleva un cubetto di ghiaccio.
Nessuno di noi sa per certo quanto tempo vivrà. Nei suoi giorni migliori, anche lo scorso anno, Steve si era lanciato in progetti, facendosi promettere dagli amici della Apple che li avrebbero portati a termine. In un cantiere in Olanda un meraviglioso scafo in acciaio attende di essere rivestito in legno. Ha tre figlie da sposare, due sono ancora bambine e lui avrebbe voluto portarle all´altare come ha fatto con me il giorno del mio matrimonio.

Noi tutti, in fondo, moriamo in medias res. Nel bel mezzo di una storia. Di molte storie.
Suppongo che non sia esattamente corretto definire inaspettata la morte di una persona che da anni conviveva con il cancro, ma per noi la morte di Steve lo è stata.
La morte di mio fratello mi ha insegnato che il carattere è tutto: lui è morto come ha vissuto.
Il martedì mattina mi ha telefonato chiedendomi di andare subito a Palo Alto. Il tono era affettuoso, tenero, ma sembrava la voce di chi ha già i bagagli caricati in macchina, sta partendo, ma è dispiaciuto, molto dispiaciuto di andar via

Mi stava dicendo addio e l´ho interrotto. Gli ho detto: «Aspetta. Vengo. Sono già in taxi per l´aeroporto. Arrivo».
«Te lo dico ora perché ho paura che tu non faccia in tempo, tesoro».

Quando sono arrivata stava scherzando con la sua Laurene, due compagni di vita che avevano condiviso tutto, ogni giorno. Guardava negli occhi i suoi figli, senza potersi staccare. Fino a circa le due del pomeriggio è rimasto, a tratti, cosciente. Sua moglie è riuscita a passargli gli amici della Apple.

Poi, dopo un po´, abbiamo capito che non sarebbe più stato con noi.
Il respiro è cambiato. Si è fatto grave, deciso, determinato. Mi sembrava che fosse tornato a contare i passi, a spingere per andare più in là.
E ho capito che stava lavorando, anche a questo. La morte non è arrivata per Steve, lui se l´è conquistata.
Nel salutarmi, dispiaciuto perché non saremmo invecchiati insieme come avevamo progettato , mi aveva detto che andava in un posto migliore.

Il Dr. Fischer gli aveva dato il 50 per cento delle possibilità di arrivare al mattino.
Ce l´ha fatta. Nella notte Laurene, accanto a lui nel letto, più di una volta si è riscossa sentendo il ritmo del respiro interrompersi. Ci guardavamo e poi lui riprendeva, inspirando con più forza.
Anche in quei momenti manteneva il profilo severo, ancora bello, di un sovrano assoluto, di un romantico. Il suo respiro evocava un cammino impervio, una salita ripida, le vette.
Sembrava in arrampicata.

Ma accanto a quella volontà, all´etica del lavoro, alla forza c´era anche il suo lato tenero, lo Steve che sapeva stupirsi, che da artista credeva nell´ideale, in ciò che era ancor più bello dopo. Ore prima aveva pronunciato le sue ultime parole, monosillabi, ripetuti tre volte.

Prima di partire per il suo viaggio aveva guardato la sorella Patty, poi a lungo i suoi figli, poi la sua compagna di vita, Laurene, poi un punto più oltre, alle loro spalle.
Le ultime parole di Steve sono state:
OH WOW. OH WOW. OH WOW.

 

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