
“HO RISCHIATO LA VITA PER I MIEI FILM. QUANDO SPIELBERG E MI HA CHIESTO COME FACESSI LE MIE SCENE GLI HO RISPOSTO: 'MOTORE, AZIONE! OSPEDALE'” – IL 71ENNE JACKIE CHAN NON MOLLA UN CAZZO E CONTINUA A SCATENARSI SUL SET COME SE FOSSE UN RAGAZZINO: “POSSO ANCORA COMBATTERE. HO PASSATO 15 ANNI A CERCARE DI ESSERE RICONOSCIUTO COME UN BUON ATTORE E NON SOLTANTO UN BUONO STUNTMAN. VOLEVO ESSERE IL ROBERT DE NIRO ASIATICO” – LE BORDATE AL CINEMA MODERNO: “MOLTI GRANDI STUDI ORA NON FANNO FILM, MA BUSINESS. PER QUESTO È DIFFICILE FARE BEI PRODOTTI ADESSO" - QUELLA PARTITA DI BOWLING CON BRUCE LEE… - VIDEO
Chiara Venuto per l’ANSA
Sessantaquattro anni di carriera, sette in più di età e nessuna voglia di andare in pensione. Il Jackie Chan arrivato al Festival di Locarno non è affatto pronto a fermarsi, anzi. Così, nell'accettare il Pardo alla Carriera - che ne celebra l'esperienza da vero veterano nel settore - ha rilanciato: "ho 71 anni, ma posso ancora combattere". Anche se lui non è solo lotta, tiene a ribadire.
"Ho passato 15 anni a cercare di essere riconosciuto come un buon attore e non soltanto un buono stuntman. Volevo essere il Robert De Niro asiatico", ha detto. E criticato il modo di fare film oggi: "Ho lavorato mesi a singole scene. Molti grandi studi ora non fanno film, ma business. Per questo è difficile fare bei prodotti adesso".
In un incontro sold-out al GranRex, l'attore, stuntman, artista marziale, produttore, regista, sceneggiatore, doppiatore e cantante di Hong Kong ha parlato del suo percorso finora. "Ero pigro, monello, per questo mio padre mi madò alla scuola dell'opera di Pechino a Hong Kong - ha ricordato -. Mi piaceva combattere e a scuola potevo passare tutto il giorno a farlo. Dovevamo firmare un contratto e io a 6 anni e mezzo non capivo cosa fosse un anno, ma volevo restare lì il più possibile. Quando mi chiesero per quanto volessi rimanere risposi: '10 anni'". E così fu.
Una formazione durissima, anche per via della lontananza dei genitori, che andarono a vivere in Australia. Ma anche per le botte. "Quando vedevo il mio insegnante tremavo - dice Chan -. Anche oggi tremerei a vederlo". Risate.
Poi, la prima esperienza da attore. "Un giorno un maestro scelse quattro di noi - continua -. Per me era bellissimo, anche perché ogni giorno c'era un pranzo intero per me". Cosa non scontata a scuola. Arrivarono poi altre esperienze e il lavoro da stuntman, grazie a cui incontrò Bruce Lee, che sarebbe poi morto giovane. "Un giorno mi riconobbe fuori dal set - ha rivelato Chan - mi chiese dove stessi andando. Gli dissi che sarei andato a giocare a bowling e decise di venire con me. Una volta arrivati mi dovetti trasformare in una guardia del corpo, tutti volevano un suo autografo. Poi mi salutò" e fu l'ultima volta che si videro. Ancora c'è un filo d'emozione nella voce del 71enne.
Dopo la morte di Lee, "non si facevano più film d'azione, nessuno mi chiamava più - ha detto ancora Chan -. Mio padre cercò di convincermi a restare in Australia con lui. Poi un giorno mi arrivò un telegramma da Lo Wei, voleva rifare Fist of Fury. Ma non ebbe successo, per me era il protagonista sbagliato, il film sbagliato, pure sul poster scrissero Bruce Lee in grande e solo dopo il mio nome, minuscolo in confronto".
Fu da qui che Chan cercò di prendere il potere sulla propria carriera e i propri personaggi. Imparò tanto dai set, dalla scrittura alle luci passando per le riprese. "In tutta l'Asia solo due registi sanno fare tutto - afferma - uno è Sammo Hung, l'altro è Jackie Chan. E comunque io sono meglio perché so cantare". Ma come ha imparato a farlo? "Ovunque andassi in giro per il mondo mi chiedevano di lottare, ma non potevo più farlo ogni volta - risponde -. Così mi son chiesto: cosa devo fare? Imparare a cantare. È molto più facile! Nessuno introduce Robert De Niro con una mossa di arti marziali".
D'altronde, il perfezionismo dell'artista è evidente da certe scene in cui ha davvero rischiato la vita. "Non so perché l'ho fatto per fare film - ha ricordato -, mi sono sempre detto di voler fare il meglio. Quando ho visto Spielberg per la prima volta gli ho chiesto come facesse a muovere i dinosauri. Mi ha detto: 'Premo un bottone' e mi ha chiesto come facessi a fare le mie scene. Gli ho risposto: 'Motore... Azione! Ospedale'".
Il rapporto dell'autore hongkongese con Hollywood, comunque, non è sempre stato facilissimo. "Volevano che facessi come nei film di Clint Eastwood, che esprimessi potere, non che facessi le mosse da film d'azione - ha concluso -. Qualsiasi cosa proponessi non piaceva. Per me non sapevano fare film d'azione e non ascoltavano i miei consigli. Feci Police Story per dimostrare che ero in grado di fare di meglio. Poi riprovai a lavorare negli Usa con Rush Hour. Ma anche lì comunque non fu tutto perfetto, anche se migliore".
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