MALIBÙ È DIVENTATA LA “SAN PATRIGNANO” DI HOLLYWOOD: IN CITTÀ CI SONO 35 CLINICHE PER LA CURA DI DIPENDENZE DI OGNI TIPO (DROGA, ALCOL, SESSO E AMORE)

Francesco Chiamulera per "Il Fatto Quotidiano"

Sui prati che sconfinano nell'Oceano Pacifico pascolano le caprette. Qualcuno, oggi, a Malibu, Southern California, si occuperà di loro. Ma non sarà un pastore, né un casaro spinto dal lavoro o dalla necessità. A pettinarle, curarle, eventualmente mungerle sarà una celebrità di Hollywood o un manager di una grande compagnia, venuto qui, al rehab, per disintossicarsi dalle proprie dipendenze.

Prima di dedicarsi alla peculiare pet therapy proposta dal centro, forse solcherà il sentiero infiorato di bouganville, passerà accanto alle piscine e ai campi da gioco, sfiorando l'erbetta rasata con i piedi nudi. Allo stesso modo in cui, nella Versailles settecentesca dell'opulenza e della noia, Marie Antoinette si crogiolava con le pecorelle del parco del Petit Trianon, l'angolo di isolato privilegio che la giovane regina si era regalata. E non è un caso se a tracciare un ardito, geniale parallelo tra l'America di oggi e la Francia di allora è stata una regista cresciuta propria a Los Angeles come Sofia Coppola.

SIAMO A MALIBU, cittadina californiana affacciata con dolci pendii e viuzze ritagliate nel verde su un mare sconfinato. La stessa costa incantata dove, qualche centinaio di chilometri più a nord, inseguendo la propria estrema ambizione, il magnate della stampa William Randolph Hearst edificò negli anni ‘20 e ‘30 il suo immenso castello personale, un trionfo di kitsch e di solitudine a precipizio sull'Oceano.

A Malibu, in questi anni, avviene qualcosa di curioso: oltre trenta centri di riabilitazione per ricchissimi privilegiati hanno aperto le porte a chi soffre di dipendenza da alcool, droghe di vario genere (dalla cocaina agli antidolorifici), sesso e persino, come recita la brochure di uno dei rehab, dipendenza d'amore (cos'è?).

Ma quello che cambia è il modo in cui questi centri curano le dipendenze. Lo fanno in coerenza con i tratti della nostra epoca: nel cuore della California che Reagan santificò come il regno dell'edonismo e della ricostruzione artificiale delle esistenze, delle sensazioni, della salute stessa,intorno a quel desiderio di eterna palingenesi e rigenerazione che si identifica con il sogno americano, è nata una cosa nuova, una specie di ibridazione tra una clinica e un luna park. É la "Rehab riviera", la cui capitale è appunto Malibu.

Un luogo dove rilassarsi, divertirsi, fare corsi di cucina, di bricolage, di recitazione, provare le pietanze di una équipe di chef, curare piccoli animali, tenere diari. Il tutto secondo la regola della terapia individualizzata, pensata cioè per adattarsi perfettamente alla personalità del soggetto, che anzi è invitato a pescare nel menù delle attività possibili quella che più gli piace (equitazione? Yoga? Danza?).

É il tramonto dell'antico modello del centro di recupero, quello duro, aggressivo, di attacco alle dipendenze basato su una sorta di penitenza forzata per far fronte alle crisi di astinenza (si pensi alle catene di Muccioli, per restare in patria). La clinica del Terzo millennio, perlomeno nella sua declinazione californiana, si fonda sul piacere, sul comfort, sulla dolcezza del vivere, persino sull'entertainment.

Con una postilla: frequentare uno dei centri di Malibu - con trattamenti che viaggiano intorno agli 80mila dollari al mese - è anche uno stigma di privilegio. Non a caso il padre di Lindsay Lohan ha raccontato di come la giovane attrice avesse cominciato con la ferrea disciplina del Betty Ford Center (pionieristicamente concepito dalla first lady che veniva da una storia di alcolismo, noto per la rigidità e durezza dei metodi di "recupero") ma sia volentieri passata al Cliffside Malibu, uno dei più noti dei centri di nuova concezione, fondato dal milionario Richard Taite.

Come lei ha fatto una lunga serie di celebrità, da Britney Spears a Ben Affleck (entrambi hanno provato il centro Promises), da Mel Gibson a Natasha Lyonne (curati alla clinica Passages). Mentre sono noti e antichi i tentativi di disintossicarsi di Michael Douglas, tra i primi a fare coming out, e di Ben Affleck.

In un saggio di fine anni Sessanta, James Wilson raccontò le due generazioni di californiani che si avvicendavano: i padri, quelli che Steinbeck fotografò nei suoi libri, erano immigrati che venivano dagli stati americani interni, gente dura, forgiata da genitori rigorosi, spesso protestanti tradizionalisti, che avevano conosciuto la fame e che portavano nel cuore un desiderio di redenzione attraverso il sacrificio e il lavoro. I figli erano già un'altra cosa, nati nel sole e nelle comodità, in una tecnologia che avrebbe fatto della regione il cuore dello sviluppo americano dei decenni successivi e in Los Angeles e San Diego le capitali mondiali dei fitness center.

Un altro mondo. In questo passaggio di testimone si ritrova il profondo cambiamento antropologico della Southern California di oggi, dove trionfano i nuovi esperimenti di cura. A scorrere le proposte di rehab che girano su internet si resta colpiti dall'inclinazione disinvolta ed edonistica delle possibilità offerte: www.rehabs.com   invita a scegliere tra "i più lussuosi centri" d'America, Passages è un trionfo di colonnati, capitelli corinzi e reception illuminate a giorno.

Il bianco degli intonaci, i tetti a tegole rosse, i corridoi ampi e freschi, dove scivolano silenziosi inservienti dediti al benessere esclusivo degli ospiti paganti. Uno di questi siti promette "lusso, comfort e compassione". Strana triade. E qui nasce il tremendo sospetto. Dov'è il confine tra patologia e invenzione della patologia, in un mondo di superfluo, di possibilità illimitate e di ego ipertrofico?

"They tried to make me go to rehab, but I said, No no no", "hanno cercato di farmi andare in clinica, ma io ho detto no, no, no", cantava Amy Winehouse: "non ho tempo... starò meglio... non ho voglia di passarci dieci settimane mentre la gente sa che mi sto curando". Un angolo di pudore antico, la struggente sincerità di una cantante che ha pagato con la vita le proprie dipendenze e che odiava il rehab, luogo di penitenza ed espiazione dove incontrava i suoi fantasmi.

In confronto a certi racconti di Malibu - i cittadini della località infuriati perché i vip escono dalle cliniche la notte con le macchine rombanti, fanno festa per strada e rovinano i giardini di tranquille villette, e un gran viavai di estetiste, donne delle pulizie, parrucchieri, cuochi, vetture di lusso - quella di Amy sembra una storia improvvisamente, dolorosamente vera.

 

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