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FILOSOFIA DI CARTONE - ''INSIDE OUT'' È LA PROVA CHE CON IL DISEGNO SI PUÒ DISCUTERE SUI TEMI ALTI DELL'ESISTENZA, MEGLIO CHE CON LA PAROLA SCRITTA

Maurizio Ferraris per ''la Repubblica''

 

Un' amica coltissima mi ha mandato una mail nel cuore della notte, raccomandandomi di andare a vedere Inside out con mia figlia di nove anni.

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Troppo tardi: mia figlia ci era già andata con sua madre, la quale peraltro è una filosofa esperta del ruolo delle emozioni nel ragionamento e nelle decisioni pratiche, e dunque trovava, per così dire, un interesse professionale nella vicenda. Lontano è il tempo in cui essere sorpresi dai genitori con dei fumetti in mano era una nota di demerito e il dialogo sul primo numero di Linus tra Eco, Vittorini e Del Buono sui Peanuts - protagonisti ora di un nuovo film, in arrivo nelle sale italiane - fece storcere più di un naso (espressione icasticamente adatta alle risorse espressive offerte dai cartoon).

 

Certo, tanto è cambiato da quel 1965. Perché negli ultimi decenni il disegno, soprattutto animato, è diventato una delle più potenti e universali forme espressive. Dimostrando anche di essere il tipo di racconto più adatto alla discussione sui temi alti dell' esistenza, perfino i più astratti. La novità di quest' ultimo periodo, però, è che le potenzialità filosofiche del cartoon non sono più nascoste tra le pieghe della narrazione, ma ne diventano protagoniste dirette.

 

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Come in Inside out , appunto, pellicola che mette in scena le emozioni primarie degli esseri umani, e per la quale il regista Pete Docter, nella conferenza stampa romana, ha scomodato i padri della psicanalisi: «Abbiamo letto tanto Freud, e per inconscio e subconscio abbiamo realizzato una versione pop di quello che dice Jung». Un altro esempio recentissimo di questa svolta è Anomalisa di Charlie Kaufman, prodotto "adulto" gran premio della Giuria all' ultima Mostra di Venezia: un' esplorazione esistenziale a 360 gradi (sesso compreso) realizzata con la tecnica dello stop motion.

 

Ma questi perfetti esempi di un genere che potremmo battezzare cartoonsofia non nascono dal nulla. Anzi, vengono da lontano.

 

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In primo luogo, le generazioni cresciute a contatto con i fumetti e con i cartoni animati sono tantissime (Yellow Kid, il prototipo del fumetto, risale al 1894-95, cioè è contemporaneo di Nietzsche e di Mahler), e dunque sono capaci di riconoscerne i meriti (il mio primo contatto con la Divina commedia ha avuto luogo nella versione a fumetti con Paperino al posto di Dante e non ricordo più quale altro papero al posto di Virgilio).

 

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Dall' altra, e soprattutto, si sono riconosciute le enormi potenzialità cognitive di un medium (il disegno, fisso o in movimento) e di una utenza, i bambini. Le due cose non vanno necessariamente assieme, si pensi a cartoni per adulti come I Simpson , Family Guy , American Dad , South Park , e in definitiva gli stessi Peanuts. Ma quando ha luogo l' incontro fra l' infanzia e la cartoonsofia si assiste a un miracolo espressivo che mai si potrebbe ottenere in altri ambiti, perché il punto fondamentale non sta solo nel medium, ma nei destinatari, i bambini.

 

I bambini sono metafisici spontanei. Mentre gli adulti si concentrano generalmente su questioni contingenti e pratiche, i bambini sono aperti a questioni davvero radicali: ad esempio, se Dio è infinito, come c' è posto per tutto il resto? (Domanda che Saul Kripke, il più grande logico e ontologo del secolo scorso, ha posto a sua madre quando aveva quattro anni). Non è dunque difficile immaginare che sarebbe stato interessato alla ridiscussione delle categorie spaziotemporali nel serial televisivo americano Adventure Time così come nel giapponese Doraemon .

 

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Sebbene solitamente si sostenga il contrario, agli adulti si può mentire, ed è quello che per lo più avviene. Esempio: le descrizioni sdolcinate dei rapporti tra servi e padroni nella Recherche o nei Buddenbrook sono sostituite dalla spietata descrizione dei rapporti di dominio in Kung Fu Panda.

 

Ibambini non ammettono scusanti culturali. Non si convincerà mai un bambino a guardare Deserto Rosso di Antonioni con l' argomento che si tratta di un' opera culturalmente rilevante. Le ragioni per vedere un film devono stare nei contenuti. Così abbiamo certo cartoni per bambini con atmosfere lynchiane ( Leone il cane fifone ), ma sarebbe diffficile farglieli piacere con il solo richiamo all' atmosfera dotta.

 

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I bambini, soprattutto, sono relativamente poco interessati a quel refugium pecatorum (è il caso di dirlo) che è il sesso. Uno sceneggiatore di film adulti in difficoltà potrà sempre cavarsela raccontando altre cinquanta sfumature di grigio: qui invece no. Paradossalmente, il solo modo per rendere appetibile 50 sfumature di grigio a un pubblico infantile, e magari anche a un pubbico adulto più esteso di quanto non si pensi, sarebbe di rendere esplicita la struttura favolistica che sta alla sua base (Cenerentola, nella fattispecie), e soprattutto ricorrere ai cartoni animati.

 

Perché i cartoni non si limitano a offrire delle caricature del genere umano. Fanno molto di più. Hanno possibilità narrative impensabili per il cinema tradizionale (cinema peraltro in crisi di idee e originalità da anni, al contrario ad esempio di una fucina di creatività come la Disney /Pixar). Soprattutto, mettono in primo piano l' animale, questo grande rimosso della narrativa tradizionale.

 

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Qual è il vantaggio dell' animale, questo essere che l' infanzia sente più vicino rispetto all' adulto? In primo luogo, l' espressività. L' umano può essere qualunque cosa, l' animale è qualcosa per eccellenza, la forza o l' astuzia, l' umiltà, la timidezza, la sovranità. Quelle che si manifestano negli animali sono anzitutto delle potenze prima che dei caratteri.

In secondo luogo, queste potenze sono universali. È il motivo per cui gli Egizi diedero ai loro dei parvenze di animale, e per cui le culture totemiche (e oggi ancora le squadre di calcio o di football americano) si riconoscono in figure animali.

 

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Quando l' animale o l' essere umano parlano e agiscono come cartone animato, è l' assoluto che parla: Nemo alla ricerca del padre, Rapunzel che intuisce che fiorendo fa invecchiare la madre, e poi ancora se un orco possa essere buono come Shrek, se il sublime possa essere raffigurato da Ponyo (capolavoro di Hayao Miyazaki) che cammina sulle onde in tempesta e se davvero la natura sia un grande organismo, la cui somma incarnazione è Totoro (ancora Miyazaki). Questi sono i grandi temi, proprio quelli che affrontavano i romanzi dell' Ottocento e i metafisici del Rinascimento, e che sono stati abbandonati da racconti dei privatissimi fatti del narratore.

 

 Hayao Miyazaki Hayao Miyazaki

Attenzione, però: come la filosofia dei grandi romanzi dell' Ottocento può essere cattiva filosofia (Dostoevskij su tutti), così anche la cartoonsofia non è di per sé necessariamente buona filosofia. Ma questa, ovviamente, è un' altra storia.

 

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