1. GRAN FINALE AL VELENO PER IL CINEPANETTONISMO: DE SICA SFANCULA DE LAURENTIIS 2. LA LAPIDE HA PER TITOLO “COLPI DI FORTUNA”, CINEPANETTONE IN TRE EPISODI PROTAGONISTI I NUOVI COCCHI DEL PRODUTTORE NAPOLETANO, CHE DICE A TUTTI DI NON VOLER PIÙ LAVORARE CON ATTORI SOPRA I 50 ANNI: PAOLO E LUCA, GREG E LILLO E IL 50% DEI SOLITI IDIOTI, FRANCESCO MANDELLI, COPROTAGONISTA CON CHRISTIAN DE SICA 3. LA BOMBA E’ STATA ACCESA DA AURELIONE, AUTORE DI SMS AL REGISTA NERI PARENTI NEL QUALE CHIEDE DI DARE MAGGIOR SPAZIO A MANDELLI CHE A DE SICA. APRITI CIELO! 4. DE SICA: “IO E BOLDI POTREMMO INTERPRETARE UN FILM INTITOLATO CINEPANETTONE DOVE SIANO DUE VECCHI ATTORI INCAVOLATI NERI E RACCONTIAMO QUELLO CHE SAPPIAMO DI DE LAURENTIIS, DEI SOLDI, DELLE SIGNORINE DI BERLUSCONI, DELLE RACCOMANDAZIONI…”

1. DAGOREPORT
Gran finale al veleno per il cinepanettonismo d'Italie: con il Natale 2013 termina l'epoca del triangolo d'oro De Sica-De Laurentiis-Neri Parenti. La lapide ha per titolo "Colpi di fortuna", cinepanettone in tre episodi protagonisti i nuovi cocchi del produttore napoletano, che dice a tutti di non voler più lavorare con attori sopra i 50 anni: Paolo e Luca, Greg e Lillo e il 50% dei Soliti Idioti, Francesco Mandelli. Della vecchia guardia rimangono, per un'ultima apparizione, il regista Neri Parenti e Christian De Sica, il quale è pure costretto a dividere il suo episodio con Mandelli.

E arriviamo alla bomba che ha fatto imbufalire Christian con l'intervista al Corriere della Sera. Pare che all'origine la miccia sia stata accesa da Aurelione autore di sms a Neri Parenti nel quale chiede di dare maggior spazio a Mandelli che a De Sica. Apriti cielo! Una volta venuto a conoscenza, Christian ha apparecchiato l'avvelenata. Il bello, anzi il bellum, è che le riprese del film devono ancora iniziare...


2. CHRISTIAN DE SICA DICE ADDIO A DE LAURENTIIS: "SARA' IL MIO ULTIMO CINEPANETTONE"
Paolo Mereghetti per Corriere della Sera

Via il dente, via il dolore! «Il due settembre inizio le riprese di Colpi di fortuna , il mio ultimo cinepanettone. Poi basta: i miei impegni con Aurelio De Laurentiis finiscono qui». E saprà resistere ad eventuali altri contratti? «Non ho intenzione di firmarne altri a lunga scadenza. Penso solo allo spettacolo teatrale che sto scrivendo, "Cinecittà", e che dovrebbe debuttare nel 2014».

A 62 anni, Christian De Sica sa di portarsi addosso un'immagine un po' chiacchierata (diciamo così). Per qualcuno è il commendevole campione di un cinema parolacciaio e detestabile, per altri è il portabandiera di un cinema stracult che esalterebbe la parte bassa e «rabelaisiana» dell'animo umano (chi lo sostiene è un professore universitario irlandese, che ci ha scritto sopra anche un libro: Alan O'Leary). Lui cerca di tenersi in un giusto mezzo: non rinnega il suo passato ma sa ammettere i propri errori.

«Per trent'anni ho fatto sempre lo stesso film, con le stesse situazioni, quasi con le stesse battute: le vacanze, l'aeroporto, le mogli tradite, la droga, gli sponsor, i panorami turistici da inquadrare, i marchi delle auto e delle compagnie aeree da riprendere... Se il pubblico non si è stufato forse un po' di merito è anche mio, di questa faccia che ha continuato a far ridere. Se sei un cane e reciti l'Amleto hai sempre il testo di Shakespeare dietro cui nasconderti. Ma se reciti uno sketch di Amurri, Verde e Costanzo e non sei bravo, non puoi resistere tanti anni».

Ultimamente il pubblico sembrava rispondere meno...
«È vero, gli incassi sono calati ma si sono abbassati anche quelli del cinema italiano in generale, eppure i film che interpreto continuano a essere tra i più visti. Se ho fatto bene i conti, con Colpi di fulmine e Il principe abusivo arriverò a 27 biglietti d'oro. E in quei due ultimi film non dicevo parolacce. Ma nessuno l'ha fatto notare...».

Nel prossimo film di Natale, «Colpi di fortuna», recita in coppia con uno dei "soliti idioti", Francesco Mandelli: tornerà il rischio turpiloquio?
«Il film è in tre episodi, uno con Lillo e Greg, uno con Paolo e Luca e uno con me e Francesco. Io sono un industriale dell'abbigliamento che vuole comprare una preziosissima lana della Mongolia e l'unico che mi può fare da traduttore è appunto Francesco. Che ha un difetto che non conosco: porta una tale sfortuna che nemmeno i suoi genitori passano l'ultimo dell'anno con lui. E io, superstiziosissimo, sono costretto a tenermelo vicino in questa trattativa. Non vedo rischi turpiloquio, al massimo qualche toccamento...».

Spesso è stato attaccato pesantemente per i suoi film: perché pensa che sia valsa la pena di averli continuati a fare?
«La più grande soddisfazione è entrare in una sala dove proiettano un tuo film e senti scoppiare le risate, quelle ciclopiche, che ti fanno spalancare la bocca. Regalare un po' di allegria ti fa l'effetto di una frustata di vitalità. Allo stesso modo, quando per strada sento il calore della gente, provo una soddisfazione grandissima. L'affetto della gente è qualche cosa che ti resta dentro. I cinepanettoni me l'hanno dato non vedo perché dovrei rinnegarlo: capita così raramente, è la mia più grande soddisfazione».

E per ottenerla bisogna saper digerire anche qualche sacrificio. Lei, nel suo libro «Figlio di papà» (Mondadori, 2008) non è molto tenero con se stesso: ripete spesso che ha una faccia antipatica, si dà dello str...
«Io ho la faccia da borghese, una faccia che non fa ridere: e allora per trovare un mio posto nel cinema e non sentirmi dire che volevo rifare la strada di mio padre, ho dovuto accentuare certi atteggiamenti, certe smorfie. Ho scelto di fare la farsa e nella farsa si parlano i dialetti, si storpiano i nomi, si dicono le parolacce. Io posso fare solo Sancho Panza, non sarò mai Don Chisciotte, per quel ruolo ci vuole Gassman o qualcuno come lui».

Rimpianti?
«Tornatore aveva pensato a me per L'uomo delle stelle ma De Laurentiis non mi lasciò libero. Dovevo fare il Casanova per Fellini ma poi la produzione gli impose Sutherland. Federico mi disse: hanno voluto quella mazzancolla di Sutherland. Proprio mazzancolla disse. E ci sono restato male, ma poi ci ho fatto un po' di tara perché Fellini diceva anche molte bugie... I rimpianti sono inevitabili. Forse avrei potuto non firmare tante esclusive con Aurelio.

Non voglio dare la colpa a lui, la colpa ce l'ho io, anche di aver creduto alle sue promesse: firmavo un contratto per cinque film perché avrei dovuto farne due come attore da solo, uno come regista, uno magari con Nuti e uno con Verdone. Ma poi mi spiegava che se metteva me e Verdone in un unico film ci perdeva perché bastava uno solo ad attirare il pubblico. Mettendoci insieme incassava la metà e così mi ritrovavo a fare cinque cinepanettoni.

Ho cercato ogni tanto di tirare una boccata d'aria: facevo teatro, ho fatto una fiction, "Lo zio d'America", che mi ha fatto conquistare un pubblico femminile che non avevo. E la gratificazione artistica passava in secondo piano di fronte alla gratificazione popolare. Il successo vale di più del David (l'Oscar italiano del cinema, ndr )».

È stato difficile essere «figlio di Vittorio De Sica»?
«All'inizio me l'hanno fatta scontare, perché erano ancora vivi quei personaggi che avevano lavorato con papà: l'ex autista diventato direttore di produzione, l'aiuto passato alla regia. Quante volte mi hanno buttato giù il telefono: ancora quel rompiballe di Christian, dicevano.

Solo Carlo Vanzina mi ha dato una mano, facendomi fare una piccola parte in un film con Abatantuono e la Antonelli, Viuuulentemente... mia . E Pasqualino Festa Campanile, che mi ha voluto contro tutti sul set di Conviene far bene l'amore . Ma poi è stato il pubblico a impormi. Posso dire che davvero nessuno mi aiutato, solo il pubblico lo ha fatto».

E la regia?
«L'ultimo film che ho fatto, The Clan, non è andato male: è andato malissimo. E da allora nessuno mi ha più dato fiducia come regista. Anche il progetto che più mi sta a cuore, raccontare la storia d'amore tra mio padre Vittorio e mia madre Maria Mercader sul set di La porta del cielo, nella Roma occupata dai nazisti, lo vorrei solo interpretare. Ho scritto la sceneggiatura con Graziano Diana e dopo tante ricerche ho trovato molto interesse in Peter Chelsom, il regista di Serendipity e Shell We Dance? . Vive a Los Angeles ma ha casa anche ad Aulla. Ama l'Italia. Vedremo».

I progetti più immediati?
«Adesso c'è il teatro. Sto scrivendo uno spettacolo dedicato al fascino del cinema che si intitolerà "Cinecittà", dove reciterò con una troupe di una quarantina di attori: vorrei raccontare le tante storie delle comparse, quelle che ci sono in tutti i film ma di cui nessuno si ricorda. E poi sto trattando i diritti di Quasi amici , da fare in teatro insieme a Siani. Io sarò il ricco paraplegico e lui il mio inaffidabile badante».

E Boldi? Ogni tanto sembra che le mandi dei messaggi di pace...
«A me sembra che se la canti e se la suoni da solo: è lui che ha rotto la coppia, firmando con un altro produttore perché guadagnava di più e non voleva più stare in coppia. Poi si è pentito e adesso vorrebbe che tornassimo insieme. Ma a che fare? Mi viene in mente solo "I ragazzi irresistibili", ma dovrebbe passare ancora qualche anno.

Oppure potremmo interpretare un film intitolato Cinepanettone dove siano due vecchi attori incavolati neri e raccontiamo quello che sappiamo di De Laurentiis, dei soldi, delle signorine di Berlusconi, delle raccomandazioni, delle stupidate...».

 

 

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