IL LIBRO DELLA SERVA(DIO) – LADY FERRARA AMA GLI ANEDDOTI E IL GOSSIP DEL LIBRO DI GAIA SERVADIO MA STRONCA IL “SUO SINISTRISMO DA CENTRO SOCIALE”…

Anselma Dell'Olio per "il Foglio"

Se sotto il doodle del giorno si googla il nome "Gaia Servadio", tra i primi link della lista c'è quello che collega a Dagospia. Accanto alla fotografia della scrittrice negli anni della Swinging London, nel fulgore della sua stravagante beltà esaltata dalla lunga capigliatura dorata, ce n'è una seconda che troneggia: un nudo frontale a figura intera di Gianni Agnelli sulla sua barca.

"Raccogliamo le vele" (Feltrinelli, 446 pp., 22 euro) è l'autobiografia della bionda rubacuori, artista italiana per nascita e inglese per affinità elettive, due mariti aristocratici e lunghissima residenza britannica. Accanto al nome le sue competenze richiedono più trattini, è una persona "very hyphenated" come dicono gli americani (da lei poco amati) in quanto è definita nel risvolto di copertina pittrice-poeta-saggista-narratrice ma con le virgole al posto dei trattini.

Di suo lei aggiunge "name-dropper", e il suo libro certamente non delude se ci si diverte a leggere tic, stronzaggini, generosità e altre infinite gustose chicche su persone i cui nomi di solito appaiono o apparivano in grassetto sui giornali, da Anthony Quinn ad Alberto Arbasino, da Harold Acton e Evelyn Waugh a Maria Callas e Aristotele Onassis, da Marco Ferreri a Mary McCarthy, dal pittore cileno Matta a Madame e Monsierur Ionesco, da Inge e Giangiacomo Feltrinelli e Kenneth e Katharine Tynan a Sir Isaiah Berlin, Philip Roth, Vita Sackville-West, Irving Berlin, la lista è variegata, lunga e di qualità.

Di solito queste confessioni-amarcord con tante celebrità nominate e a volte amate e adulate (Claudio Abbado è tra questi) a volte spernacchiate o smutandate (Marco Ferreri che fugge con la cassa di un film girato a Parma con Gaia protagonista; ma dice di essere negata come attrice, e con la mascella troppo volitiva per i cinematografari), di solito, si diceva, contengono alla fine l'indice dei nomi e le pagine in cui sono citati.

In "Raccogliamo le vele", dopo la traduzione delle lettere a lei indirizzate riportate per intero nel corpo del libro in originale e i ringraziamenti, non ce n'è l'ombra. Sembra una svista, ma forse è un'astuzia per costringere i lettori a leggerlo dall'inizio alla fine, anziché limitarsi a leggere le sole pagine dei personaggi che interessano, saltando il resto. Servadio si descrive anche poco furba ma forse esagera.

E' assai divertente che la prima citazione tra quelle che aprono ogni capitolo della lunga, movimentata navigazione (il titolo è virgiliano, dall'"Eneide") è di Alphonse de Lamartine, da "Cose viste" di Victor Hugo: "Che cosa mi consigliate? Devo parlare o starmene zitto?". Gli ho detto: "Non parlate. Rimanete in silenzio... Volate alto". Sembra paradossale se si pensa, tanto per fare un esempio della generosa spruzzata di gossip gustoso nelle sue 445 pagine, al resoconto di come a volte terminavano gli incontri d'alcova con Agnelli nella sua dimora; all'arrivo di Marella "suonavano tante campanelle" e casco d'oro si eclissava.

Non è male nemmeno la freccia avvelenata che scocca all'ex amante con l'orologio sopra il polsino della camicia, a proposito della prima èra del dopo-Gaia. A un certo punto il capriccioso Mr. Fiat la soppianta con una non meglio identificata americana; di sicuro non incrementando la considerazione dell'italiana per gli yankee. Se Gaia consigliava all'Avvocato collezionista d'arte, quadri d'autore d'epoca a prezzi vantaggiosi, su suggerimento della nuova arrivata, lui si mette "a comprare Warhol, come tutti".

Tiè. Il libro pullula di divertenti aneddoti minori e no, specie nella prima parte, come la descrizione di conversazioni con cantanti d'opera russi incontrati al festival d'Edimburgo. Si esprimevano in un italiano infarcito di parole desuete e locuzioni ed espressioni da libretto di melodramma, ad esempio "Se mai un dì tornassi", "Ella giammai è qui?", "O sì bella colà è il tramonto". E' esilarante ed è successo anche ad altri con cantanti lirici che hanno imparato l'italiano mandando a memoria le opere che cantano.

La seconda parte del libro cambia tono e contenuto. Pur affermando il suo disgusto per il conformismo, ossia la correttezza politica, non si rende conto di sguazzarci dentro splish-splash. Odia Blair manco fosse un torturatore di bambini, poiché secondo lei è "più a destra della Thatcher", il più ferale degli insulti, of course. In questa vena perde lo spirito ironico british e forse ebraico che le è naturale, ripetendo senza guizzi né freschezza di sguardo, critiche fin troppo sentite, senza variazioni.

E' vero che era "figlia della guerra, non potevo dimenticarlo anche se avrei preferito non saperlo". Nasce nel 1938, papà descritto come "il giudeo Luxardo Servadio" vigenti le leggi razziali. La famiglia deve fuggire, nascondersi, fingere di essere ariana, il papà si traveste da maggiordomo in un palazzo nobiliare. Stringe il cuore leggere del sentimento di vergogna che straziava lei e il padre, come per tanti ebrei durante (e dopo) le persecuzioni, ulteriore pena inflitta ai tanti perseguitati sopravvissuti di un'Europa pervasa dall'onda irresistibile dell'antisemitismo di stato senza freni inibitori. (Di recente una giovane, bella e brava truccatrice Rai, ascoltando una discussione sulle persecuzioni antisemite, ha detto candida: "Ma qualcosa avranno pur fatto questi ebrei!".

Forse il dubbio è venuto anche a quelli di colpo diventati paria nel proprio paese). Essere esclusi da tutto come appestati, privati della cittadinanza, ridotti a persone "cenciose e affamate" è l'imprinting dei primissimi anni di vita della ragazzina Gaia, così decisivi. Forse per questo resta abbarbicata a fumanti disprezzi e giudizi senz'appello per qualunque cosa non progressista, non "dalla parte giusta". Le sue pensées politiche sembrano caricature del peggior Travaglio, su Berlusconi, figurarsi, con una visione apocalittica di un'Italia da lui rovinata, degradata e boschiana, tendenza Hieronymus.

Mattei, Kennedy, Moro, Calvi, Giovanni Paolo II e altre illustri vittime sono - non ha dubbio alcuno l'autrice - uccisi dalla mafia, soggetto di un suo libro-inchiesta (ne ha scritti diversi, tra romanzi, biografie e saggistica). Il suo sinistrismo da centro sociale al cubo fa tenerezza, tanto è dietrologico, assertivo, manicheo, avvolto in polverose Certezze Assolute su misteri e fattacci italiani.

Persino i giudici inglesi sono per lei conculcati e corrotti dalla criminalità collusa con lo stato (il caso di Calvi penzolante dal Blackfriars Bridge) e sospetta che un incendio nella sua casa di Londra fosse una ritorsione per il suo libro sulla mafia. Per fortuna Servadio è assai incoerente, come le persone migliori, molto più amusing degli integerrimi. Parla con lo stesso orgoglio e soddisfazione di aver avuto la tessera del Pci, e di aver sposato in prime nozze un aristocratico, Willy Mostyn-Owen, padre dei suoi tre figli, storico ed esperto d'arte che ha lavorato come assistente di Bernard Berenson ai Tatti, e poi per la casa d'aste Christie's, tra le più celebri del mondo.

Non le dispiace essere stata la padrona di casa di un castello in Scozia, o di essersi stabilita nella capitale a Belgravia, il più elegante dei quartieri di Londra ieri e oggi, che ha enumerato tra i residenti primi ministri (anche l'odiata Lady di Ferro), oltre a Chopin, Mozart, Tennyson, Mary Shelley e molte star del cinema, e dove è nato Lord Randolph Churchill, papà di Sir Winston. Scrive di aver saputo da altri che suo marito era ricco. A lei passava cinque sterline alla settimana che dovevano bastare per tutto. Così la giovane castellana, moglie e madre si butta nel giornalismo, sia inglese sia italiano per testate di livello, per potersi permettere (e fare) viaggi e altre cose bramate.

Era, è impaziente e golosa di viaggi, avventure, musica, arte e incontri, meglio se con personalità di spicco. I giri che frequenta le permettono nel 1975 di organizzare cene per introdurre Giorgio Napolitano ai politici di sinistra britannici di rango, come Tony Benn e Lord Dahrendorf, cui desiderava spiegare il compromesso storico. Il futuro presidente le scrive per ringraziarla e chiedere altri favori, la lettera è riportata come molte altre di persone note.

Le scrive Eric Hobsbawm, suo grande amico, che un direttore delle pagine culturali dell'Unità d'allora descrisse "antipatico come la merda". Servadio è stravagante, eccessiva, bulimica di varietà, curiosa, impulsiva e poco prudente. Nel 2005, ben consapevole della brutalità del regime dittatoriale, accetta di organizzare un festival culturale per rifare il trucco alla Siria, per conto di Asma e Bashar el Assad, lui da anni noto alle cronache per il massacro continuato dei propri cittadini. L'entusiasta italiana si dà da fare, prende casa a Damasco (ne aveva una ad Aleppo in precedenza, innamorata degli arabi com'è consuetudine inglese) viaggia, incontra, convoca, fa contratti con alti esponenti delle arti europee di livello.

A organizzazione del festival già avanzata, le fazioni di corte della famiglia estesa degli Assad, secondo Gaia il vero potere in Siria, fanno pollice verso, ed è pregata di accomodarsi alla porta, non se ne fa più niente. Delusa, torna a casa con nel sacco un'esperienza esotica e basta. Affamata d'arte, avventure, vita e incontri, adora Londra perché crocevia culturalmondano internazionale che fa impallidire altre capitali. Scrive del "sorriso predatorio" di Mary McCarthy, descritta da una compagna di scuola in modo più icastico: "All'imbrunire, piccoli animali venivano estratti da quel sorriso...".

Per Gaia, Mc- Carthy era una cara amica generosa, che aveva deluso assai Agnelli perché lui pensava di trovare l'autrice spregiudicata del "Gruppo", e "gli viene un colpo" quando scopre la moglie di un diplomatico "in una casa di pescatori imborghesiti" a Bocca di Magra, dove l'americana passava le vacanze con Gaia e famiglia.

E' felice per il suo primo pezzo accettato per la pubblicazione dal Mondo di Pannunzio; poi arriva dalla redazione la richiesta di firmarlo "Gaio" Servadio. Roma e Londra, osserva più volte la giornalista involontariamente transgender, nei giri intellettual- culturali e no, erano e sono ancora luoghi maschiocentrici. Il suo stupore indica una ferita mai rimarginata, sempre nuova.

La sofisticata, esperta giramondo è ancora scioccata dalla perdurante inferiorità globale delle femmine, per quanto cariche di allori siano. Forse se n'è fatta una ragione ma l'anima ribelle batte ancora sotto i travestimenti stravaganti. Dalle foto sul web, non si percepisce il suo sfrontato anticonformismo sartoriale. Se vuole è un'elegante signora bene di gusto italiano.

Altre volte si traveste da eccentrica, sincretica inglese, come ricorda Leonetta Bentivoglio nella sua recensione. Ricorda un viaggio aereo fatto insieme con Gaia anni fa per intervistare Paul McCartney "prima della mummificazione". Scrive l'inviata di Repubblica di colei che partiva per l'incontro con l'ex Beatle per il Corriere della Sera: "Spiccava fra i passeggeri come un violento mix di pennellate di colore. Portava un cappello impavido e folle, ornato da ghirlande floreali penzolanti a pioggia. L'abbigliamento, inclusivo di drappeggi violacei, la rendeva una bandiera di se stessa".

A casa di questa artista multiforme, si incontrano letterati, politici, aristocratici, la crema della società inglese e internazionale. E' successo che aprisse la porta di casa sua all'ora dell'invito a cena con persone di riguardo in preda a un forte raffreddore, imbacuccata in scialli, sciarpe e stivali imbottiti, con calata sulle bionde ciocche uno stravagante shapka russo di pelliccia, detto Ushanka, con i copri-orecchi tirati su.

Da brava inglese di riporto, impavida di fronte alle intemperie (il celebre "stiff upper lip") si capisce che non è stata neanche sfiorata dall'idea di annullare o rimandare tutto a data futura. La conversazione è all'altezza delle attese, incimurrita o no. Nel libro evita quasi totalmente di parlare della sua vita privata, quelle tribolazioni e vicende intime che forgiano tanta parte della nostra interiorità nelle loro fiammate.

Solo la fine del primo matrimonio merita allusioni a dolori profondi: "Se avessi continuato a incassare mi sarei buttata sotto un treno". Ma con Hugh Myddelton Biddulph, cugino di Willy, primo marito, è amore a prima vista; dice poco di lui ma pare contenta. Si potrebbe dire con snobismo anglosassone che tra frequentazioni e matrimoni aristocratici e la fierezza di essere una "card-carrying Communist", come si diceva durante la Guerra fredda, che sia "a mixed bag". E' più giusto e aderente che la si definisca, mutuando le righe dell'impareggiabile poeta (amerikano?) Walt Whitman: "Sono vasta; contengo moltitudini".

 

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