mughini

LA VERSIONE DI MUGHINI – "CHE BELLA LA LETTERA SCRITTA DA UN LETTORE DI 'DAGOSPIA' A PROPOSITO DELLA MIA BIBLIOTECA,LA COSA E FORSE L’OPERA PIÙ IMPORTANTE DELLA MIA VITA E DEL MIO DESTINO. NON CONTA AFFATTO QUANTI SIANO I MIEI LIBRI, CONTA CHE SIANO I MIEI COMPAGNI PIÙ SICURI, QUELLI CHE NON TI TRADIRANNO MAI CIASCUN ANFRATTO DELLA MIA BIBLIOTECA È COME SE MI STESSE PARLANDO, E NON A DIRMI LE INEZIE CHE PURTROPPO STANNO SULLA BOCCA DI TANTI NOSTRI CONTEMPORANEI…"

LETTERA A DAGOSPIA

mughini

Facciamo un semplice conto: ventiduemila libri di Mughini, diviso trecentosessantacinque giorni, fa sessant’anni a leggere un libro intero al giorno.  Quesiti: a) Si può leggere, di media, un libro al giorno? b) Se non sono stati letti tutti valgono, ai fini della personale cultura, anche i non letti? c) Se leggendo quasi sempre si perdono i contatti con gli altri esseri umani, si può dire di conoscere ugualmente la vita è gli uomini anche se appresa di seconda mano e filtrata da menti altrui?

Con affetto

Ottavio Beccegato

 

 

 

mughini cover

LA VERSIONE DI MUGHINI

Giampiero Mughini per Dagospia

 

Caro Dago, che bella la lettera scritta da Ottavio Beccegato (un tuo lettore che non ho il piacere di conoscere) a proposito della mia biblioteca, ossia di quella che è per me la cosa e forse l’opera più importante della mia vita e del mio destino.

 

Avevo accennato ai circa 22mila libri che ne fanno parte, ed ecco che Beccegato dice due cose sacrosante. La prima: un’intera vita forse non basta a leggere 22mila libri, e dunque sì o no i libri che uno ha in casa ma non ha letti costituiscono anch’essi la sua “cultura” personale. La seconda: dedicare così tanto tempo e attenzione ai libri sì o no può sostituire il contatto con le persone, l’esperienza della vita reale, saggiare il mondo com’è davvero.

 

Comincio dalla seconda questione. Assolutamente no, nulla può sostituire l’esperienza reale, a cominciare dall’esperienza del dolore. Io sono diventato un uomo a poco più di trent’anni, quando è morto mio padre. Sino al giorno prima ero un abbozzo di uomo, perché vivevo nell’idea seppure sottaciuta di avere alle spalle un qualcuno che se le circostanze lo avessero richiesto mi avrebbe protetto. Quando mio padre è morto, per circa un mese sono stato delle ore steso sul letto a non fare niente. Niente, solo il pensiero che papà non c’era più e che a partire da quel momento ce la dovevo fare da solo.

 

mughini

Lo stesso per l’esperienza del mondo reale per com’è davvero. Non sono mai stato a Shangai, a Mosca, a Chicago. Mai una sola ora. E dunque mi reputo un analfabeta del mondo reale com’è oggi, né più né meno. E un’ultima cosa, non ho mai “fumato” una qualche dose di attizzante, e dunque mi manca l’aver sfiorato da vicino l’universo immane della tossicodipendenza. E difatti non ne parlo e non ne scrivo mai. La condizione di chi ha bisogno della “roba” è una condizione specifica e cogente che se non l’hai mai provata, non ne sai nulla. Ancora un caso di mio analfabetismo.

 

Più complicata invece la questione dei libri che mi stanno attorno, molti dei quali in effetti non li ho letti com’è di tutti i titolari di biblioteche quantitativamente importanti. Una premessa, caro Beccegato. Nell’articolo cui lei fa riferimento usavo la dizione “22mila libri” come una sorta di codice cui fare riferimento, sulla scia di Alessandro Baricco che aveva parlato di “500 libri” come spartiacque tra chi fa parte delle élites e chi no. Lontanissima da me l’idea di usare quella cifra come una vanteria, come se una biblioteca di 22mila libri fosse di per sé più importante di una di 200 libri tutti scelti e letti sino all’ultima riga e assorbiti.

MUGHINI

 

Oltretutto sul piano quantitativo ci sono e ci sono state biblioteche immensamente più massicce della mia. Luigi Firpo, uno che diceva che la più grande emozione della sua vita era lo sfogliare il catalogo di una libreria antiquaria, aveva circa 45mila volumi. Il mio caro amico Giuseppe Pontiggia ne aveva qualcosa come 50mila, e comprò quella che era stata la portineria del suo palazzo pur di alloggiarvi i suoi libri. Ne potrei citare molti altre di biblioteche rispetto alle quali i miei 22mila libri impallidiscono.

 

GIAMPIERO MUGHINI

E qui arriviamo al cuore della faccenda. E cioè che la questione vera di una biblioteca non è il numero dei libri, ma il fatto che è una creatura vivente, palpitante, la compagna per eccellenza del tuo vivere e del tuo pensare, la tane e lo stemma del tuo vivere. Non conta affatto quanti siano i miei libri, conta che siano i miei compagni più sicuri, quelli che non ti tradiranno mai come invece accade dei tuoi amici e delle tue amiche. Conta il fatto che quei loro dorsi che in questo momento mi circondano è come se mi parlassero, è come se mi dicessero momenti decisivi della mia giovinezza e degli anni successivi, i momenti in cui ho imparato qualcosa che ha cambiato per sempre la rotta della mia vita.

 

GIAMPIERO MUGHINI E I SUOI LIBRI

Ciascun anfratto della mia biblioteca è come se mi stesse parlando, e non a dirmi le inezie che purtroppo stanno sulla bocca di tanti nostri contemporanei e di tante nostre conversazioni. Mi parlano e mi raccontano gli scaffali dove sono i libri di Antonio Gramsci che divorai nei miei vent’anni, gli scaffali dove sono i libri che raccontano la storia del design italiano degli anni Sessanta e Settanta, ossia degli oggetti la cui bellezza è per me irrinunciabile. Mi parlano e mi raccontano raccontano gli scaffali che ospitano la letteratura francese in lingua francese, ossia quella lingua che per me è stata il connotato del mondo quale avrei voluto che fosse, la Parigi zeppa di librerie dove ho vissuto nei paraggi del 1968. Mi parlano e mi raccontano gli scaffali dove sono i libri le riviste i volantini che documentano l’Italia degli anni di piombo, di quando alcuni dei miei compagni di generazione e di pulsioni ideali scelsero la strada dell’agguato a morte contro “i nemici di classe”. Tutto qui. Spero di non averla annoiata, caro Beccegato.

 

 

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GIAMPIERO MUGHINI

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