giuliano montaldo

''IL DESTINO MI AVEVA RISERVATO UN POSTO DA FACCHINO AL PORTO DI GENOVA. HO AVUTO UN GRAN CULO'' - GIULIANO MONTALDO MEMORIES: ''CON KLAUS KINSKI SUL SET FINÌ A BOTTE, AVEVA SPEZZATO UN DITO AL MACCHINISTA - 'ER CINEMA STA IN CRISI', LO SENTO DIRE DA 60 ANNI - QUANDO NANNI MORETTI URLÒ CONTRO ALBERTO SORDI CHE LO MALTRATTAVA - LE FREGATURE PRESE DA FELLINI - IL TERRORE DELL'AEREO E QUELL'INCIDENTE''

Erna Sheurer con Ennio Morricone e Giuliano MontaldoErna Sheurer con Ennio Morricone e Giuliano Montaldo

Malcom Pagani per ''il Messaggero''

 

Era un mondo adulto: «Con Klaus Kinski, un pazzo vero, sul set di Ad ogni costo finì a spintoni. Mia moglie Vera che lo insultava in impeccabile tedesco e io che lo attaccavo al muro. In una pausa, per noia o per sadismo, Klaus aveva spezzato il dito al macchinista. Facevano un gioco, com'è che si chiama? Flic e Floc e l'altro, la vittima, una bestia di due metri, aveva promesso vendetta: Me fa sapè quando finiamo il film dottò? Cor signor Kinski ce vorrei parlà de persona. Lo facemmo partire il giorno prima, l'imprevedibile Klaus, per la sua stessa incolumità».

 

Era un cinema muscolare e Giuliano Montaldo non si tirava indietro: «Alla nascita pesavo più di cinque chili». Ottantasette anni dopo, Montaldo è ancora qui: «L'età è un dato oggettivo, ma la combatto. Se non mi ricordo il nome di una persona incontrata per strada, a costo di scervellarmi fino alle 3 di notte, non vado a dormire fino a quando non ho risolto l'enigma. È uno sforzo che i vecchi devono compiere».

 

Litigare aiuta a essere longevi?

giuliano montaldogiuliano montaldo

«Discutere con passione, sicuramente. Quando ci riunivamo con i grandi sceneggiatori, inventori di battute fulminanti a getto continuo, succedeva che nel disaccordo alzassimo la voce. Age, Scarpelli, Suso Cecchi D'Amico. Gente che amava il proprio mestiere e non si permetteva mai il lusso di offendersi o di prendere cappello».

 

Discussione tipo?

«Uno di noi tirava fuori un'idea che immancabilmente gli sembrava geniale. Se non percepiva un entusiasmo diffuso, reagiva: Non ti pare spiritoso? Guarda che ti uccido. Alzavamo la voce, ci minacciavamo reciprocamente e volte i malcapitati testimoni oculari si spaventavano. Il volto del postino che deve recapitare una lettera, ci osserva atterriti poi getta il plico nella stanza, richiude la porta e se la dà a gambe non me lo sono più dimenticato».

 

Cos'altro non ha dimenticato?

«L'esordio alla regia. Dieci anni dopo aver messo per la prima volta piede sul set, in Achtung Banditi di Lizzani. Duilio Coletti, anche a causa dEL maltempo che aveva funestato senza requie le riprese, era in ritardo nel completare Sotto dieci bandiere. Per chiudere il film, Dino De Laurentiis aveva affidato una seconda unità proprio a Lizzani e Carlo aveva avuto la generosità di scegliermi come assistente.

GIULIANO MONTALDO TUTTO QUELLO CHE VUOIGIULIANO MONTALDO TUTTO QUELLO CHE VUOI

 

Una mattina gli parlo e lo sento a pezzi: Ho la febbre, il mal di gola, sto da cani, sul set non vengo. Si sparse la paura, allontanata dalla voce baritonale del direttore di produzione: Ma Lizzani non ce l'ha un aiuto?. Alzai timidamente la mano. E mi trovai a dirigere una scena, a dire Motore, azione, a dare indicazioni agli attori. Non mi era mai capitato».

 

Era una scena complessa?

«Un attore, insultato in quanto ebreo, doveva raggiungere un'ascia e mimare uno scatto d'ira. Montai un carrello e lo spiegai alla comparsa. Lei fa un salto in avanti, io la seguo con la macchina da presa e fisso il momento in cui raggiunge l'arma. Lo vedo dubbioso: Perché dovrei correre? Non posso semplicemente afferrare l'ascia tenendomela vicino?. Ricomincio pazientemente a illustragli l'importanza del movimento e lui insiste: Non capisco la ragione di mettere l'oggetto a tre metri da me. Allora mi incazzo: Se non la prende lei lo faccio io e gliela spacco in testa. L'attore si sciolse e si presentò: Era Gian Maria Volonté».

 

Che attore era?

«A volte mi hanno chiesto di svelare il segreto del suo metodo per immedesimarsi nei personaggi».

 

Che segreto aveva?

vera pescarolo e il marito giuliano montaldovera pescarolo e il marito giuliano montaldo

«Il metodo Gian Maria consisteva nel diventare il personaggio e sostituirsi a lui. Era quasi un patto faustiano e Volonté era maniacale. Prendeva appunti su un quaderno che trasformava in spartito. Ai tempi di Giordano Bruno, preparammo il film nella sua casetta di Fregene. Lesse una battuta finale del film in italiano: Santità, io sapevo che incontrare voi e poi la replicò nel dialetto locale del monaco, il nolano stretto, dando alla frase tutta un'altra intonazione che fino ad allora, in un cinema in cui all'inflessione dei luoghi di provenienza non veniva data nessuna importanza, era sconosciuta. Nella scena finale del film, quando Gian Maria ripete Avete più paura voi di me, le altre comparse piangono dall'emozione. Spontaneamente. Una cosa mai vista».

 

Lei e Volonté lavoraste insieme anche nel suo film precedente, Sacco e Vanzetti che a Riccardo Cucciolla valse il premio come miglior attore al ventiquattresimo festival di Cannes.

«Sul set, nei confronti di Cucciolla, Gian Maria fu fraterno. Si comportò esattamente come avrebbe fatto Vanzetti con Sacco. Era premuroso, accogliente, protettivo. È stato un attore enorme, Gian Maria».

 

Come definirebbe un attore?

pif giuliano montaldo giulia innocenzi e vera pescarolopif giuliano montaldo giulia innocenzi e vera pescarolo

«L'attore ha in dote un mestieraccio. Uno dei lavori più precari che esistano. Sai quando inizi un'impresa, puoi intuire quando la finirai, ma non sai mai quando e se riprenderai a lavorare. Per quella condizione così labile, bisogna provare rispetto. In teatro è diverso: si apre il sipario, affronti il terribile flagello di metterti in scena e poi a un certo punto le tende vengono tirate nuovamente e cessa ogni tumulto interiore. Ma se sei sul set, magari ti stai picchiando con il tuo nemico e viene dato lo stop fino al giorno dopo, come dormi quella notte? Con che pensieri? Come fai a mantenere intatte le emozioni di qualche ora prima all'indomani?».

 

Recitò a lungo anche lei.

pif e giuliano montaldopif e giuliano montaldo

«Per puro caso, ma anni dopo mi aiutò a leggere i sentimenti dei tanti attori che mi trovavo a dirigere. Ho conosciuto interpreti grandissimi: da Gassman, che sapeva passare indifferentemente da Shakespeare alla commedia con Monicelli, a Manfredi. Era incredibilmente sottovalutato. Era considerato uno adatto alla commedia, ma in realtà si sforzava di farla e in sé Nino aveva centinaia di sfumature.

 

Era un pianoforte a coda, premevi su un tasto e quello ti restituiva comunque un suono credibile. Mi avevano avvertito: Stai attento, ha un carattere impossibile. Ma sul set de Il giocattolo, con quell'altro fuoriclasse incompreso che era Vittorio Mezzogiorno, con Manfredi mi trovai a meraviglia. Preparammo le scene a tavolino, con una lunga lettura del copione durata più di una settimana. A fine sessione, ogni sera, ci premiavamo con una boccia di Champagne».

 

Avrebbe mai pensato di poter avere un orizzonte lavorativo così lungo?

«La prima volta che misi piede sul set rimasi sotto choc. Le luci, i mezzi tecnici, le gru. Mi si avvicinò un attrezzista: A Montà, allora te piace sto cinema? Nun ce fa' la bocca, er cinema sta in crisi. Lo sento dire da sessant'anni».

 

E non è vero?

giuliano montaldo foto lapressegiuliano montaldo foto lapresse

«Le crisi sono cicliche, ma non sono tali se non si possono superare. Noi ce la facemmo con le invenzioni di genere: i Peplum con Maciste impegnato in ogni dove, i film western di Sergio Leone che insegnò agli stessi americani come si girava tra saloon e canyon e ancora prima con le opere di Matarazzo come Catene. Film che facevano storcere il naso alla critica e incassavano molto bene dando ai produttori la possibilità di farsi belli finanziando Antonioni, Fellini o Visconti. La nostra sopravvivenza la dobbiamo a loro, agli eroi bistrattati dall'intellighenzia, ai martiri della qualità».

 

Quando firmò il suo primo film, dalla critica venne bersagliato anche lei.

«Il film si intitolava Tiro al piccione, ma non sapevo ancora che mi avrebbero sparato e che il piccione fossi io. Avevo riadattato la storia di Giose Rimanelli, la parabola di un ragazzo che va a Salò per difendere la Repubblica Sociale Italiana e che con il passare del tempo si accorge di essere dalla parte sbagliata della storia. Al Festival di Venezia, destra, sinistra e centro intonarono un coro polifonico. Mi stroncarono e io ci rimasi male. Meditavo il ritiro. Mi dicevo: Se non riesco a farmi capire, forse devo cambiare mestiere».

 

Invece non lo cambiò

«Perché capii che il problema non ero io, ma il tema che avevo scelto di affrontare. Di Salò, nel 1961, non si poteva neanche pronunciare il nome. Quell'ouverture brutale mi diede una grande lezione».

 

Quale?

«Che arrivare per primi su un tema delicato è sempre un errore. Se anticipi, osi sempre troppo. Vai fuori dal seminato. Ti fai nemici ancor prima di aver detto buongiorno».

MONTALDO LIZZANI FELLINI MONTALDO LIZZANI FELLINI

 

Senza più amici dove andò?

«Feci la valigia per tornare a Genova e poi incontrai Vera. La persona che è ancora al mio fianco. Lei e suo fratello Leo Pescarolo, produttore, mi affidarono altre avventure. Una bella grinta con Renato Salvatori attirò l'interesse di Moravia, ma uscì nelle sale a Ferragosto. Non lo videro neanche i parenti. Altra crisi profonda. Altri dubbi. Tiro al piccione aveva ricevuto l'astio della critica, ma almeno due lire le aveva fatte».

 

Mettere in piedi i suoi film non è stato sempre semplice.

«Il primo produttore che ascoltò l'ipotesi di lavorare a un progetto su Sacco e Vanzetti, mi chiese seriamente se il nome dei due rappresentasse una ditta di import-export. Andai in giro con il cappello in mano per anni. Per fortuna incontrai Papi e Colombo. Loro di ricostruire un'America scomparsa nel 1927 non si spaventarono. Girammo in Irlanda e in Jugoslavia. Fu un'avventura vera».

 

Per lei che saliva su un aereo come un condannato al patibolo ogni viaggio era un inferno.

francesco scianna l industriale di giuliano montaldofrancesco scianna l industriale di giuliano montaldo

«Avevo le mie ragioni. Una volta, tra Manila e Hong Kong, si spezzò un'ala nell'atterraggio e prima di fermarsi, l'aereo fece una serie di sconvolgenti piroette. Un uomo morì a bordo. Quando proprio non potevo farne a meno, su quelle scatolacce di metallo salivo. Ma prima, affidavo regolarmente l'anima a dio».

 

Le bastava?

«Per forza. Ad Algeri potevo anche sbarcare in nave, ma in Mongolia come facevo? Ci arrivavo a cavallo come Marco Polo?».

 

A Narni in questi giorni lei officia un Festival di lunga data. Si muove. È attivo. Le piacerebbe ancora girare un film?

«Amerei realizzarne uno su Allende, ma prima dovrei farmi operare all'anca. Ho scritto anche un aforisma sul tema».

 

Sentiamo.

«Un regista claudicante non può fare l'arrogante».

 

Arroganti e bugiardi ne ha incontrati?

«Fellini viveva per la bugia. Mi prendeva in giro: Vorrei che mi facessi da aiuto, perché non vieni a Cinecittà?. Io andavo».

 

E lì che succedeva?

«Che ne trovavo sempre altri dodici con la mia stessa intenzione convocati appositamente dal maestro».

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Lei si arrabbiava?

«Ci cascai un paio di volte e poi decisi di adoperare i medesimi trucchi. Lo incontrai in Via Veneto e lui non riuscì a reprimere il riflesso pavloviano: Giuliano, perché non vieni a trovarmi, ho proprio bisogno di un aiuto regista. E io pronto: Federico, non so come dirtelo, ma proprio ieri ho firmato con gli americani. Mi hanno fatto mettere una clausola precisa: Puoi lavorare con chi vuoi, ma mai con Fellini. Rimase interdetto, ci pensò su un istante e poi mi prese le mani inscenando un giro di valzer in mezzo alla strada. Sapeva essere anche spiritoso, Fellini».

 

E Flaiano?

«Flaiano era diverso. Era cupo, ombroso, aveva dei dolori seri, una figlia che stava male. Era impossibile non capirlo e provare empatia con le sue sofferenze».

 

Ricordi di Cassavetes?

«Con lui qualche problema ci fu, anche se solo nella prima settimana di lavorazione. Giravamo Gli intoccabili e si capiva chiaramente che non si fidava. Era scettico, titubante, invadente. Mi chiedeva in continuazione se avrei stretto o allargato l'inquadratura, faceva domande sugli obiettivi, mi trasmetteva ansia e se posso dirlo, mi rompeva i coglioni un bel po'. Anche con lui qualche spinta scappò».

 

Con quali esiti?

«Glielo dissi chiaramente: Se vuoi venire al posto mio, non hai che da dirlo. Scese dalla roulotte, mi abbracciò, diventammo amici. Mi propose di recitare per lui in seguito e io mi schermii: Col cavolo che vengo, tu vuoi solo ridarmi una spinta, non ci casco».

 

Il cinema è un luogo deputato all'autoironia?

palo22 paquale squittieri giuliano montaldopalo22 paquale squittieri giuliano montaldo

«Direi di no. tra i miei colleghi c'è la tendenza a prenderla sul personale».

 

Un esempio?

«Mi ritrovai a Ischia, consegnavano un premio della Rizzoli e sul palco c'era Alberto Sordi. Fece appunti poco gentili su Nanni Moretti e Nanni, che era in platea, urlò all'indirizzo di Sordi cose irriferibili. Lui gridava. Alberto era stupito: Ma chi è quello?, Ma come chi è? È Moretti. Mentre Nanni usciva sbattendo le porte del teatro, a Sordi sembrava avessero dato un pugno: Dici che se l'è presa?. Non si capacitava».

 

Si considera fortunato?

«Se penso che il destino mi aveva riservato un posto da facchino al porto di Genova, se mi passa la licenza, direi che ho avuto un gran culo».

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