ESCO, VADO AL BAR E MI COMPRO LA T-SHIRT DI ESCOBAR - MANCO FOSSE JOHN LENNON O MICHAEL JACKSON, IN COLOMBIA SI FANNO AFFARI CON LA MEMORIA DEL NARCOTRAFFICANTE PIÙ FAMOSO AL MONDO, PABLO ESCOBAR- VA IN ONDA UNA SERIE TV DI 64 PUNTATE SULLA SUA VITA E SUO FIGLIO, DIVENTATO STILISTA IN ARGENTINA, VENDE DELLE MAGLIETTE CON STAMPATI I SUOI DOCUMENTI…

Lorenzo Cairoli per "La Stampa.it"

Quando Caracol Tv annunciò una fiction su Pablo Escobar la Colombia si divise in due. Il rischio era, come in una fiaba araba, stappare un vaso di Pandora dalle conseguenze inimmaginabili. L'incubo dell'apologia, ad esempio. Far uscire il genio (del male) dalla bottiglia. Rivitalizzare la peggiore delle icone colombiane proprio ora che il paese ha scelto la pace e la legalità - come dimostra il tentativo del presidente Santos di negoziare la fine del conflitto con la guerriglia.

Chi aveva investito nel progetto, come la produttrice Juana Uribe, assicurava che la fiction non avrebbe esaltato il mito di Escobar. Al contrario, avrebbe riscattato la memoria delle sue vittime. Ma i vasi di Pandora sono controllabili anche se dietro si celano le migliori intenzioni? E il riscatto della memoria delle vittime doveva passare proprio attraverso 64 episodi di 45 minuti l'uno e attraverso una celebrazione così eclatante?

Ero tra quelli che storcevano il naso. Sapevo che dietro alla fiction c'era un rigoroso lavoro di investigazione giornalistica - alla base un libro come "La parabola de Pablo" di Alonso Salazar, sindaco di Medellin dal 2008 al 2011. E che gli sceneggiatori si erano avvalsi dell'apporto di molti protagonisti di quegli anni neri a Medellin. Come i parenti delle vittime. Camilo Cano, coproduttore della serie insieme a Juana Uribe era il figlio di quel Guillermo Cano, direttore del quotidiano "El Espectador" che fu assassinato dai sicari di Escobar nel 1986. Ma sulla liceità del progetto continuavo a nutrire dubbi. Mai sfidare il passato. Nemmeno in nome della Storia.

Come la favola di Candyman. Innocuo fino a quando non ti metti davanti a uno specchio e scandisci il suo nome per cinque volte. Con Escobar sembra successa la stessa cosa. Caracol ha scandito sessantaquattro volte il suo nome e il Candyman di Rionegro è uscito dall'oblio.

Basta camminare nel suo vecchio barrio, a Medellin. All'ingresso troneggia un gigantesco murales sul quale si legge un inquietante "Bienvenidos al barrio Pablo Escobar. ¡Aquí se respira paz!" - (Benvenuti nel barrio di Pablo, qui si respira la pace). Ovviamente qui tutti lo adorano. Efe Wberney Zabala, uno dei leader del barrio ricorda che Pablo ha regalato case a tutti. "Ti immagini - mi chiede - cosa significhi sopravvivere in una discarica, tra baracche e immondizia e un bel giorno abitare in una casa vera?"

Qui il mito di Pablo non ha mai smesso di pulsare, non ha mai conosciuto flessioni, tradimenti, non ha mai smesso di incendiare i cuori e la memoria dei suoi abitanti. "Per questo il Comune ci tratta come cani in chiesa - si lamenta Efe Wberney Zabala - Ci hanno chiesto di cambiare nome al barrio. Di non chiamarlo più barrio Escobar. Ci siamo rifiutati. Così adesso ci negano i servizi più elementari. Guardati attorno. Non c'è una scuola, un campo di calcio. Pablo non l'avrebbe mai permesso".

La sera il barrio si ferma. La gente si siede davanti al televisore di una tienda, come negli Anni Cinquanta in Italia capitava con "Lascia o raddoppia" o con "Il Musichiere". Però quando incominciano a scorrere i titoli di coda, quasi tutti criticano la fiction. "Ci sono molte cose non vere. E soprattutto troppe omissioni. Perché nessuno ricorda quanti quartieri Pablo creò a Itagüí o a Manizales? Quante case regalò a gente destinata a crepare in strada?"

Ma in questa rievocazione del Candyman colombiano il contributo più interessante lo da la rivista "Semana" e la sua giornalista Laura Ayala con un'intervista al figlio di Escobar. Una vita, la sua, vissuta a lungo in una clandestinità tenace, dove neanche a scandire il suo nome un milione di volte sarebbe mai uscito allo scoperto. Cambiò identità. Scelse di chiamarsi Sebastián Marroquín e si trasferì in Argentina dove studiò architettura e disegno industriale. Oggi è un affermato stilista che da tre anni ha deciso di uscire dall'ombra. "Hanno trasformato mio padre in un supereroe del crimine mentre io vendo solo riflessioni di pace".

Sulle sue t-shirts ha fatto stampare effetti del padre, come la sua carta di identità, la sua patente di guida, le sue carte di credito. Un po' kitsch, per i nostri parametri estetici, ma in Guatemala, Giappone, Australia, Canada e Messico vanno a ruba.

Alla giornalista che lo incalza chiedendogli se tutto questo non finisca per alimentare involontariamente il mito del padre, Sebastian risponde piccato. "Il trend è sempre stato quello di trasformare mio padre in uno Scarface del ventunesimo secolo. La tivù dice che vuole riscattare la memoria delle vittime intanto grazie a mio padre fa audiences da record e guadagna montagne di denaro. Nel mio sito la prima cosa che leggi è la mia condanna al narcotraffico. Consiglio ai giovani di vivere una vita diversa, li invito a non ripetere gli errori della generazione di mio padre.

Non posso cambiare il passato però posso migliorare il presente e il futuro. Ho ereditato da Pablo problemi che non conoscevo. Ora utilizzo la sua immagine nella maniera più rispettosa e riflessiva che posso. Ho passato metà del mio esilio a sognare un mondo migliore. A creare non a distruggere. E così farà anche mio figlio". Tutti suoi capi sono fabbricati in Colombia, a Medellin, ma per rispetto alle vittime sono venduti solo all'estero.

 

maglia DEDICATA A PABLO ESCOBARpablo escobar Medellin Pablo EscobarPABLO ESCOBARPABLO ESCOBAR CON L'ALTRO LEADER DEL CARTELLO DI MEDELLIN JORGE LUIS OCHOA

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