
NETFLIX: ERA NATA PER RIVOLUZIONE E FINITA RIVOLUZIONATA - GIANMARIA TAMMARO: “SE ALL’INIZIO DEL SUO PERCORSO IN ITALIA, NETFLIX VOLEVA COINVOLGERE GLI APPASSIONATI E GLI SPETTATORI INFORMATI, DOPO HA PUNTATO SU UN PUBBLICO GENERALISTA. LE STORIE LOCALI CON UN POTENZIALE INTERNAZIONALE, ALLA FINE SONO STATE RIADATTATE A UNA VISIONE PIÙ ITALIANA E CONSERVATRICE. CHE COSA SIGNIFICA? CHE LA SPINTA RIVOLUZIONARIA È FINITA. OGGI NETFLIX SI È ALLINEATA A UNA CERTA IDEA DI INTENDERE L’OFFERTA SERIALE ITALIANA. I PRODUTTORI COINVOLTI IN UN PRIMO MOMENTO SONO STATI SOSTITUITI DA QUELLI CONSOLIDATI"
Gianmaria Tammaro per Dagospia
Il 22 ottobre di dieci anni fa Netflix arrivava anche in Italia. In questi giorni – in queste ore, anzi – ne sta parlando chiunque. E tra chi ne ammira il modello e chi – giustamente – sottolinea l’impatto che ha avuto sul nostro modo di vedere e di fruire di determinati contenuti, pare che manchi quasi la voglia di analizzare più da vicino non quella che è stata la “rivoluzione” dello streaming (partita, ricordiamocelo, ben prima dell’arrivo in Italia di Netflix) ma quella che è la linea editoriale, oggi, della piattaforma.
In dieci anni, Netflix ha cambiato innumerevoli volte pelle. All’inizio è stata accolta come una ventata di novità. La cosa che in pochi dicono, però, è che all’epoca l’offerta di Netflix era veramente limitata.
Le serie originali erano ancora poche (in Italia vennero organizzate delle giornate stampa con i protagonisti di alcune serie, tra cui “Jessica Jones”, “Sense8” e “Marco Polo”, con la presenza di Pierfrancesco Favino) e buona parte della forza del brand di Netflix era legata alla sua distribuzione (la stagione di una serie disponibile immediatamente, dal primo giorno) e all’offerta di film e titoli “a portata di click”.
Insomma, la forza di Netflix, soprattutto all’inizio del suo percorso, è stata profondamente legata alla possibilità che offriva al pubblico di avere sempre con sé un archivio di film e serie. In Italia, però, non è stato subito così.
Anche perché buona parte delle cose che Netflix distribuiva all’estero erano già distribuite da altre realtà come Sky. Al di là dell’effettiva offerta di Netflix nel 2015, c’è un altro discorso che è importante fare.
E cioè quello sulla sua linea editoriale. All’inizio, visto che mancava una sede locale, la gestione dei contenuti, comprese le serie originali, era completamente affidata a una dirigenza straniera, non italiana, che si muoveva seguendo un gusto più internazionale che italiano (anzi, più americano che italiano).
In quel periodo – l’inizio, cioè, di questi dieci anni – è arrivata la prima serie di Netflix in Italia, “Suburra”, che provava a riappropriarsi di un percorso e di una storia iniziati da Sky e Cattleya con “Romanzo Criminale” e “Gomorra – La Serie” (raccontare il male, raccontare la criminalità, creare un ponte con il proibito).
E sono arrivati titoli come “Baby”, che provava a coinvolgere un pubblico più giovane (è lo stesso periodo, più o meno, della rivoluzione di “SKAM”), “Zero”, “Luna Nera” eccetera eccetera. Siamo ancora nella prima metà dei dieci anni in Italia di Netflix.
Poi è arrivato il grande cambiamento: viene aperta una sede in Italia (2022), il personale della piattaforma aumenta; viene costruita una vera e propria dirigenza, con la nomina a vicepresidente di Tinny Andreatta.
In questo stesso periodo, anno più anno meno, sono arrivati titoli importanti per la piattaforma come “SanPa” (2020), docuserie su San Patrignano che ha abbracciato in pieno un certo approccio di Netflix sul true crime e sui documentari, e la prima serie animata di Zerocalcare, “Strappare lungo i bordi” (2021).
Produzioni molto più figlie della precedente dirigenza che di quella attuale. Poi “SKAM” è passata a Netflix (la stessa “SKAM”, prodotta e distribuita inizialmente da TimVision, era stata rifiutata dalla televisione generalista). E sono arrivate serie più – diciamo così – tradizionali e rivolte a un pubblico leggermente differente rispetto a quello dei primi tempi.
Se all’inizio del suo percorso in Italia Netflix voleva coinvolgere gli appassionati e gli spettatori informati, quelli che avevano già sentito parlare della piattaforma e non vedevano l’ora di potersi abbonare, successivamente ha puntato su un pubblico diverso, generalista. E le stesse storie “glocal”, storie locali con un potenziale internazionale, sono state riadattate a una visione più italiana e conservatrice
Questo, in parole povere, che cosa significa? Che la spinta rivoluzionaria della primissima Netflix è finita, che oggi la piattaforma – pardon, servizio – streaming si è allineato a una certa idea di intendere e di gestire l’offerta seriale italiana; che i produttori coinvolti in un primo momento – spesso piccoli, spesso alle loro prime esperienze – sono stati sostituiti da produttori consolidati, che hanno lavorato lungamente con la Rai Fiction diretta dalla stessa Andreatta.
È un male? Per carità: se è questa l’idea di innovazione che ha Netflix Italia non è assolutamente un problema. Però è difficile allargare questo concetto a più pubblici e a più temi. Netflix è arrivata in Italia con la promessa di rivoluzionare ogni cosa, di stravolgere il mercato.
E in parte, bisogna dirlo, l’ha fatto: con i suoi investimenti iniziali (poi diminuiti con la crisi post-pandemia), con il suo modello e con la sua unicità. Successivamente, però, Netflix ha abbracciato in modo completo quello stesso sistema che prometteva di scardinare: l’offerta italiana di Netflix, oggi, non è poi così diversa da quella della televisione pubblica. E anche le scelte che vengono prese dal punto di vista comunicativo sono estremamente vicine a quelle di realtà tradizionali.
Prima c’erano i meme, i giochi di parole, i post virali, le campagne marketing innovative e “geniali”. Oggi ci sono i quotidiani, la cartellonistica ha assunto un altro ruolo e un altro peso; il pubblico di riferimento è cresciuto (sono passati dieci anni, dopotutto). E più che nella maggiore età, Netflix sembra entrata in una maturità ridondante e abbastanza spenta. Quasi affaticata. Di quella spinta innovatrice iniziale restano poche, pochissime cose: le serie animate (quando ci sono), qualche titolo (spinto maldestramente) e le docuserie (che non sembrano essere più una priorità per l’Italia).