la vedova allegra michieletto

LA VEDOVA È SEMPRE ALLEGRA – MATTIOLI: "IL GRANDE RITORNO DELL'OPERETTA: IL 2 FEBBRAIO ALLA FENICE LA MESSINSCENA DI DAMIANO MICHIELETTO - IL COCCIA DI NOVARA HA ANTICIPATO TUTTI PROPONENDO DUE AFFOLLATISSIME RECITE DELLA VEDOVA, IL 19 DEBUTTA ALLA SCALA “IL PIPISTRELLO” - "SARÀ PURE 'PICCOLA LIRICA' MA CONFERMA UNO CHARME UN PO' APPASSITO MA INDISCUTIBILE" - VIDEO

la vedova allegra

 

Alberto Mattioli per la Stampa

 

Quante Vedove allegre.

Non soltanto nella vita, si sa, ma anche in palcoscenico. E quanti Pipistrelli .

Lehár e Johann Strauss: nei teatri d' opera italiani è scoppiata un' operettite acuta. Così hanno festeggiato la fine d' anno con Lehár sia il Bellini di Catania (con la regia di Vittorio Sgarbi, pazienza) sia il Verdi di Padova. Quanto al Pipistrello , ha appena svolazzato sul Petruzzelli di Bari.

 

Adesso scendono in campo anche i teatroni. Il 19 debutta alla Scala (debutto assoluto: non ce l' hanno mai fatto) appunto Il pipistrello , anzi Die Fledermaus , perché le parti cantate saranno nell' originale tedesco e quelle recitate tradotte in italiano. La regia è dell' illustre attore austriaco Cornelius Obonya, dinastia di teatranti fin dai tempi di Max Reinhardt, che annuncia un' ambientazione contemporanea fra il jet set internazionale che scia e si annoia a Kitzbühel, la Cortina austriaca.

damiano michieletto

 

La Fenice risponde il 2 febbraio, in pieno Carnevale, con una nuova Lustige Witwe , appunto La vedova allegra ma stavolta tutta in tedesco, cantati e parlati, con la messinscena del più illustre e discusso dei registi d' opera italiani, Damiano Michieletto. Tutta l' azione si svolgerà, pare, nel caveau di una banca dove sono custoditi i 50 milioni ereditati dalla Vedova che servono a evitare la bancarotta del Pontevedro (altro che il «quantitative easing» di Draghi). In ogni caso, siamo agli antipodi delle vecchie produzioni di giro, quelle che davano sempre l' impressione di essere concepite per le matinée con gli ospiti della locale casa di riposo, con tutto il rispetto, beninteso, per le case di riposo (e anche per le matinée).

 

la vedova allegra novara

Intanto il Coccia di Novara ha anticipato tutti proponendo due affollatissime recite della Vedova . In questo caso, una produzione ipertradizionale ma saporosa, con la regia abile di Renato Bonajuto affiancato dal sommo sacerdote italiano del culto operettistico, Andrea Merli. Tutto classicissimo ma accurato, benché low cost . Peccato per la direzione puntuale ma in bianco e nero di Giovanni Di Stefano, in linea con una compagnia dove forse la coppia giovane, con l' ipercinetica Valencienne di Marta Calcaterra e il Camille forse meglio da vedere che da sentire di Nestor Losan risultavano più accattivanti dei pur solidi Manuela Bisceglie e Mauro Bonfanti, Hanna e Danilo. Invitata speciale «chez Maxim' s» l' inossidabile gloriosa Daniela Mazzucato, giustamente festeggiatissima fino al tripudio. Con lei e con il marito, Max René Cosotti, che faceva il Njegus, si è visto cos' è lo stile, accessorio impalpabile ma decisivo di cui a teatro ci si accorge forse di più quando non c' è.

 

Passando dal particolare al generale, quest' ondata di operette ha comunque un pregio.

Sarà pure «piccola lirica», ma se è fatta come quella grande conferma uno charme magari un po' appassito ma indiscutibile. Lehár è un grande musicista. E non diventa mai così evidente in un teatro d' opera «vero», con vere orchestre e veri cantanti. Si dovrebbe tentare la stessa operazione con i musical migliori: funzionerebbe, come del resto ha dimostrato la gestione di Jean-Luc Choplin allo Châtelet di Parigi.

 

la vedova allegra

Ma la ragione per la quale si torna ad apprezzare un repertorio apparentemente così datato è più sottile e forse anche più inquietante. Come al solito, il passato serve a leggere il presente. E allora il punto è che, dietro le sue scempiaggini, le frivolezze, la vita annegata in una coppa di champagne, il valzer perenne, si sente in questo repertorio il profumo di una civiltà morente. Anche senza volerlo caricare di pesi eccessivi, s' intravedono in filigrana, minacciosi e lugubri, il finis Austriae , la Kakania, i romanzi di Roth, ogni possibile decadenza absburgica.

 

ALBERTO MATTIOLI

Dopo i valzer arrivano le trincee; dopo le trincee, la cripta dei cappuccini. L' operetta, specie quella viennese (l' opéra-bouffe francese è invece satirica e corrosiva, mai consolatoria), è la colonna sonora di una società che si sente minacciata. E che l' apocalisse sia gaia non rassicura nessuno. Sembra proprio, quindi, che stia parlando di noi, ugualmente nostalgici del passato, insoddisfatti del presente e inquieti per l' avvenire. Forse per questo torna a piacerci (o, meglio, a non dispiacerci: è lo stesso, ma con meno divertimento).

 

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