DA ARMANI A DELLA VALLE, LE ILLUSIONI DEGLI “ARZILLI VECCHIETTI” CHE SFIDANO IL CATETERE PER ESSERE ANCORA SEXY

Fabiana Giacomotti per "il Foglio"

Come accade con grande facilità allo svincolo di Voltri, un attimo di distrazione e invece di andare verso Santa Margherita ti ritrovi a Varigotti, imboccare la strada della vecchiaia arzilla invece del vicolo dell'imbolsimento revanscista richiede un minimo di impegno. Anzi, parecchio. Un momento prima sei ancora sul crinale della gioventù carica di promesse, che adesso dura fino ai cinquantacinque anni o giù di lì e non solo in Italia, come si può osservare dalle foto ufficiali di Angela Merkel con i suoi ragazzi a braccia alzate dopo la vittoria alle elezioni. Il momento dopo capire dove andare a parare sta a te, come nel famoso scivolo di Carsten Holler che restò montato a lungo alla Tate Modern di Londra.

Si partiva tutti insieme dal terzo piano del museo e si arrivava fino a pianoterra; ma al primo, all'altezza del bivio, bisognava scegliere, in fretta ma con coscienza: da una parte si accelerava come proiettili e si atterrava alla meno peggio sulle proprie natiche; dall'altra si scivolava lungo un dolce pendio che permetteva anche di osservare l'andirivieni dei visitatori, a imitazione del famoso e celebratissimo scivolo ideato per l'ufficio milanese di Miuccia Prada, e ci si rialzava con tutta calma e i vestiti in piega.

La parabola umana, quella maschile in particolare e in particolare adesso che il viagra, i jeans modellanti e l'alimentarista di fiducia hanno cambiato per sempre le carte in tavola, assomiglia parecchio e non a caso all'opera di Holler: è diventata infatti lunghissima, carica di promesse comunque, tanto da finire per insidiare le promesse legittime della generazione successiva.

Ma il bivio dello scivolo e la sua uscita finale sono diventati più evidenti, più immediati e anche più pericolosi. Ancor più di quanto appariva nella grande massima berselliana solo dieci anni fa, una volta che si è esaurita con grande rimpianto l'infinita fase di crescita, diventare un venerato maestro o un povero stronzo richiede innanzitutto la forza di capire che la venerabilità è un attributo dell'età consapevole, e che non è affatto una cosa cattiva. Il vero crinale è quello, ed è questo che porta chi osserva, donne comprese, a un'ammirazione che può ancora conservare tracce di ardore sessuale oppure a quell'affettuosa indulgenza che è in realtà una forma sofisticata e molto femminile del disprezzo.

Diventare Sean Connery oppure un ottantenne ai giardinetti non dipende solo da quante volte ti sei infilato lo smoking di 007, ma da come continui a portare quello smoking anche se non sei mai stato 007: con quale stile e con che portamento. Il giorno in cui Sette ha anticipato le memorie in cui Sultana Razon raccontava delle intemperanze sessuali del marito Umberto Veronesi e del figlio illegittimo rivelato durante una gita in auto, credo che a pochi sia venuto in mente che il fatto risaliva a molti anni prima e che forse si sarebbe potuto scegliere un momento più adatto per la rivelazione.

Nella memoria visiva, cioè nel cuore e nella mente di tutti, Veronesi non è nemmeno un oncologo di fama mondiale: è innanzitutto un uomo benissimo portante che prende un numero spropositato di treni ogni settimana, seguito da un'assistente che, posso testimoniarlo, gli arranca dietro a fatica, e che dà battaglia in pubblico per cause non sempre condivisibili. Per ricordare la sua età anagrafica bisogna verificarla ogni volta: qualcuno, solitamente i più ammirati, tendono addirittura a definirla per eccesso.

C'è anche il caso di Giorgio Armani: qualche giorno fa, in chiusura delle sfilate milanesi, che tocca sempre a lui allestire perché buyer e stampa straniere restino blindate in città fino all'ultimo momento riempiendo alberghi e ristoranti, ma che immancabilmente provocano uno scarico di tensione generale dopo sette giorni di ansie e fibrillazioni continue, ha risposto per le rime a Diego Della Valle che lo invitava a investire nella conservazione dei monumenti milanesi come lui sta facendo con il Colosseo a Roma: "Non si permetta di darmi indicazioni: io faccio beneficenza in modo discreto".

L'oggetto della provocazione era, nella sua vera essenza, adolescenziale, secondo la consueta logica maschile: diciamo una sorta di gara a chi avesse il budget promozionale più lungo e con maggiore sfarzo lo mettesse a disposizione del paese festante. Chi in questa diatriba avesse ragione non è affatto importante, come appariva evidente anche dai tanti siti e dai giornali che nelle successive ventiquattro ore le hanno dato risalto.

E' andata comunque a finire in un beauty contest, un'esibizione di muscoli, e per non finire coinvolta nella rissa mi guarderò bene dallo scrivere chi dei due conservi meglio i propri. Esaurita la prima fase, quella del monumento pubblico, la querelle si è spostata infatti sul vero oggetto del contendere, cioè il monumento privato, a suon di insulti: "Vecchietto arzillo", "Politico", che - gli unici a non essersene accorti in Italia sono proprio i politici - per una larga parte del paese non è definizione qualificante. In tutto questo, Colosseo o Castello Sforzesco c'entravano appunto niente; erano solo la rappresentazione figurata della battaglia per l'occupazione di un territorio che non è nemmeno fisico, ma ontologico, di raffigurazione di sé nel disegno dell'universo, che per l'uomo oltre la soglia dell'età dell'innocenza, è la questione vera e unica.

Dove sono arrivato, dove posso arrivare ancora sbaragliando la concorrenza che mi insegue e senza dare loro a intendere che parlo con Dio, e cioè che ho superato i limiti dell'umana possenza. Un'amica separata che fatica molto col figlio adolescente in piena tempesta ormonale, cioè fastidiosissimo e provocatorio, viene continuamente importunata dall'amante nel mentre, cioè quando vorrebbe dimenticarlo almeno per dieci minuti: "Secondo te, che cosa direbbe tuo figlio se ci vedesse in questo momento?".

Poi dice che le donne non ci si mettono d'impegno. Se l'occidente letterario, la Francia soprattutto, ha scandagliato a fondo i modi e le manie della donna di trent'anni, fino a neanche troppo tempo fa il limite ultimo della desiderabilità sessuale femminile, solo Dostoevskji si è fatto seriamente carico dell'andropausa e delle sue intemperanze, cioè del famoso crinale che dopo circa ottomilacinquecento battute di articolo sarebbe ora di chiamare col suo nome.

Negli Oscar, per esempio, è appena uscita una nuova edizione dell'"Eterno marito", breve romanzo satirico del 1870 che segue giorno dopo giorno, per mesi, la battaglia fra due "uomini di mezza età" (adesso avrebbero avuto ottant'anni, nel romanzo hanno da poco superato i quaranta) attorno al ricordo di una donna morta e che, in fondo, entrambi non hanno amato.

La donna è una scusa per trovarsi, riconoscersi, immaginare chi dei due fosse stato il preferito e perché. Alla fin fine, un altro confronto da spogliatoio e nel quale va di mezzo la figlia illegittima del protagonista Velcianov. Alla fine del racconto, con Liza morta pure lei, i due si separano; per uno dei due, anzi, c'è già una nuova moglie a cui attaccarsi e si capisce che l'altro potrebbe nuovamente portarsela a letto, ed è ovvio che, esattamente come accade nei "Duellanti" di Conrad, la battaglia potrebbe riprendere fino a esaurimento fisico, cioè mortale, dei due contendenti. Vogliono entrambi imboccare lo svincolo della venerata vecchiaia, quella che garantisce l'esercizio della potenza.

Le donne che osservano un uomo oltre i cinquanta sanno dire con assoluta sicurezza in quale categoria si prepari a entrare, povero stronzo o seducente maestro, e una volta appurato che scenderà a patti con l'avanzare della propria età, che l'accoglierà non con acredine ma con grazia, sono ancora più che disposte a concedergli le proprie. Non è vero, a dispetto di quanto scrivono i giornali femminili, che all'uomo l'età aggiunge tanto fascino quanto alle donne ne toglie: l'età è inclemente con tutti e due i generi, ma millenni di supremazia sociale ed economica hanno indotto gli uomini a credere di poterla fare franca comunque, e dunque a impegnarsi di meno.

Solo da poco hanno capito che per provare a esercitarla ancora, questa presunta supremazia, non possono più permettersi alcuna rilassatezza, ed è anche per questo motivo che non trovano più nomignoli affettuosi e sexy per i rotoli di ciccia che gli si depositano sui fianchi, e la mattina, al bar, arrivano col collega e prendono una brioche in due (la cameriera di Rosati, in piazza del Popolo, dice che è una tendenza in crescita e se ne dispera, perché con la crisi ci mancava pure questa mania del mezzo cornetto).

Chi supera il crinale con la famosa grazia di cui si scriveva prima, non lo fa insomma perché provvisto di denaro, ma perché dotato di autoironia, cioè di intelligenza. Le donne, questo invece è verissimo, ne hanno di più. Hanno dovuto svilupparla per forza, ma l'hanno fatto bene.

Le donne sono pronte a riconoscere e persino a ridere del proprio avvizzimento, e non è un caso che Nora Ephron abbia venduto qualche milione di copie di un libro dedicato all'orrore delle pieghe sul collo, quelle che, con linguaggio da preziose del regno di Luigi XIV, si chiamano gli "anelli di Venere" (per inciso: come facesse Venere a essere così bella nonostante tutti i difetti che le attribuiscono, strabismo compreso, proprio non si capisce).

Tutte noi nate dopo la metà del secolo scorso, abbiamo visto la nostra mamma scherzare, almeno un po', sulle "ciliegine", cioè il cedimento mandibolare all'altezza del primo molare inferiore, insomma, la faccia da basset hound: avevano un lavoro che le soddisfaceva, un ruolo conquistato sebbene con immensa fatica, e potevano permettersi di considerare con un po' di indulgenza l'avanzare dell'età.

Adesso parlano molto di acido ialuronico e si domandano quanto si noti l'ultima iniezione di botox, ma restano comunque spiritose. Gli uomini, essendo passati direttamente dall'esibizione orgogliosa della pancia al botox, sono carichi di stizza come bambini dopo il no al secondo gelato. Piuttosto che della propria età, discutono dell'opportunità di figliare, e non sto usando un'iperbole.

Alla ricerca di qualche commento libero e possibilmente spiritoso sul tema di questo articolo, ho cercato di infilare sul browser del pc la chiave di ricerca "uomo che invecchia": prima ancora di digitare il verbo, il ventaglio delle scelte ha evidenziato, in ordine decrescente di preferenza, le seguenti opzioni: "uomo che fissa le capre" (a proposito: chissà come lo prenderà, George Clooney, il crinale), "uomo che piange", "uomo che tradisce" (dieci anni fa, ci metterei la testa, queste ultime due voci sarebbero state invertite);

"uomo chiamato cavallo" (povero Richard Harris, ecco uno di cui ci siamo dimenticati tutti e senza neanche sapere quale scivolo avesse preso); "uomo che si spoglia"; "uomo che corre"; "uomo che partorisce"; "uomo che sussurra ai potenti" (un pensiero affettuoso all'accoppiata Paolo Madron e Luigi Bisignani che hanno tenuto banco tutta l'estate e che si avviano a diventare venerati maestri); "uomo che scorreggia", quest'ultima voce comprensiva di osservazioni deliziate sulle gioie della flatulenza rumorosa e della reazione che provoca nelle femmine quando praticata sotto le lenzuola. Di invecchiare, mai si parla, o meglio sì, ma in negazione ("uomo che non invecchia") o in rafforzativo ("uomo che non invecchia mai").

"Peter Pan" è stato scritto da un uomo; "Lo strano caso di Benjamin Button" venne scritto cinquant'anni dopo da un Peter Pan, Francis Scott Fitzgerald, che tutti, lui compreso, sapevano benissimo quale scivolo avesse imboccato. Franco Bernabè continua a farsi chiamare "bébé" da quel perfido di Dagospia anche in questi giorni di piena tempesta sulla vendita di Telecom a Telefonica. Del suo faccino eternamente imberbe va orgogliosissimo, come se lo svincolo non fosse lì a un passo. E dire che perfino Pippo Baudo ha smesso di tingersi i capelli.

 

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