giornalismo sinistra scalfari rossanda mieli fiengo mafai

LA SOLITA “CASTA STAMPATA” - PIROSO: “I GIORNALISTI ITALIANI SONO RIMASTI SPIAZZATI DALLA VITTORIA DI TRUMP, MA LA SINISTRA GRANDI FIRME RIFIUTA DA SEMPRE DI REGISTRARE LA REALTÀ, SE QUESTA NON RISPECCHIA LE SUE IDEE. VALEVA PER BRIGATE ROSSE E KHMER ROSSI, COME VALE OGGI PER GLI USA. A SINISTRA VIVONO DELLA SINDROME DA ‘TERRAZZISMO’”

Antonello Piroso per “la Verità”

 

antonello pirosoantonello piroso

A leggere taluni Soloni, italiani e non, il giornalismo sarebbe morto, (s)travolto dallo tsunami Trump. Eh no, cari colleghi. Parafrasando Nanni Moretti: «Voi avete sbagliato previsioni, e siete imbruttiti. Io sono stato tra la gente, e ora sono uno splendido cinquantacinquenne».

 

Perché non tutta la nostra dorata corporazione, l'allegra conventicola di pennivendoli, mezzibusti e conduttori ego riferiti, è composta da giornalisti che si credono in missione per conto di Dio; oppure che impongono la loro weltanschauung, e se i fatti cozzano con la predetta, tanto peggio per loro; o a cui si può estendere il ritratto che Leo Longanesi scolpì di Indro Montanelli: «Capace di spiegare benissimo agli altri le cose che lui per primo non capisce». Vizio antico, male atavico.

WALTER TOBAGIWALTER TOBAGI

 

Della categoria nel suo complesso, ma soprattutto dei compagnucci della parrocchietta, che ritenendosi il sale della terra, si sono fatti casta stampata. Pericolo che Walter Tobagi, inviato del Corriere della Sera e sindacalista cattolico-socialista riformista in prima persona, vedeva già nel 1979.

 

Nella sua onesta, lucida e laica visione, non si doveva confondere il mestiere del giornalista con quello del militante: «Un peccato che molti hanno commesso (e commettono) senza dirlo e, magari, senza provare nemmeno sensi di colpa. La tentazione che il giornalista vive continuamente è di mettersi al centro dei fatti, di cercare di condizionarli».

 

Di più: «A me pare che si corra il rischio di dire che è democratico il giornale che dice quello che piace a me» (non c'è quindi da sorprendersi che il mensile Prima comunicazione parlasse di un Tobagi avversato come «nemico storico» da Raffaele Fiengo, dominus del sindacato che ne concepiva il ruolo in termini di contropotere, con interventi diretti sulla fattura stessa del Corriere -e del resto, come non sentire in quello stesso nome, «comitato di redazione», un vago retrogusto di sapore leninista? Forse anche per questo il premio Nobel Eugenio Montale riferendosi a via Solferino ammiccava: «C'è un Soviet là dentro»).

WALTER TOBAGI WALTER TOBAGI

 

Non ho evocato a caso Walter Tobagi, cui ho dedicato un monologo, assassinato con 6 colpi di pistola alle spalle da un commando di terroristi rossi, la Brigata 28 marzo di Marco Barbone.

 

Credo infatti che i mali del giornalismo contemporaneo, con la sua autoreferenzialità, i suoi personalismi e le sue personalizzazioni, con il suo voler andare in giro non a raccontare la realtà per quella che essa è, ma con l'imperativo categorico «di raddrizzare le gambe storte dei cani» (ancora Tobagi) nascano proprio nel buco nero dei maledetti anni '70, tutt'altro che «formidabili», perché «di piombo».

 

WALTER TOBAGI E ALDO MOROWALTER TOBAGI E ALDO MORO

Le stragi, la strategia della tensione, gli opposti estremismi, i servizi segreti deviati, i depistaggi, il presunto avvento del Sim, lo Stato imperialista delle multinazionali, e la presunta onnipresenza della Cia che «ci spia / sotto gli occhi della polizia», produssero due effetti. La magistratura, fino ad allora genuflessa al potere costituito nei «porti delle nebbie» dove le inchieste s'insabbiavano, vide nascere al suo interno il fenomeno dei «pretori d' assalto», pronti a «stressare» norme e procedure in nome dei superiori interessi della giustizia sostanziale.

 

Il giornalismo vestì i panni insindacabili della «controinformazione». Si aprì così un periodo infame. Le cronache furono sostituite dalle campagne, a cominciare da quella di Lotta continua sul commissario Luigi Calabresi, «torturatore e assassino» del povero Giuseppe Pinelli, con annesso manifesto con le 800 firme della meglio gioventù e della meglio intellighenzia, un «j'accuse» animato da una certa qual vocazione al linciaggio, cui in pochi si sottrassero (Giampaolo Pansa non lo firmò, Paolo Mieli si pentì di averlo fatto, Oliviero Toscani negò di averlo mai fatto).

LUIGI CALABRESILUIGI CALABRESI

 

Perfino l'armamentario lessicale dei sacerdoti del Verbo professionale divenne fraudolento. I brigatisti? Erano «sedicenti». Qualcuno sparava? Andava compreso e giustificato perché era un «un compagno che sbaglia». E nessuno che ammettesse, come Rossana Rossanda in pieno sequestro di Aldo Moro, 1978: «Chiunque sia stato comunista negli anni '50 riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Brigate Rosse. Sembra di sfogliare l'album di famiglia».

tiziano terzani tiziano terzani

 

Di «mea culpa» ce ne sono stati pochi, sempre tardivi. Come quello di Tiziano Terzani, che nel 1985 scrisse per Repubblica «PolPot, tu non mi piaci più. Gli americani in Cambogia ci dicevano che i Khmer rossi erano assassini sanguinari accecati dall'ideologia marxista -leninista, ma noi non ci facevamo influenzare... una volta in cui l'ambasciata Usa ci disse che in un villaggio governativo vicino a Phnom Penh c'era stato un "massacro comunista", io ci andai... ma davanti a quelle decine di cadaveri sgozzati, impalati, maciullati, compresi donne e bambini, cercai di convincermi che non potevano essere stati uccisi dai guerriglieri, magari erano vittime di bombardamenti americani e poi messi lì apposta... l'idea che i Khmer Rossi fossero assassini brutali e metodici, non mi sfiorava, era inaccettabile... il loro grandioso piano dell'orrore lo capii nella sua totalità solo col tempo». Bello.

tiziano terzani tiziano terzani

 

Solo che a non tutti i lettori di Repubblica quell'«io confesso» andò giù. Leggete cosa scrisse al giornale Fiorella Franceschini di Ancona: «Quella che vuol sembrare un'onesta autoaccusa è in realtà un facile lavaggio di coscienza. Chi risarcisce tutta quella generazione che credette alla verità di quei reportage, che non poteva che dare fiducia a chi aveva avuto la possibilità di conoscere i "corrotti" governativi, i "poveri" Khmer rossi e gli eccidi dei civili di cui sembravano responsabili solo gli americani.

Rossana RossandaRossana Rossanda

 

Ora scopro che si può dire impunemente: ho sbagliato, ero lì a vedere ma ho sbagliato a giudicare; ero un professionista, un giornalista andato a vedere come si stesse facendo la storia e ho dato giudizi distorti; ho visto massacri di civili compiuti dai Khmer rossi e li ho giudicati strumentalmente camuffati dalla Cia perché le ideologie dovevano essere sostenute anche a dispetto dei fatti. I giovani degli anni Settanta, signor Terzani, la verità avrebbero preferito saperla allora».

 

paolo mielipaolo mieli

Evitando di citare i tanti che nel 1994 raccontavano di un Paese che mai e poi mai si sarebbe fatta affascinare da un «Cavaliere Nero», Berlusconi, e da un «partito di plastica», Forza Italia, comunque soccombente davanti alla «gioiosa macchina da guerra» della sinistra, e sappiamo come andò a finire (Andrea Monti, allora direttore di Panorama e oggi della Gazzetta dello Sport, scrisse di aver incontrato alla vigilia delle elezioni un autorevole collega che, indicando con mano «badiale» esponenti del Pds, l'ex Pci, gli avrebbe detto: «Sono loro che staccano il biglietto d'ingresso nella Seconda Repubblica»: in molti ritennero di identificare in quell'accenno Paolo Mieli), mi limito a ricordare la marcia dei 40.000.

 

LUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLI LUCIANO LAMA E GIANNI AGNELLI

Quadri e impiegati Fiat, dopo 35 giorni di picchetti a Mirafiori, nel 1980 scesero in piazza per dire «Il lavoro si difende lavorando» e «Vogliamo la trattativa, non la morte della Fiat». Evento che mandò al tappeto il sindacato, il Pci di Enrico Berlinguer e tutti i commentatori spiazzati da quella «maggioranza silenziosa», come oggi con Trump.

 

MIRIAM MAFAI FOTO ARCHIVIO UNITA jpegMIRIAM MAFAI FOTO ARCHIVIO UNITA jpeg

L'unico a fare ammenda fu il segretario della Cgil Luciano Lama: «Quei 40.000 non li aveva inventati né Mefistofele né l'avvocato Agnelli. Siamo stati noi a non aver capito niente», in ciò aiutati da firme e firmette che davano per certa la sconfitta dei "padroni"».

Il giornalismo militante vede, e vuol far vedere, solo ciò che vuol vedere. Da una parte e dall'altra. Con l'aggravante, a sinistra, della sindrome da «terrazzismo», come da film di Ettore Scola.

 

MIRIAM MAFAI FOTO ARCHIVIO UNITA jpegMIRIAM MAFAI FOTO ARCHIVIO UNITA jpeg

Perché è confortante guardare il mondo dall'alto in basso, dall' attico della propria cultura con pregiati arredi di superiorità morale, ma può risultare letale. Disse negli anni '80 la comunista Miriam Mafai, donna e giornalista di spessore: «Quando facciamo un' inchiesta, noi non chiediamo alla gente cosa pensa. Gli chiediamo solo di confermare con le loro parole ciò che noi sappiamo già o crediamo di sapere. Giriamo l'Italia selezionando le notizie fino a quando coincidono con gli schemi che ci siamo già costruiti. Non con l' umiltà del cronista che vuole scoprire e raccontare qualcosa, ma con la presunzione e la sicurezza che ci accomuna a coloro che occupano il Palazzo» di pasoliniana memoria. Meglio non si sarebbe potuto dire.

 

Un buon giornalismo, in fondo, può ripartire da qui, ammesso e non concesso si sia ancora in tempo: al di fuori di ogni schematismo ideologico, dal rispetto per i fatti e per i lettori-telespettatori-elettori, non dandoli per scontati e acquisiti una volta per tutte, pronti a sorbirsi ogni versione di comodo da noi spacciata per oro colato, ma che è spesso frutto dei nostri errori di valutazione, pregiudizi, idiosincrasie o, peggio, dei nostri piccoli e meschini interessi di bottega carrieristica.

Ultimi Dagoreport

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER? 

wang

DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI COL FAZZOLETTO ROSSO AL COLLO E ISCRITTA ALL’ASSOCIAZIONE DEI PARTIGIANI - YUJA WANG, LA STELLA PIU' LUMINOSA DEL PIANISMO CLASSICO, ENTRA IN SCENA STRIZZATA IN UN VESTITINO DI PAILLETTES CHE SCOPRE LE COSCE FINO ALL'INGUINE, TACCHI “ASSASSINI” E LA SCHIENA NUDA FINO ALL’OSSO SACRO. MA NON STIAMO ASSISTENDO ALLE SCIOCCHEZZE DA DISCOTECA DI CERTE “ZOCCOLETTE” DEL POP IN PREDA A SFOGHI DI TETTE, SCARICHI DI SEDERONI, SCONCEZZE DA VESPASIANO; NO, SIAMO NEL MONDO AUSTERO E SEVERO DEI CONCERTI DI “CLASSICA”: RACHMANINOFF, PROKOFIEV, MOZART, CHOPIN, CAJKOVSKIJ. MA ALLA WANG BASTA UN MINUTO PER FAR “SUONARE” LE COSCE DESNUDE METTENDOLE AL SERVIZIO DELLE EMOZIONI E DELL’INTERPRETAZIONE MUSICALE, CONFERMANDO IN PIENO LE PAROLE DI LUDWIG VON BEETHOVEN: “LA MUSICA È LA MEDIATRICE TRA LA VITA SPIRITUALE E LA VITA SENSUALE” - VIDEO