CORONA TRADOTTO DALLA SUA TRADUTTRICE – L’INTERPRETE RACCONTA LE ORE PASSATE AL SUO FIANCO DURANTE L’UDIENZA PRELIMINARE IN PORTOGALLO: “IO TRADUCEVO E LUI CHIEDEVA: CHE FAI STASERA?” – ‘’E LÌ HO CAPITO UNA COSA: CORONA NON HA MAI AVUTO INTENZIONE DI SCAPPARE IN BRASILE. PERCHÉ CHIEDERE A UNO COME LUI DI FARE IL LATITANTE È ISTIGARLO AD AUTOCONDANNARSI A MORTE”…

Lettera di Paola D'Agostino* al "Corriere della Sera"
*Scrittrice e traduttrice, ha fatto da interprete a Fabrizio Corona nell'udienza al tribunale di Lisbona

Caro direttore,
devo ringraziare ufficialmente Fabrizio Corona, e non solo per la galanteria che lo contraddistingue. Che mi abbia chiesto «Che fai stasera?» per mero esercizio di stile, o per nostalgia della vita funambola giacché lui, invece, la serata l'avrebbe passata in un carcere luso, è del tutto irrilevante ai fini della discussione. La vera ragione per cui gli devo la mia gratitudine è un'altra: sono 13 anni che vivo a Lisbona, e per tutti questi 13 anni ogni volta che sono tornata a casa ho dovuto rispondere al solito rosario di domande: «Ma la traduttrice che mestiere è? Ma ti pagano?»

Poi faccio l'interprete all'udienza di estradizione di Corona e di colpo mi trovo a parlare di lavoro con la nonna, ora sì convinta che faccio «una cosa bella». Prima avevo tradotto in portoghese i «Quaderni di Serafino Gubbio operatore» di Pirandello, ma non se n'era accorto nessuno. Toh, guarda le coincidenze! Il primo cameraman della nostra Letteratura!

Nel tradurre Corona, però, il problema è l'aspetto sociolinguistico della questione. Vale a dire: mentre lui racconta alla Corte portoghese il declino scandalistico che naturalmente lo ha coinvolto facendone un capro espiatorio, proprio lui, l'amico di Lele Mora, il titolare della prima agenzia di comunicazione d'Italia (Prima in che senso? - chiedono gli inquirenti) mentre racconta, dico, tutto ciò che siamo stati in grado di produrre nell'ultimo ventennio, io capisco che nel «testo» c'è un grado altissimo di intraducibilità. Corona in una pausa mi chiede se seguo le vicende italiane, se conosco il suo caso. La sua Fama, vuol dire. Lo rassicuro, certo che so chi è. Allora si rilassa e mi domanda: «E quindi che pensi? Di questa cosa che ho fatto, di venir qua, che pensi?»

«Beh, più che altro spero per te che avessi intenzione di scappare in Brasile».
«Quindi secondo te dovevo fare il latitante a vita?»
«Non lo so...»
«Tu al posto mio che avresti fatto?»

E lì ho capito una cosa determinante ai fini della querelle nazional-popolare: Corona non ha mai avuto intenzione di scappare in Brasile, secondo me. Perché chiedere a uno come lui di fare il latitante è istigarlo ad autocondannarsi a morte. L'invisibilità che la latitanza esige, assoluta, sarebbe una morte molto più crudele della sedia elettrica, per un tronista poi! Dal carcere invece si può continuare ad apparire, sotto mille altre forme possibili che un esperto di comunicazione come lui non farà fatica a valorizzare (proprio nel senso di trasformare in valore, in moneta sonante).

«Tu al mio posto?» - ecco la domanda difficile per eccellenza. Per mettersi nei suoi panni bisogna aver vissuto dal di dentro l'Italia del Drive in fantareale. Aver sorseggiato la Milano da bere, ma nell'era del Trota. Guardo i magistrati e vorrei spiegargli tutte queste cose, invece di limitarmi a tradurre «fedelmente» una serie di enunciati.

Vorrei consigliargli di sospendere l'udienza e correre al cinema, ché nelle sale di Lisbona in questi giorni c'è «Reality» di Matteo Garrone. Invece taccio e continuo imperterrita la mia consecutiva. Mentre l'impotenza che provo viene a coincidere con l'intraducibile di questa traduzione. Solo che con Corona l'intraducibile ha un corpo («Però ha addosso troppi affreschi, per i miei gusti!» ironizza sui suoi tatuaggi un'ignara funzionaria del Tribunal da Relação). C'è ancora un dettaglio che mi par degno di menzione.

La mattina, quando sono arrivata in aula, Corona stava chiedendo concitatamente a un ufficiale di recuperargli il suo braccialetto, a cui teneva molto. A fine udienza, firmando il verbale, gli ho guardato la mano destra e l'ho visto, il gioiello ritrovato.

Era una sottile fascia rigida in oro bianco, su cui era incisa la seguente frase: Il potere è potere. Insomma Trezeguet qui c'entra poco! Tradurre Corona è interpretare l'Italia. Che assurdo lavoro, quello del traduttore. Dopo «il re dei paparazzi» (come titolava quel giorno in prima pagina il quotidiano «Diário de Notícias»), riaccesi i telefoni che intanto erano impazziti, traduco un libro sui segreti delle apparizioni di Fatima!

 

LA HOME DEL SITO DI CORONA CON LA PROMOZIONE DELLA MAGLIETTA TO BE FREE FABRIZIO CORONA IN MANETTEFABRIZIO CORONA IN MANETTEFABRIZIO CORONA IN MANETTE jpegVIDEO MESSAGGIO DI FABRIZIO CORONA CORONA E BELEN HARD DA NOVELLA FABRIZIO CORONA SHOPPING

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