DA OCCHETTO A PRODI, IL VERO ROTTAMATORE SI CHIAMA SILVIO - NESSUNO DEI SUOI AVVERSARI È RIUSCITO A TENERGLI TESTA - HA ASFALTATO ANCHE QUALCHE EX ALLEATO (IL RIBELLE FINI FINITO COME UN TONNO)

Stefano Filippi per "Il Giornale"

Lui ha dato il via alla Seconda repubblica, e sempre lui l'ha archiviata aprendo la nuova fase assieme a Matteo Renzi. Vent'anni nei quali Silvio Berlusconi ha archiviato anche tanta gente che non è riuscita a tenergli testa. È lui il vero rottamatore della politica italiana. In quel gennaio del 1994 sparirono di scena la Prima repubblica e i suoi partiti.

Oggi l'operazione è meno traumatica ma i faldoni negli archivi si accumulano ugualmente, senza pietà. I rottamati della Seconda repubblica sono un piccolo esercito. A cominciare da Achille Occhetto, il primo avversario elettorale del Cavaliere, il leader comunista che seppellì il vecchio Pci e rimase sotto le macerie della «gioiosa macchina da guerra» che doveva fare un boccone di Forza Italia.

Francesco Rutelli voleva sbarrare il passo a Berlusconi nel 2001 e ha perso ogni velleità: sfiorita la sua Margherita, dimenticato come sindaco di Roma e ministro, inesistente come leader del centrosinistra. Archiviato anche Romano Prodi, che pure sconfisse due volte Berlusconi alle elezioni politiche, un sopravvissuto della Prima repubblica ( anche per ragioni anagrafiche) balzato con grandi ambizioni nella Seconda.

È stato due volte premier e per cinque anni presidente della Commissione europea; poi ha tentato il colpaccio scalando il Colle ma 101 franchi tiratori l'hanno impallinato. «Addio politica, non mi meriti», ha borbottato indispettito quando il Quirinale per lui è diventato irraggiungibile come l'uva per la volpe di Esopo.

È un destino condiviso con Walter Veltroni e Massimo D'Alema, eterni rivali espulsi assieme dalla scena politica e ormai guardati con il sopracciglio alto all'interno stesso del Partito democratico. Dimenticatoio anche per i «tecnici» e i loro governi: Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti. La durata della loro permanenza a Palazzo Chigi è stata inversamente proporzionale rispetto alle ambizioni personali e alla solidità degli agganci con i «poteri forti» del nostro Paese. Brucia soprattutto a Monti e alle sue velleità di coagulare attorno a sé i moderati. Un'operazione che ha archiviato anzitempo uno come Pier Ferdinando Casini.

L'elenco di nomi è interminabile. Comprende tra gli altri Vincenzo Visco, il Dracula delle tasse; Franco Bassanini, autore di una riforma costituzionale che ora sarà riformata; Oliviero Diliberto, che diede asilo al terrorista turco Ocalan; Alfonso Pecoraro Scanio, verde di bile; il professor Rocco Buttiglione; Fausto Bertinotti e altri ex sindacalisti a partire dai due Sergio, Cofferati e D'Antoni.

Berlusconi ha sepolto anche una quantità di partiti e partitini. Pci, Pds, Ds sono sigle giurassiche. Spariti pure il Partito popolare e la Margherita, il Ccd e il Cdu, Rifondazione comunista e i Verdi, i Comunisti italiani e i nostalgici della destra che fu. Non vanno dimenticate le quote rosa. L'evoluzione della politica non è stata clemente con Rosi Bindi e Livia Turco, Giovanna Melandri e Katia Bellillo, Rosa Russo Jervolino e Anna Finocchiaro.

È conclusa la parabola di tanti che hanno preso congedo da Berlusconi: personaggi come Carlo Scognamiglio, Marco Follini, Beppe Pisanu e per certi versi anche Giulio Tremonti. Qui però un campione c'è, Gianfranco Fini, il delfino finito come un tonno. E non dimentichiamo Antonio Di Pietro, il magistrato che inaugurò due stagioni, quella delle inchieste distruggi-politica e quella delle toghe lanciate negli spazi lasciati vuoti da quanti loro stesse avevano eliminato.

L'ultimo epigono è Antonio Ingroia. Per anni hanno scalpitato invano alla ricerca di un posto a vita nel gotha delle istituzioni. Mario Segni si era inventato come leader referendario, con i quesiti popolari sulla legge elettorale aveva dato una spallata alle liturgie della Prima Repubblica, ma non ha resistito all'usura della Seconda.

Franco Marini ha passato due anni alla presidenza del Senato convinto che ciò bastasse per spiccare il salto verso la presidenza della Repubblica: illusione. Giuliano Amato ogni tanto rialza la testa come «riserva della Repubblica », ora ipotetico premier «di garanzia», ora intellettuale alla guida dell'Enciclopedia Treccani, ora consulente per la Deutsche Bank, è finito a fare il giudice costituzionale.

Altri hanno ripiegato su poltroncine. Piero Fassino è sindaco di Torino, Antonio Bassolino lo è stato di Napoli e ha guidato la Regione Campania, così come Claudio Burlando governa la Liguria. Malanni di salute hanno contribuito a spegnere i riflettori su Pier Luigi Bersani e Umberto Bossi, il leghista incapace di fare le riforme sognate. Che oggi invece portano le firme di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.

 

 

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