L’ARIA E’ CAMBIATA - GUBITOSI SBATTE LA PORTA IN FACCIA A SANTORO, GRUBER E I FUTURI ESODATI DI LA7

Osvaldo De Paolini per "Il Messaggero"

Non gradisce la parola rivoluzione per descrivere i profondi cambiamenti che in soli nove mesi e senza clamore ha impresso alla galassia Rai, riuscendo a convincere il cda della bontà di un piano triennale che ancora sei mesi fa avrebbe avuto quale probabile destino il capiente archivio della tv di Stato. E tuttavia il direttore generale Luigi Gubitosi non rinuncia a elencare le 35 innovazioni da lui introdotte che stanno cambiando il volto della Rai, mentre sottolinea che «in 24 mesi saremo in grado di assorbire la perdita di 250 milioni prevista nel bilancio 2012, per arrivare all'equilibrio economico già alla fine del 2014».

Gubitosi, lei rifiuta la parola rivoluzione. Ma come chiamare un processo che in pochi mesi ha visto crollare il muro di inflessibilità che rendeva la Rai una repubblica a sé, semplificare in modo drastico la filiera dei riporti, cancellare costose funzioni e consuetudini imposte dall'esterno e dalla politica, cambiare direttori in ogni angolo dell'azienda oltre a renderli autonomi nella costruzione dei loro staff?

«Stiamo semplicemente riportando un'azienda alla normalità. Perché parlare di rivoluzione? Non ne vedo la ragione. In fondo non facciamo che introdurre le regole della buona gestione. Sia chiaro, non è un compito semplice, la Rai è un'azienda particolare. Bisogna prenderla per il verso giusto».

Esattamente vent'anni fa di questi giorni vedeva la luce la cosiddetta Rai dei professori fortemente voluta da Carlo Azeglio Ciampi che allora guidava il governo. Con Claudio Demattè presidente, un bocconiano molto stimato, la direzione generale venne affidata a Gianni Locatelli, che aveva fatto del Sole 24 Ore il quotidiano economico più diffuso in Europa. I cambiamenti furono profondi, ma di lì a diciotto mesi la politica tornò vorace e dell'esperimento rimase poco. Si corre ancora questo rischio?

«Spero di no. I tempi sono cambiati, c'è maggiore coscienza su ciò che la politica può o non può chiedere. Anche il comportamento del cda è molto diverso da quello del passato».

Vuole farci credere che i consiglieri non fanno pressioni? Che non hanno le loro simpatie?

«Tutti sono liberi di avere loro simpatie, il che non vuol dire che questo debba incidere sull'attività aziendale. D'altro canto, le modalità con le quali si sono svolte le nomine dei tre direttori di rete, di due direttori di Tg e di tante altre posizioni sono sotto gli occhi di tutti».

Il taglio feroce dei costi, soprattutto delle produzioni esterne, è uno dei pilastri del suo programma. Ma da ciò che si è visto non si tratta di tagli lineari. Sembrerebbe una dinamica più simile a quella che ha portato alla ristrutturazione della Bbc inglese. A quale modello si ispira?

«Non c'è un modello predefinito. Soprattutto in questo settore, ogni azienda fa storia a sé. Abbiamo studiato per sei mesi ogni angolo della Rai, scoprendo centri di eccellenza poco noti e inefficienze macroscopiche. Di fronte a questa realtà tanto variegata, una politica di tagli lineari sarebbe stata controproducente. Peraltro è su questo studio, di cui vado particolarmente fiero perché si tratta di una analisi mai effettuata in Rai, che si basano le 300 pagine del piano 2013-2015 approvato due giorni fa dal cda».

Nel piano, oltre ai tagli sono previsti anche investimenti. In quale direzione soprattutto?

«In tecnologia e prodotto. Su questo fronte la Rai deve recuperare molta strada. Basti dire che nel triennio destineremo alla digitalizzazione dell'informazione 163 milioni contro i 239 milioni del decennio 2003-2012. Rai Cinema e Rai Fiction continueranno a essere i punti di riferimento nei rispettivi settori».

Come verranno finanziati questi investimenti?

«Risorse interne. Anche per gli esodi, che sul bilancio 2013 peseranno per 50 milioni, non chiederemo nulla».

A proposito di esodi, come va il progetto delle 600 uscite partito in inverno?

«Fino ad oggi abbiamo ricevuto 400 adesioni, ma prevediamo il completamento del piano nei tempi fissati. In questi giorni si sta lavorando ad altri accordi».

Altri tagli sul fronte occupazionale?

«No. Gli esodi pianificati consentiranno di avviare un nuovo ciclo di assunzioni soprattutto di giovani. Aiuteranno ad abbassare l'età media della Rai, piuttosto elevata».

Però dall'esterno avete già fatto qualche assunzione.

«In linea di massima abbiamo sempre privilegiato scelte interne. Solo in alcuni casi abbiamo assunto professionalità non presenti in azienda, tra cui il direttore finanziario e il direttore dell'audit, figure con competenze non reperibili all'interno. Oltre naturalmente al direttore del Tg1, Mario Orfeo. Per il resto, soprattutto nell'area editoriale, visti i livelli di professionalità non c'è bisogno di cercare all'esterno».

Tuttavia si parla dell'arrivo di Giorgio Gori. Anche di Lilli Gruber. E di altri ancora provenienti da La7. Che cosa c'è di vero?

«Sono tutti ottimi professionisti. Ma non abbiamo alcuna discussione con loro. Nè pensiamo di averne».

Oltre a un nuovo modo di misurare l'orario di lavoro, si è notata una stretta sul fronte dell'etica dell'offerta. Il licenziamento in tronco di Alessandro Di Pietro è stato come un fulmine a ciel sereno.

«Quando si scopre che il giornalista ha perduto la necessaria indipendenza è fatale che il rapporto fiduciario venga meno».

Anche nel caso della staffilata di Lucia Annunziata sugli «impresentabili» del Pdl, una vicenda per la verità assai lontana dal caso Di Pietro, non avete esitato a infliggere una censura verbale.

«La Rai difenderà sempre la liberà dei propri giornalisti di esercitare il proprio diritto di critica. Detto ciò, quando si commettono errori è giusto chiedere scusa. Perciò ho molto apprezzato la disponibilità di Lucia Annunziata ad ammettere il proprio errore. Le persone di qualità sono capaci di fare anche questo».

L'anima della Rai ha sempre oscillato fra servizio pubblico e prodotto commerciale. Oggi dove si colloca?

«Penso di esprimere anche l'opinione del presidente Anna Maria Tarantola se affermo che siamo assai più vicini alla prima. Chi ha detto che gli italiani non apprezzano una televisione di qualità? I 17 milioni di ascoltatori che hanno seguito il Festival di Sanremo dimostrano che un pezzo di Chopin vale come e più di Belen».

Come stanno andando i Tg?

«In autunno si parlava di difficoltà del Tg1. Con l'arrivo di Orfeo ha acquisito maggiore autorevolezza, e il vantaggio sul Tg5 si è alzato di qualche punto. Lusinghiera anche la prestazione del Tg2 diretto da Marcello Masi: nell'edizione pomeridiana talvolta insidia lo stesso Tg5 ed è un prodotto di grande qualità digitalizzato. Infine anche la decisione di affidare Rainews a Monica Maggioni si sta rivelando vincente».

Continuerete a scommettere sulle news?

«Lo sviluppo delle news, oltre a quello delle fiction e al rilancio delle produzioni interne, sono tre punti fermi del piano industriale che si combinano con l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione dell'intera azienda. L'obiettivo è di costruire una macchina capace di dare il massimo sempre».

Lo scorso anno, prima che arrivasse lei, la Rai è stata battuta da Sky nella gara per l'acquisto della Formula 1. Avrebbe rinunciato anche lei?

«Premesso che uno deve fare i conti anche con le proprie tasche, visto che con la differita abbiamo avuto un ottimo risultato probabilmente sì. Ciò detto, per il futuro non escludo si possa ancora collaborare con Sky. Per esempio, per quel che riguarda le Olimpiadi a Rio».

E i mondiali di calcio 2014? Li vedremo anche sulla Rai, visto che i diritti appartengono a Sky?

«Sicuro. Vedremo la nazionale italiana e le partite di cartello, le semifinali e le finali».

 

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