IL PROFITTO PUO' ATTENDERE - IL CASO FACEBOOK-WHATSAPP DIMOSTRA CHE IL PRIMO OBIETTIVO DELLE GRANDI AZIENDE DEL WEB, PIU' CHE FARE UTILI, E' ESPANDERE IL FATTURATO – E PER LE TELECOM DI OGNI ANGOLO DEL MONDO E’ CRISI

Federico Rampini per "Affari e Finanza - la Repubblica"

L'elenco degli sconfitti è lungo: da At&t a Deutsche Telekom, da Vodafone a Telefonica. Dopo l'acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook, una cosa è certa: il mondo intero sta voltando le spalle ai giganti delle telecom. Secondo la società di ricerca Ovum, solo l'anno scorso gli operatori telefonici hanno perso 32 miliardi di dollari di fatturato: è questa la dimensione del grande esodo degli utenti, che hanno capito di poter mandare sms gratis usando altri canali anziché ingrassare gli avidi operatori telecom.

Da questo punto di vista il boom di WhatsApp con i suoi 450 milioni di utenti rappresenta una vittoria dei consumatori, che scelgono un servizio lowcost, anzi di fatto gratuito, disertando le tariffe da rapina delle telecom. Guardando alla logica di Facebook, l'operazione da 19 miliardi di dollari conferma l'avvento di un "capitalismo senza profitti". O per essere più precisi: senza la smania del profitto immediato.

Lo si è visto da tempo in altri mestieri, con il caso di Amazon che preferisce stritolare i rivali in ogni settore del commercio online praticando prezzi di dumping; il profitto può attendere, la priorità è espandere il fatturato, fare piazza pulita della concorrenza, puntare al semi-monopolio. Mark Zuckerberg appartiene alla stessa cultura. E' una cultura "paziente", sotto un certo punto di vista.

I colossi dell'economia digitale - anche grazie alle immense risorse che Wall Street è disposta a mobilitare per loro - hanno fiducia che la redditività arriverà, ma al termine di un percorso strategico che insegue altri obiettivi. I grandi numeri. Il dominio planetario. Questi sono i criteri che interessano Zuckerberg, e ovviamente da questo punto di vista WhatsApp era una preda ambita. Facebook con 1,2 miliardi di utenti e WhatsApp con 450 milioni, sono entità commensurabili, si muovono nella stessa dimensione: aziende che "pesano" come interi continenti.

Il profitto immediato è un problema che assila i microbi, non loro. Perché l'esperienza ha insegnato a Zuckerberg che quando arrivi alla soglia del mezzo miliardo o del miliardo di clienti, a quel punto per diventare profittevole ti basta scremare una minuscola parcella dal tuo pubblico. Basta trasformare ognuno di quegli utenti in una fonte di guadagno di qualche dollaro annuo, e già il conto economico ne ricava benefici colossali.

Tutto questo sconta una certa dose di ipocrisia. Il co-fondatore di WhatsApp, il 38enne ucraino Jan Koum, ha sempre manifestato il suo disprezzo per il volgare denaro, e per l'avidità di chi vuol spremere dollari da consumatori attraverso la pubblicità. Ecco le sue parole: "Se due persone stanno comunicando, è inaccettabile interromperli con uno spot pubblicitario, oppure per mostrargli in anteprima un prodotto, un videogame".

La ragione sociale di WhatsApp è pura e nobile: favorire la comunicazione attraverso lo scambio di sms, colloqui digitali, invio di foto e video, al costo più basso possibile (zero), senza interferenze né secondi fini, con la massima privacy. Tutto l'opposto di quello che fa ricco Zuckerberg: lui ha trasformato Facebook in un Moloch dello spionaggio individuale. Non lo spionaggio politico.

Facebook fa incetta di notizie sui nostri gusti e le usa per raccogliere pubblicità, messaggi di marketing mirati. Quale dei due finirà per tradire gli ideali proclamati? Zuckerberg o Koum? Be', tanto per avere una dritta: Koum fino a qualche mese fa giurava che mai e poi mai avrebbe venduto la sua azienda. Respinse sdegnosamente un'offerta di Google, per 10 miliardi. Poi è arrivato Facebook e ha messo sul tavolo quasi il doppio. Tutto ha un prezzo.

 

 

logo facebookZUCKERBERG LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARIZUCKERBERG WHATSAPP JAN KOUM CAPO DI WHATSAPP

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