L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - I GRANDI GIORNALI STANNO MORENDO PERCHÉ SONO FINITI IN MANO A MANAGER CHE CONSIDERANO I “PEZZI” SCRITTI MAGARI DA UN INVIATO CHE RISCHIA LA VITA COME FOSSERO SCATOLETTE AL SUPERMERCATO

Barbara Palombelli per "Il Foglio"

Fra i prepensionamenti coatti di Repubblica (80) e le svendite umane e immobiliari del Corriere e di Rcs, sta finendo un'epoca. I grandi giornali vivono grandi crisi e le affrontano affidando a manager il compito di ridimensionare aziende, ambizioni, pagine e righe scritte.

I comitati di redazione che rappresentano il sindacato dei giornalisti, colpevoli di non avere capito in tempo cosa stava avvenendo nei consigli d'amministrazione, riescono a malapena a gestire gli scioperi. In silenzio, con dignità e dolore, una generazione intera - i nati dal 1952 al 1957 - lascerà il giornalismo attivo.

Chi si ricorda quanto hanno dato alle rispettive testate, in gioventù? Come si potranno calcolare - in cifre - le notti, le domeniche, le trasferte, le vite intere? Se ci fossero ancora gli editori, quelli che li hanno scelti e assunti quando non c'erano le scuole, gli stage, le specializzazioni universitarie, forse qualcuno reagirebbe alla strage di professionalità che sarà realizzata in questo autunno.

Scrivo di Repubblica e Corriere, dove ho lavorato per 10 e 8 anni meravigliosi, perché lì ho ancora pezzi di cuore, amici, riferimenti fondamentali per le rispettive esistenze. Abbiamo diviso amori, figli, tormenti e felicità. In competizione ogni minuto, poi tutti uniti quando erano in gioco la dignità della professione e la testata di appartenenza, come in ogni squadra che si rispetti.

Un'età dell'oro, da rimpiangere con nostalgia. E viene da ringraziare - oggi per allora, alla memoria - quei personaggi straordinari che furono e sono stati gli editori. Una specie ormai estinta, come i dinosauri.

Ci si incontra, ogni tanto, fra colleghi e si scherza con i ricordi. Avere ballato con Mimma Mondadori, Mario e Cristina Formenton, alle feste di Panorama - settimanale che macinava utili come niente fosse - oggi sembra un film sfocato, in bianco e nero... Eppure è successo a tanti, non solo a me. Era il mestiere più bello del mondo, per esempio, per Carlo Caracciolo. Voleva sempre informarsi, curiosare, sapeva che ogni mattina la Repubblica gli avrebbe regalato comunque delle emozioni.

Lo vedevi ridere di gusto alle mascalzonate che combinavano i ragazzi di Eugenio Scalfari. Puro divertimento era incontrare proprio il Fondatore, editore-direttore, alla cena con il politico che l'indomani il quotidiano avrebbe fatto a fette... Sembravano due pischelli Gianni Agnelli e Cesare Romiti quando raccontavano i pettegolezzi che Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, aveva regalato loro al mattino presto.

Gli editori frequentavano, invitavano, parlavano con i giornalisti - Carlo De Benedetti e Claudio Rinaldi, direttore prima di Panorama e poi dell'Espresso erano diventati dei veri amici - vivevano nel mondo. Non esagero se racconto i giornali come il paradiso terrestre, gli editori come i sovrani - a volte anche capricciosi - di quel regno, abitato da cronisti spesso libertini, trasgressivi, sempre con una storia (vera o finta che fosse) da raccontare per stupire.

Oggi, i manager che hanno nelle mani i destini dell'informazione scritta e di tante famiglie, compulsano elenchi di nomi, contributi versati all'Inpgi e fanno conteggi. Non li conosce e non li frequenta nessuno, considerano i "pezzi" scritti magari da un inviato che rischia la vita come fossero scatolette al supermercato. E forse proprio per questo i grandi giornali soffrono la crisi in modo così devastante.

 

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