CHI MUORE GIACE MA TRAVAGLIO NON SI DÀ PACE (TE LE DO IO LE INTERVISTE DI BIAGI E I RAPPORTI DI MONTANELLI CON ANDREOTTI)

Stefano Di Michele per "Il Foglio"

Siccome al Fatto si fa sempre gran parlare di morti virtuali (instancabile Travaglio: quasi una tumulazione per editoriale), quando ne capita uno vero, come nel caso di Andreotti, si fa festa grande in redazione: si organizzano visite guidate all'estinto, si ritirano fuori i meglio brogliacci, si scatenano le più briose firme. Innanzi tutto e con maggior persistenza, si capisce, quella di M. T. stesso.

L'altro giorno, per la festevole occasione, sul tema stilava:
a) commento in prima pagina per dir male di chi non pensa male del defunto;
b) due pagine (6 e 7) sul trapassato e la mafia;
c) altre due pagine (8 e 9) - a questo punto, stremato, abbinato a Peter Gomez - sull'estinto e connessa P2.

Tutto a salma ancora calda, fulmineo intervento che neanche la benemerita Zega, incursione da manuale dei marines - a dir peste dell'appestato: senza mai smettere l'elmetto, pure a becchino ormai accasato, pure a cadavere di sicuro interrato. Chi muore giace - ma il redattore del Fatto lo stesso non si dà pace. Persino nei dettagli.

Nella cronaca dei funerali, "più che un funerale, quello di ieri è stato un allegro ritrovo di democristiani" (tiè!), e addirittura nelle didascalie delle foto. In una, sulla porta di casa del deceduto, figurano Letta Zio e il capo dello stato: "Il togliattismo di Napolitano e l'andreottismo di Letta sono il nuovo inciucio". E che doveva fare, il presidente, per dare almeno una piccola soddisfazione: prendere a calci il condolente sotto gli occhi dei necrofori?

Al Fatto - sistemata la contabilità delle corone e accertata la legalità dei loculi - accadono cose curiose. Il giornale a due firme illustrissime del passato si rifà: Enzo Biagi (il nome risaputo omaggio alla sua storica trasmissione) e Indro Montanelli, che Travaglio pare avesse caro almeno quanto le vacanze a Cortina. Che però con Andreotti (vivo e vispo, si badi) ebbero tutt'altro genere di rapporti.

Su YouTube è rintracciabile un'impeccabile intervista di Biagi allo stesso - non meno impeccabile, per dire, e per procurare un principio di torcibudella, di quella fatta sempre da Biagi a Michele Sindona (andreottiano ad honorem, a far fede a Gomez & Travaglio), nella "federal prison" americana, con domande ficcanti non meno che garbate, da "lei ha mai paura?" a "c'è qualcosa di cui si pente?", da "come sta?" a "com'è la sua giornata qua dentro?".

Fu Biagi, del resto, che quando venne fuori la storia del bacio a Riina, con dubbiosa saggezza a proposito di Andreotti osservò: "Non ha mai baciato neppure la moglie per non compromettersi" - ove l'inchiesta non giunse dopo anni, bastava un po' di buonsenso da gran cronista per capire. Fu sempre Biagi che lo intervistò per il suo libro "Buoni cattivi: esiste una morale valida per tutti?" - almeno il quesito, prima della dannazione, e senza aspettare la prescrizione.

E chissà se mai sul Fatto si vedrà un titolo, per un qualunque indagato, come quello del commento di Biagi su Enzo Tortora sbattuto in galera: "E se Tortora fosse innocente?". Montanelli ha lasciato meravigliose e perfide battute su Andreotti - perfide e non corrive, geniali e non sbirresche, ché "Lei ed io non siamo mai stati né amici né nemici".

Poco prima di morire, chiese ad Andreotti addirittura una mano per completare la sua storia d'Italia con gli elementi "della sua personalità e attività". "Con questo impegno, si capisce: che, delle sue parole, io non ne pubblicherò nessuna che prima non sia stata da lei revisionata e autenticata". Quando morì, Andreotti lo definì "un galantuomo". Il morto è ora sepolto, chissà se al Fatto sono adesso inquieti sono adesso inquieti gli spiriti dei grandi ispiratori.

 

TRAVAGLIO-FERRARA Andreotti al Seggio biagi enzomontanelli

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