CHINAGLIA, L’ULTIMO BOMBER - LA LAZIO DI “LONG JOHN” ERA UNA SQUADRA ASSURDA ED ESAGERATA DOVE CIRCOLAVANO PERSINO LE PISTOLE NEGLI SPOGLIATOI, ASSOLUTAMENTE INCONCEPIBILE OGGI - IL FAMOSO VAFFA A VALCAREGGI E LE BOTTIGLIE SPACCATE NEGLI SPOGLIATOI PER LA SOSTITUZIONE IN ITALIA-HAITI AI MONDIALI ‘74 - UN’ESISTENZA FATTA DI RISSE, DI TRUFFE, DI ESPEDIENTI - FUGGÌ IN AMERICA: "SUA MOGLIE, AMERICANA, UN GIORNO GLI DOMANDA COSA SIGNIFICA MIGNOTTA"…

Fabrizio Bocca per "la Repubblica"

Quello scudetto della Lazio ´74 sta morendo un po´ alla volta. E ogni volta quando non te l´aspetti. Un cancro che si porta via Maestrelli, un colpo di pistola per Re Cecconi, un incidente d´auto per Frustalupi, e ora un infarto che uccide a 65 anni, nella sua casa di Miami, troppo, troppo lontano da Roma e dalla Lazio, Giorgio Chinaglia e la sua storia di gol e vittorie, tifo e passione. Ma anche calci, schiaffi, pugni, notti insonni, poker, whisky, soldi. E perfino truffe e guai con la giustizia.

Uno che la vita l´ha affrontata così come giocava, un cavallo imbizzarrito, irruente, gobbo sul pallone: uno degli ultimi centravanti nel vero senso della parola, di quelli che sventrano il campo, che si caricano addosso squadra e Olimpico intero - "Long John" e "Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia" sono ancora oggi 40 anni dopo l´urlo della Nord -, non accarezzano il pallone, lo pretendono dal compagno o lo sradicano dal difensore, lo trattano senza complimenti e poi sfondano.

Uno che oggi chiamerebbero leader e allora era un capoclan, uno cui la palla era obbligatorio darla pena prendere calci nel sedere, come capitò a D´Amico. Potevi aspettarti che Chinaglia finisse in un altro guaio, magari che lo condannassero un´altra volta, non che morisse adesso.

Quel ragazzone che il padre a Cardiff impedì che si avviasse al rugby, cambiò con lo scudetto del ´74 la storia di un club piccolo che andava e veniva dalla B. Era figlio di un emigrante e lui stesso aiutava nei ristoranti dove il padre lavorava e che sperava un giorno di possedere, per sfuggire alle miserie della fonderia e della miniera. La sua storia di calciatore cominciò allo Swansea in Galles, passò la serie C italiana, culminò nella Lazio e terminò addirittura nei Cosmos di New York, la squadra della Warner Bros che ingaggiava i più grandi campioni da Pelé a Beckenbauer. E di cui divenne uomo gol e idolo. Poi perfino presidente, nel momento della decadenza però: una caratteristica della sua seconda vita, quando tutto sta per sfasciarsi lui vuole essere ben presente.

Come accadde anche con la Lazio che aveva abbandonato nel ´76 e che da presidente "Zio d´America" trascinò in B nonostante Giordano e Manfredonia. Una parabola di cui non dimenticò mai quell´inizio duro: arrivò alla nazionale che ancora giocava in B e vi giocava con un tale ardore proprio perché camerieri, operai, minatori, carpentieri emigrati, vessati e malsopportati anche in Galles, erano il suo mondo.

Così come Tommaso Maestrelli il suo padre adottivo e la moglie Connie, a disagio nell´ambiente acre di Roma, la fuga nel futuro, l´America. "Sua moglie, americana - scrive Brera - un giorno gli domanda cosa significa mignotta". Se ne andò forse più per quello che per il fiume di dollari di cui gli americani l´avrebbero ricoperto e che lui avrebbe ovviamente dilapidato.

La Lazio di Chinaglia era una squadra assurda ed esagerata - dove circolavano persino le pistole negli spogliatoi -, assolutamente inconcepibile oggi. Giorgione, che la fascia di capitano se l´era praticamente accaparrata, era il capoclan (con Wilson), quello rivale faceva capo a Martini (con Re Cecconi). La partitella del venerdì era un buon sistema per scommettere e regolare i conti. Maestrelli apriva la sua casa ai giocatori e soprattutto a Chinaglia. Dopo il famoso vaffa a Valcareggi e le bottiglie spaccate negli spogliatoi per la sostituzione in Italia-Haiti ai Mondiali ‘74, dovettero chiamare proprio Maestrelli per riportarlo alla ragione.

Non si dette mai pace Chinaglia della malattia che stava uccidendo il suo padre-allenatore: era ogni giorno a casa sua e ne portò la bara a spalla ai funerali.
Non accettò mai l´uscita di scena dopo i Cosmos, era incapace di gestire una vita normale, piuttosto fu bravissimo ad accelerare e spettacolarizzare il declino. Invischiandosi per questo in denunce e condanne per aver cercato sponde impossibili per rientrare nel calcio: vedi la vicenda della presidenza del Foggia i Casalesi o un´inesistente azienda di farmaci ungheresi per riprendersi la Lazio, la multa della Consob per aggiotaggio. A Roma poteva capitare di vederlo entrare in un ristorante e non ordinare la cena ma solo una bottiglia di whisky.

Il rigore al Foggia alla penultima del campionato ‘73-‘74 - quell´anno ne avrebbe segnati 24 in sole 30 partite - è rimasto come una delle ultime icone di un´epoca in cui era possibile strappare ancora uno scudetto alla Juve, all´Inter o al Milan: e capitò in quegli anni anche al Cagliari, alla Fiorentina, al Toro. È morto, curiosamente, lo stesso giorno di Antonio Ghirelli, che proprio nei suoi anni era direttore del Corriere dello Sport.

Lascia ricordi e le tracce più disparate: i fratelli De Angelis, alias Oliver Onions - autori della colonna sonora di Sandokan - scrissero per lui "(I´m) Football Crazy", un po´ trash ma molto orecchiabile e ricorrente nelle radio di allora. E Rino Gaetano lo infilò nella sua canzone più bella: "Mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone". L´epoca di un calcio rozzo, ma molto più vero.

 

 

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