
TETTE DIVINE - LE FEMMINISTE AMERICANE VORREBBERO ARRUOLARE KATY PERRY MA LEI, CHE SUL PALCO FA LA POP-PORCELLINA, RINGRAZIA DIO PER AVERLE REGALATO DUE SUPER-TETTE
Mattia Ferraresi per "Il Foglio"
I suoi doni artistici più noti Katy Perry non li ha ottenuti dal chirurgo plastico, ma dal cielo. Dal Dio onnipotente con il quale ha stabilito fin da bambina una certa confidenza tramite i genitori, due ministri pentecostali che le proibivano di ascoltare le Katy Perry della sua generazione (era inevitabile che poi le cose si complicassero).
Le tette non erano un argomento di conversazione a tavola, così la piccola Katy - undici anni - ha rivolto lo sguardo interiore all'insù: "Mi sono sdraiata supina, una notte, mi sono guardata i piedi e ho pregato Dio. Ho detto âDio, potresti per favore darmi delle tette così grandi che non riuscirò a vedermi i piedi quando mi sdraio? Dio ha esaudito le mie richieste. Non avevo idea che un giorno sarebbero debordate nelle ascelle".
Così, per decreto divino, Katy ha ottenuto due degli argomenti più persuasivi per convincere il pubblico a incoronarla regina incontrastata del pop, fidanzata d'America, legittima erede di Madonna e via dicendo. Com'è noto, le tette per Katy non sono il veicolo della volgarità , ma della creatività : cosa montiamo sul reggiseno al prossimo tour?, si chiede preoccupato il suo staff riunito. Cannoncini che sparano panna montata, un mangianastri vintage, girandole anni Cinquanta che fanno disperare gli assicuratori, perché i capelli possono finire impigliati e finisce che si fa male al collo.
Ma il punto, qui, è più l'origine divina che l'esito umano: siccome la Perry è con ogni evidenza donna di mondo e inesauribile sorgente di ispirazione femminile, tutto questo affidarsi al Chirurgo Onnipotente invece che ai chirurghi ha qualcosa di troppo poco secolarizzato per i gusti di taluni. Ma Katy non era un'epica self-made, roba di ragazze che sanno quello che vogliono e se lo prendono senza chiedere?
Chiedere al cielo ciò che si può ottenere per mano umana appare un eccesso di zelo. Soprattutto se poi nell'intervista a Gq dice che non si è rifatta nulla e il suo "messaggio di self-empowerment arriva da un prodotto al naturale", e che la Geisha - c'è una fase giapponese nella vita di ogni pop star: Perry la sta attraversando ora - è il meraviglioso simbolo dell'amore incondizionato, e si va a tanto così dall'elogio sorridente della sottomissione femminile.
La triade Dio-chirurgia-sottomissione è la prova definitiva per chi l'aspettava al varco. Sapevano che nel cuore di questo simbolo del girl power c'era qualcosa di storto e lei già lo aveva confermato con dichiarazioni improvvide, addirittura velenose all'assegnazione del premio "Woman of the Year": "Non sono una femminista, ma credo nel potere della donna", aveva detto, che è un po' come dire a un capo ultrà "non sono un tifoso, ma credo nel potere del calcio".
La polizia del pensiero femminista aveva ordinato un'immediata perquisizione ideologica, senza trovare alcuna contraddizione esplicita con l'ortodossia ma tanti piccoli indizi che portavano a un'inevitabile conclusione: Katy Perry non è dei nostri. Certo, una menzione della potenza divina non fa di Katy una beghina (il dubbio non aveva sfiorato nessuno), ma qualcosa nel "mindset" diverge rispetto alla scuola femminista classica: perché tirare in ballo Dio quando tutto, innanzitutto le tette, si può spiegare con la teoria del gender?
Perry - questo il cruccio femminista - è un enorme potenziale al servizio della causa, ma è un potenziale espresso soltanto parzialmente, una diva non del tutto arruolata per la battaglia. Una che volentieri agevola a Obama la conquista del Wisconsin - garantisce lei - ma quando si tratta di cose serie sguazza nell'ultramondano, affidandosi a Dio, oppure agli alieni ("quanto ci crediamo importanti per pensare che siamo l'unica forma di vita?") o a qualunque altra cosa pretenda di dare origine a una teoria del tutto, tette comprese.





