LE RAZZIE ESTETICHE DEL TERZO REICH: I GERARCHI DI HITLER FANATICI COLLEZIONISTI DELL’ARTE “DEGENERATA” DEGLI EBREI - BERLINO SAPEVA DA TEMPO DEI 1500 CAPOLAVORI RUBATI

1-L'ARTE DI HITLER
Siegmund Ginzberg per "La Repubblica"

A qualcuno di loro non dispiaceva affatto nemmeno quella che bollavano come "arte degenerata": dall'"ebreo spagnolo" (sic!) Picasso, e dall'ebreo russo Chagall, alle "mostruosità" di Munch, Max Ernst, Klee e Kokoschka. Qualcosa bruciarono in piazza dopo averli esibiti al ludibrio, la maggior parte li misero da parte, per far cassa o scambiarli con arte più confacente ai gusti ufficiali del Reich nazista.

La cosa curiosa è che i gerarchi nazisti erano tutti collezionisti compulsivi. Di porcate kitsch, di simbolismi grevi, di propaganda insulsa. Ma anche di grande arte. Hitler, si sa, avendo cercato di fare il pittore da giovane, amava farsi passare per grande intenditore
di arte. Adorava L'isola dei morti di Böcklin, di cui comprò un esemplare, nel 1933.

Quando la Wermacht occupò Parigi, si fece accompagnare al Louvre e fece un comizio sul genio di Michelangelo Buonarroti, ma nessuno ebbe ovviamente il coraggio di fargli notare che stava commentando un'opera di Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio. Goebbels, pare fosse un appassionato di arte moderna. Ma poi fu proprio lui a farsi venire l'idea del linciaggio pubblico dell'"arte degenerata". Aveva evidentemente cambiato idea, per adeguarsi ai gusti del suo capo, Hitler.

Hermann Göring, il ministro degli Esteri Von Ribbentrop, il capo della Gioventù hitleriana Baldur Von Schirach, persino il capo delle SS Himmler erano tutti collezionisti d'arte accaniti. Facevano a gara ad accaparrarsi cose belle, e soprattutto cose di valore. Era una dimostrazione di status, di prestigio relativo nella nomenclatura, una questione di esibizione del proprio potere. Un po' come esibire ville o amanti.

Lo sfizio se lo tolsero saccheggiando sistematicamente i musei e le proprietà degli ebrei. Prima in Germania, poi nei Paesi occupati dalle loro truppe. È vero, talvolta, per salvare le apparenze, facevano finta di comprarle. Ma con offerte irrisorie, che i destinatari «non potevano rifiutare».

«Doveste decidere di non vendere, sarei costretto a ritirare la mia offerta, e le cose procederebbero per conto loro, senza che io possa fare nulla per impedire il corso degli eventi»: questa la lettera tipo che Göring indirizzava ai collezionisti presi di mira. Ma anche l'accettazione del ricatto spesso non impediva che seguissero arresto e persecuzione. Anzi, l'organizzazione meticolosa delle "acquisizioni" andava, specie all'Est, di pari passo con l'organizzazione scientifica del massacro.

Tra le collezioni più strepitose andrebbe ricordata quella esibita da Adolf Eichmann
all'hotel Majestic, la sua residenza a Budapest nel 1944. Tra i quadri esposti c'erano dei Velázquez, Goya, Renoir, Brueghel. Tutti quadri espropriati agli ebrei per i quali Eichmann aveva l'incarico di pianificare la "soluzione finale". Gli portò via anche i capolavori dei "degenerati".

Ma questi finivano agli "specialisti", perché ne curassero la vendita.
Per la gigantesca rapina furono usati bracci armati, come l'Einsatzstab
Reichsleiter Rosenberg (ERR), i commando speciali dell'ideologo dello sterminio di ebrei e slavi, ma anche i servizi di un gran numero di esperti d'arte, come il curatore Hans Posse incaricato di mettere in piedi a Linz il "museo personale" del führer, e di una caterva di altri specialisti, galleristi e mercanti d'arte, in Germania, nel resto d'Europa e, durante la guerra, soprattutto in Svizzera.

Uno di questi "tecnici" di alto livello era appunto Hildebrand Gurlitt. Quello nel cui appartamento a Monaco - poi ereditato dal figlio Cornelius - è stato trovato il tesoro favoloso che si riteneva perduto. Con una nonna ebrea, e per giunta inviso in quanto estimatore dell'arte "degenerata" Gurlitt padre era un collaboratore "improbabile" dei nazisti. Ma forse proprio per questo gli avevano affidato un lavoro sporco: piazzare il maltolto all'estero.

Pare che sia stato il ministro della propaganda Goebbels in persona ad avere l'idea di conferirgli l'incarico. Ritenevano evidentemente che avesse i contatti giusti. Deve aver svolto questo compito con grande zelo e soddisfazione dei suoi datori di lavoro se ad un certo punto fu addirittura designato come futuro direttore del museo personale che Hitler voleva aprire a Linz.

L'intenzione era di imitare ciò che Napoleone aveva fatto per il Louvre. L'arte partorita da quelle che Hitler considerava "menti degenerate" non era destinata al museo. Ma Gurlitt si tenne anche gli esecrati Matisse, Marc, Dix, Kirchner. Perché sapeva benissimo quanto valevano. E forse anche perché i suoi gusti erano più raffinati.
La ricettazione avrebbe potuto continuare impunemente se Gurlitt figlio, vendendo di tanto in tanto qualcuna di quelle opere per le proprie spesucce, non si fosse tradito per un reato più banale: la frode fiscale.

Ora le autorità tedesche dicono che faranno il possibile per individuare i legittimi proprietari. Ma una approfondita inchiesta condotta qualche mese fa dallo Spiegel indica che la cosa non è così evidente. Documentava per filo e per segno quanto continui ad andare a rilento persino il censimento dei beni rapinati dai nazisti ancora in possesso, non di un ricettatore privato, ma di musei e istituzioni. Per non dire della beffa per cui spesso tornano in possesso degli eredi dei rapinatori, anziché degli eredi dei rapinati.

2-BERLINO: "SAPEVAMO DEI CAPOLAVORI"
Andrea Tarquini per "La Repubblica"

Il governo federale sapeva da tempo della clamorosa scoperta dei 1500 quadri d'autore sequestrati dai nazisti, e scoperti in un appartamento a Monaco. Ma per parlarne era in attesa delle conclusioni dei magistrati bavaresi e delle perizie di esperti. La sconcertante ammissione è venuta ieri dal portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert. E dipinge una realtà paradossale, imbarazzante per l'establishment tedesco tanto più nel momento in cui Berlino vuol dettare all'Europa intera la via del risanamento economico.

Seguendo quanto ha detto Seibert ieri, le cose stanno così: quando, a primavera 2011, la Dogana dello Stato libero di Baviera - tra i sedici Stati della Repubblica federale è insieme il più conservatore, il più moderno economicamente, il più geloso della sua autonomia - scoprì il tesoro nazista a casa di Gurlitt, l'informazione fu inoltrata alle autorità federali. Ma Berlino si piegò alla sovranità bavarese e alle scelte di Monaco e tacque. Così, solo lo scoop reso pubblico ieri dal settimanale Focus ha informato, con oltre due anni
in ritardo, l'opinione pubblica mondiale.

Una situazione imbarazzante per la prima potenza europea. Di fronte all'opinione pubblica, e anche davanti a parenti e discendenti degli ebrei vittime della Shoah che, prima di finire sterminati nelle fabbriche della morte, furono espropriati di ogni avere. Anche di opere dell'arte, di cui i massimi gerarchi nazisti erano particolarmente avidi. Secondo Anne Webber, della Commission for Looted Art in Europe, che ha messo a punto un registro su tutte le opere rubate dai nazisti dal 1933 al 1945, il ritrovamento a Monaco «è solo la punta di un iceberg».

Il riciclaggio di opere d'arte rubate dai nazisti secondo lei «è la vera storia non scritta e sconosciuta della Germania del dopoguerra». In Baviera, secondo lei, «esisteva una rete di mercanti che nel dopoguerra entrò in possesso di molti capolavori d'arte saccheggiati dai nazisti in Europa, capolavori da cui i mercanti bavaresi hanno guadagnato per decenni, e che tuttora si trovano in vendita nelle aste in Germania».

 

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