L’EDITORE ALBERTO CASTELVECCHI: "MA QUALE “CANTORE DELLE BORGATE”. UNO CHE HA SCRITTO "MINUETTO", "TUTTO IL RESTO È NOIA","LA NEVICATA DEL 56" E CENTINAIA ALTRE DI CANZONI, NON PUÒ ESSERE DEFINITO IN MODO COSÌ SCIATTO, UN CANTORE DI BORGATA" - "SEMMAI AVREBBE SENSO DIRE CHE CALIFFO ERA ROMA TANTO QUANTO JANNACCI ERA MILANO. ENTRAMBI ARTISTI ENORMI, E UNIVERSALI. UNO DEI PIÙ GRANDI AUTORI DELLA CANZONE ITALIANA DEL SECOLO XX. CHIUNQUE CAPISCA DI MUSICA, O DI POESIA, LO SA" - VIDEO: L'ULTIMO CONCERTO DEL CALIFFO AL SISTINA. DAGOSPIA C'ERA...

 

 

L'ONORE DELLE ARMI
L'editore Alberto Castelvecchi in ricordo di Franco Califano per Dagospia

Mentre scrivo queste righe per salutare Franco Califano scorro i titoli delle edizioni on line di Corriere della Sera e Repubblica. Annunciano la scomparsa del Califfo, «cantore delle borgate». La cosa non del tutto è falsa, per carità. Ma uno che ha scritto "Minuetto", "Tutto il resto è noia", "La nevicata del 56", "Un'estate fa" e centinaia di altre canzoni, non può essere definito in modo così sciatto, un cantore di borgata. Anche perché la media linguistica della composizione letteraria, in Califano, è altissima.

I suoi testi sono scolpiti, modellati, perfetti. Tutte le sue composizioni hanno una misura di versificazione e una maestria melodica straordinaria. C'è da chiedersi se qualcuno se ne ricordi, tra i tanti noiosi corifei del politically correct di questa Italia. Se ci limitiamo alla versione rassicurante del «poeta borgataro» è come se dicessimo «Dante Alighieri, letterato iscritto alla Corporazione degli Speziali di Firenze». Semmai avrebbe senso dire che Franco Califano era Roma tanto quanto Enzo Iannacci era Milano. Ed entrambi artisti enormi, e universali.

Quindi, anche se lo sbigottimento e il dolore sono forti, cerchiamo di dire la verità: Franco Califano è stato uno dei più grandi autori della canzone italiana del secolo XX. Chiunque capisca di musica, o di poesia, lo sa.

Durante la mia carriera di editore ho pubblicato due bellissimi libretti autobiografici del Maestro, «Il Cuore nel Sesso» e «Calisutra». Lavorare a un libro con Franco, insieme al mio amico Paolo Palmarocchi che mi ha seguito in questa avventura, non è un'esperienza paragonabile ad alcun'altra.

Pubblicare Franco voleva dire sedersi per diverse settimane con lui davanti a un registratore, e ascoltare il racconto roco e nasale di mezzo secolo di Italia, per poi cercare di stendere insieme delle pagine sintetiche che il Maestro rileggeva e correggeva con maniacale attenzione.

Anche in questo stava la sua straordinaria intelligenza e umiltà artistica: Franco è stato uno scrittore impareggiabile di versi, e un narratore di storie orali altrettanto fenomenale. Potevi stare per ore ad ascoltare le sue vicende di amicizie, di tradimenti, violenze e amori che si intrecciavano e si rincorrevano negli anni. Però per la stesura in prosa amava confrontarsi e consigliarsi, per poi avere lui, sempre lui, l'ultima parola. E sempre aggiungeva una frase, un'osservazione, un "graffio" d'autore alle storie.

Il successo straordinario dei libri di Franco è dovuto anche alla mano di Roberto D'Ago, che in onore del Maestro organizzò - senza nulla chiedere in cambio, solo amicizia - una festa di lancio nella sua casa romana che rimase davvero memorabile. Quella sera centinaia di persone, giornalisti, artisti, amici vennero a casa di Roberto e Anna a conoscere Califano, a vedere che fine avesse fatto, dopo gli anni bui del carcere e della malattia, il grande chansonnier.

E lo trovarono in formissima, pronto come sempre a tenere il palco e le luci della ribalta. Un po' ruvido e snob, semmai, verso le signore della nobiltà, perché sosteneva (mai smentito dalle interessate) che «alle mignotte piace essere trattate da contesse, e alle contesse da mignotte».

Della grandezza dell'artista Califano si dirà sempre di più negli anni futuri, perché il suo personaggio ribaldo e sbarazzino faceva ombra alla delicatezza e alla grandezza delle sue emozioni e delle sue liriche.

Anche come figura umana Califano aveva un'intensità e un carisma eccezionali: i giovani lo sapevano, e in decine lo chiamavano per chiedere consigli di vita e d'amore, e lui era capace, dopo uno show, di restare con da solo con i ragazzi a parlare e a raccontare per ore. Era emotivo, sensibile e sensitivo ai limiti dell'ansioso, ma la sua capacità di parlare con tutti era incredibile. Voglio ricordarlo per alcune sue doti umane, tutte umane.

La prima cosa è il suo straordinario senso dell'amicizia: era stato amico di gente di ogni tipo, da Mina al criminale di rango Francis Turatello a Bettino Craxi, e non si vergognava di nulla. E guarda caso ci aveva presentato, per l'operazione-libri, un comune amico, il suo (e mio) avvocato, Marco Mastracci, allora poco più che trentenne, ma già impegnato a difendere il Califfo da ogni sorta di guai.

Appena ci ritrovammo da soli, un giorno, Franco mi chiese: «Ma dimme la verità, co' Marco siete amici amici, o è 'na cosa così, de lavoro?» - «'na cosa così come, Maestro»? - «'Nsomma, siete amici... amici de Vaffanculo?» - «Cioè?» - «Cioè che 'n'amico vero te ce poi mannà a 'ffanculo, ma te resta ancora ppiù amico, e per me Marco è 'n fratello, sappilo».

Quando parlava di amicizia Califano si faceva serio, quasi buio, perché lui in anni passati le aveva pagate care certe amicizie e frequentazioni, che gli avevano causato arresti e detenzioni, e altrettante assoluzioni «perché il fatto non sussiste». Ma mai aveva tradito. Una volta mi disse, riassumendo con una delle sue battute fulminanti: «Io che so' 'n cantante, co' la Legge nun me so' mai cantato nessuno».

No, Franco non parlava mai male né di un amico (e ne aveva pochi) né di una donna (e ne aveva avute, da sempre, moltissime). Il suo stile di corteggiamento era antico, romantico, galante, una cosa assolutamente fuori tempo. Poteva dire a una ragazza appena conosciuta «sei una Venere, i tuoi occhi hanno una luce senza veli, sono cuore e vita» e tu la vedevi, immancabilmente, la corteggiata, restare di stucco.

Altro che coatto di periferia, il Maestro era uno che entrava direttamente in contatto con le viscere dell'esistenza, con i desideri più inconfessabili, era il corteggiatore focoso e l'amante «di una botta sola, ma data cattivamente e a mestiere: inutile farne tante, la seconda è già da facchino. Se sai fare quello che devi fare, te se ricordano per sempre».

La sua vita di amatore è stata infaticabile e vasta: «a Milano, tranne le vecchie e le impresentabili, ho praticamente esaurito l'elenco del telefono». E la sua carriera di playboy ne fa, con il suo amico Maurizio Arena, uno dei grandi Casanova degli anni della Dolce Vita. Il racconto delle sue scorribande galanti negli anni Sessanta e Settanta era sempre affascinante ed esilarante: «Io e Maurizio avemo espugnato Parma come Giulio Cesare Augusto Trionfatore, camminando su tappeti... distese de fica fino all'orizzonte».

Su questo aspetto non secondario della sua vita ho assistito di persona a quello che potrei definire «l'Onore delle Armi». Una sera d'estate andiamo al Circeo con Franco e una ristretta banda di suoi amici a presentare il suo ultimo libro, in un albergo sul mare. Nella hall incontriamo per caso il Re del Porno Rocco Siffredi con la sua bellissima moglie ungherese e i due piccoli figli.

Rocco non aveva mai incontrato Franco, ma con assoluta serietà e sincera ammirazione gli si avvicina e lo saluta come un giovane greco avrebbe salutato Ulisse o un altro Eroe Acheo. Poi, nel nostro sbigottimento generale, chiama vicino i due piccoli figli e dice forte e chiaro: «Bambini, salutate e rispettate questo Signore, che è il Maestro Franco Califano. Perché ha avuto tante donne quante papà, solo che per lui non è mai stato un lavoro. E inoltre... ha scritto le canzoni più belle d'Italia».

Ormai conoscevo Franco abbastanza bene da poter dire quando era commosso: ebbe una specie di trasalimeno del capo all'indietro, e poi i due Titani dell'alcova si abbracciarono a lungo senza dire nulla.

Oltre che come artista, Franco era impareggiabile perché, come pochi, sapeva ridere delle sue disgrazie: i suoi racconti sulla vita carceraria, anche negli aspetti più squallidi, erano romanzi picareschi. Come è vero per tutti i grandi artisti, Franco piaceva a intellettuali raffinati come Nanni Moretti, a ragazzi di cuore come Fiorello e anche alla gente comune, tanti ragazzi, tranvieri, tassisti, casalinghe e poveri «fiji de 'na mignotta» pasoliniani: diseredati, disoccupati, drogati e carcerati.

Tutte quelle persone di cui, ci ricorda proprio in questi giorni di Pasqua il Pontefice, sarebbe bene che ci occupassimo un po' di più. Di tutti questi, e di tutti noi, il Califfo è stato il confidente e il cantore. Tutto il resto, si sa.... ciao, Califfo.

 

Califano in concerto PANNELLA CALIFANO Alberto Castelvecchi e Rberto D'Agostino - Copyright PizziFRANCO CALIFANO E FIORELLA CECCACCI RUBINO es11 califano palombelliDAGO E CALIFFO califfo libro senzamanette02califfo libro senzamanette01califfo libro senzamanette berlusconi03rossella califfoCALIFANO DAGO E CALIFFO CALIFANO

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