gianni minà

UN MINA’ VAGANTE! DIEDE QUASI FUOCO ALLA CASA DI DIZZY GILLESPIE. DURANTE UN’INTERVISTA MENTRE IL JAZZISTA SFODERAVA LA PROPRIA TROMBA DA UN SACCHETTO DI CARTA (“È PER QUESTO CHE MI CHIAMANO DIZZY, LO SGUALCITO”), UN FARO AVEVA INCENDIATO UNO DEGLI ARCHITRAVI. TRA LA MORTIFICAZIONE DI MINÀ E LE URLA DI SUA MOGLIE, IL MUSICISTA CONCLUSE: “MAI VISTA UNA LUCE PIÙ CALDA” - JAMES BROWN GLI CONFIDÒ CHE RUBAVA PEZZI DI AUTO PER AVERE QUALCOSA DA MANGIARE - E A KINSHASA PER L'INCONTRO ALI- FOREMAN… - VIDEO

 

 

 

 

Marco Ciriello per https://mexicanjournalist.wordpress.com/

 

gianni mina

1)      Piacere, Gianni: in Italia un nome che è investimento. Rivera, Brera, Mura, fiducia ad oltranza. Vicinanza e trasversalità, come Boncompagni e Morandi. Educazione per Rodari. Eccellenza per Agnelli. Gianni Minà le ha riassunte tutte.

 

2)      Il destino scritto da chi l’aveva preceduto: da nipote di garibaldino avrebbe indossato una camicia rossa, erede di sfollati del terremoto di Messina corse per primo per raccontare il Friuli per la Rai. E anche se il padre fu fascista salvò la vita e aiutò comunisti a scappare. Sempre dalla parte del buonsenso.

 

3)      Come il jazz che amava, ha vissuto senza confini prestabiliti, annegando nelle vene aperte dell’America Latina tra Brasile, Cile, Messico e Cuba, capace di virtuosismi nell’Argentina di Videla, narrando l’Africa senza mostrarla come succube, mantenendo sempre il grigio fumé del cielo di Torino, sognando una rivoluzione in LA.

Gianni Mina con Renzo Arbore, Fiorella Gentile, Michael Pergolani, Maria Gentile, Fabrizio Zampa, Irene Bignardi e Mario Marenco - l'altra domenica

 

4)      Come un tridente d’attaccanti, i suoi maestri furono Antonio Ghirelli, Maurizio Barendson e Sergio Zavoli. Dai napoletani imparò a costruire l’analisi e la connessione, mentre dal romagnolo la possibilità di arrivare a tutti. Sempre guidato dalla curiosità, spirito di avventura salgariana e senza perdere la tenerezza.

 

5)      In una controstoria mai fuori tempo massimo, da europeo, si fece conquistare dall’altro Brasile: Vinícius de Moraes, Toquinho, Chico Buarque, seduti alla tavola del Moro, a Roma. Il poeta raccontando di Ungaretti a San Paolo, gli altri alternandosi alla chitarra. La “patria umana” di esuli assediava Fontana di Trevi.

 

dizzy gillespie

6)      Preferiva i velocisti perché donavano l’illusione che l’evoluzione dell’uomo sarebbe arrivata prima del previsto. In Messico nel ’68 vide i pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos colpire il razzismo, e con Pietro Mennea, nel ’79, pianse vedendo il Sud correre con orgoglio e un record verso il futuro.

 

7)      A pensarci bene la copertina di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” potrebbe essere solo una pagina dell’infinito album di Minà. Probabilmente neanche la migliore.

 

8 )     Perdendo Woodstock, nel ’70 si imbarcò per l’isola di Wight. Joni Mitchell, Miles Davis, Jethro Tull, Leonard Cohen, The Doors. Ed ebbe il tempo di soccorrere con la propria macchina un musicista nero che si era sentito male dietro le quinte. Fu l’ultima apparizione di Jimi Hendrix.

james brown gianni minà

 

9)      Diede quasi fuoco alla casa di Dizzy Gillespie. Durante un’intervista mentre il jazzista sfoderava la propria tromba da un sacchetto di carta «È per questo che mi chiamano Dizzy, lo sgualcito», un faro aveva incendiato uno degli architravi. Tra la mortificazione di Minà e le urla di sua moglie, il musicista concluse «Mai vista una luce più calda».

 

10)    Da anarchici e non amanti delle serie tv italiane, l’unico Blitz che riconosciamo è quello di Gianni Minà.

 

11)    Partecipò alla produzione de “I diari della motocicletta”, film sul viaggio di Alberto Granado e Che Guevara attraverso l’America Latina. Mise in contatto la famiglia Guevara con Robert Redford, perché Minà coltivava progetti collegando mondi distanti. Un enzima per reazioni chimiche in pellicola.

 

gianni mina

12)    E se pensate che non abbiamo fatto in tempo a vedere il nuovo mondo, questo terzo scudetto, non dubitate: Minà sapeva essere anche oracolo e visione: come Cheyenne, vede l’arrivo della ferrovia, ma non la stazione di Sweetwater.

 

13)    Da satellite indipendente, mai sovietico, viaggiava nell’America Latina catturando una prospettiva che la maggioranza non amava mostrare: l’istanza di un continente arretrato per gli occidentali, ma che al contrario era progressista, smascherato dal folklore, restituendo dignità alle donne e agli uomini migliori. E a 51 mila cubani che liberarono l’Angola.

 

14)    A Kinshasa, quando eravamo re, mangiò per quattro giorni pane e formaggini in attesa dell’incontro. Quando Foreman crollò a terra, con la troupe raggiunse negli spogliatoi Angelo Dundee che li fece entrare: «Fatelo passare, fatelo passare, chillo è frate mio». E fuori la porta c’era Norman Mailer non Chiara Ferragni.

 

gianni mina.

15)    Alla Rai è stato il lupo di Wes Anderson in “Fantastic Mr. Fox”: non apparteneva a nessuno e pure chi lo odiava non poteva che ripetere: guarda che grande esemplare. Poi per dodici anni non riuscì a fare nulla per la seconda rete. Agli omoni socialisti, le creature selvagge non sono mai piaciute.

 

16)    Con i suoi baffi a metà tra attore porno della Germania dell’Est e un messicano dei film di Damiano Damiani, è stato la domenica pomeriggio dell’opposizione a Pippo Baudo, riuscendo ad essere Piero Angela e Moana Pozzi, col cardigan.

 

17)    James Brown gli confidò che in un istituto correzionale per minori era costretto a rubare pezzi di auto per avere qualcosa da mangiare. Così aveva potuto frequentare la scuola come gli altri ragazzi, e diventato famoso aveva iniziato ad aiutare la sua gente. Il welfare che aveva visto la luce.

 

18)    “Gianni Minà Intervista” è la più lunga serie tv della storia delle serie tv.

 

19)    Il più grande rammarico è stato non riuscire a intervistare Nelson Mandela, mentre per Obama, quando era in carica come presidente, il suo staff gli rispose che non erano ancora pronti per quel genere di intervista. Figuriamoci per il socialismo.

 

GIANNI MINA - ROBERT DE NIRO - MUHAMMAD ALI - SERGIO LEONE - GARCIA MARQUEZ

20)    Sarebbe stato un poster da attaccare nella cameretta di Oliver Stone, o un telefono – che amava come Lucio Dalla – con il filo per legare con parole paesi distanti, e anche un microfono panoramico per registrare le voci più lontane. Gianni Minà era un elettrodomestico multiuso, che non fu mai televisione.

 

21)    Come fece Mario Sconcerti – a “La Repubblica” – con un suo pezzo troppo lungo e troppo bello, impossibile da tagliare, lo spezzò e scrisse: continua domani [e domani e domani e domani].

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