ben hur

IL CINEMA DEI GIUSTI - QUESTO REMAKE DI 'BEN-HUR' ALLA FINE, SI VEDE ANCHE VOLENTIERI, LE SCENE D’AZIONE SONO BEN GIRATE, MA SI CAPISCE PERFETTAMENTE PERCHÉ SIA STATO IL FLOP DELL’ANNO...

Marco Giusti per Dagospia

 

Ben-Hur di Tibur Bekmambetov

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Diciamo che la corsa delle bighe è forte, funziona, anche se dura 10 minuti e non 40, e il digitale fa sentire la mancanza del 70 mm. Ha funzionato sempre, del resto. Come la battaglia navale. Anche se è tutta vissuta dal punto di vista dei forzati che remano. Pure il fatto che non sia un pippone religioso, ebreo e cattolico, sta bene. Ma per il resto, questo disastroso/disastrato Ben-Hur, flop da 100 milioni di dollari, diretto non si sa perché dal russo Tibur Bekmambetov, quello dei vitali e violenti Abraham Lincoln: Vampire Hunter e di I guardiani della notte, che mi piacevano parecchio, ha dei seri problemi.

 

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E non solo per il pur continuo paragone che facciamo continuamente col vecchio glorioso Ben-Hur diretto per la Metro Goldwyn Mayer dallo svizzero William Wyler nella Roma del 1959 con Charlton Heston e Stephen Boyd. E quello ci sembrò allora, e sembrò a tante generazioni che lo videro in sala, un capolavoro. Ma, insomma…

 

I lebbrosi sono qui ridotti a una scena ridicola che non fa più paura a nessuno. Il personaggio di Quintus Arrius, il comandante della triremi, lì Jack Hawkins qui James Cosmo, è poco più di una comparsa, mentre nella storia originale ha un ruolo fondamentale, visto che è quello che, salvato da Ben-Hur, lo porterà a Roma trattandolo come un figlio.

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Nella nuova versione si limita a seccare un povero forzato del remo e a scomparire lui stesso nella battaglia navale. Messala, interpretato da Toby Kebbell, già star dentona di Warcraft, cresce come orfanello a Gerusalemme nella famiglia degli Hur, non si capisce bene perché, e non prova affatto per il Ben-Hur di Jack Huston quella forte tensione omo che gli dava sinceramente Stephen Boyd nei riguardi del Ben-Hur erculeo di Charlton Heston.

 

E che spiegava, realmente, la relazione di odio-amore fra i due. Jack Huston, malgrado sia il nipote di John Huston, non ha nulla di quella grandezza da Ercole (ricordiamo che Le fatiche di Ercole con Steve Reeves era uscito nel 1958 e era stato un successo pauroso in tutto il mondo) di Charlton Heston, già Mosé barbuto per Cecil B. De Mille. E questo può anche starci.

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Ma non ha proprio spessore. Jack Huston si limita, quando torna da cinque anni nelle navi romane con i capelli e la barba da Abate Faria a rifare la voce del suo personaggio con metà faccia di Boardwalk Empire. Pochino davvero. E l’odio di Messala per lui diventa incomprensibile. Togliendo tutta la parte di Ben-Hur ospite di Quintus Arrius a Roma, anche la corsa delle bighe, che si doveva svolgere al Circo Massimo viene spostata (aiuto!!!) nella Gerusalemme ricostruita a Matera.

 

Assurdamente, o forse è una scelta concettuale?, poco dietro il Golgota dove muore Gesù Cristo. E i due eventi si svolgono uno dopo l’altro. Questo, abbiamo capito, serve alla produzione per montare in maniera diversa il film per la distribuzione negli stati arabi, dove tutta la parte con Gesù Cristo viene frullata via e si fa vedere solo il finalone con la corsa delle bighe. Ma è un delirio trasportare il Circo Massimo a Gerusalemme con tutto il pubblico festante. Non sono romani. Anche se provocano una buona battuta del prefetto del posto, “sono già diventati romani, vogliono il sangue”.

 

ben   hur  ben hur

Tutto questa compressione degli eventi permette anche una buona battuta dello stesso tipo da parte di Morgan Freeman, che fa il ricco sceicco che offre a Ben-Hur i suoi quattro cavalli bianchi lipizzani. “Come faccio a gareggiare se sono un fuggiasco ebreo?”, gli chiede il povero Ben-Hur che si sta appena riprendendo dopo i cinque anni di frustate attaccato al remo. “So’ romani”, gli risponde più o meno Morgan Freeman, “basta fargli vedere i soldi e si può far tutto”. Neanche fosse Carminati “er cecato”.

 

E così infatti andrà. Anche se l’ex-sindaco Marino, quello vero, malgrado i soldi della MGM, non ha affatto concesso il vero Circo Massimo per le riprese. Quello se lo meritano solo la A.S.Roma e Bruce Springsteen. Sorvoliamo sulla neve che copre Gerusalemme per esigenze di mostrare un 3D finto. Sorvoliamo su Ben-Hur che chiede a Messala perché non gli ha mandato neanche una letterina dalle guerre germaniche (magari una mail, un uatssapp…).

Ben Hur del russo Timur BekmambetovBen Hur del russo Timur Bekmambetov

 

Sorvoliamo anche sull’esercito romano che ruba i pietroni dei cimiteri ebraici per farci il Colosseo (boh? Ma non hanno le cave di travertino vicino Roma?). Ma non si può comprimere Ben-Hur tutto nella Gerusalemme di Matera, già fin troppo sfruttata da Pasolini e da Mel Gibson, senza mostrare Roma. Perché la grandezza del vecchio Ben-Hur stava proprio nel sentire Roma in tutte le salse.

 

Una Roma ricostruita a Cinecittà con 50.000 vere comparse romane. Nel vedere i 60 cavalli scelti da Alfredo Danesi provenienti da tutta Europa per la corsa delle bighe più bella che si sia mai vista al cinema. E poco importa chi l’abbia davvero girata, Yakima Kanutt, Sergio Leone, Mario Soldati. E poco importa chi teneva le redini dei quattro cavalli bianchi di Ben-Hur che Remo Capitani ragazzino curava tutti i giorni (i soldi che si era fatto…).

 

Quei 40 minuti erano tutto quello che aspettavamo da ragazzini. E erano meravigliosi. E Christopher Fry e Gore Vidal, che riscrissero il copione firmato da Karl Tunberg, erano un po’ più preparati di John Ridley che ha riscritto il copione di Keith Clarke. E Charlton Heston era l’unico Ben-Hur possibile. Insomma, questo Ben-Hur di Tibur Bekmambetov alla fine, si vede anche volentieri, le scene d’azione sono ben girate, ma si capisce perfettamente perché sia stato il flop dell’anno. In sala da giovedì.

 

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