francesco pannofino boris

“CLOONEY MI DISSE CHE ERO BRAVO, MA ERA UBRIACO” – SAPETE COME È INIZIATA LA CARRIERA DI FRANCESCO PANNOFINO? “DOPPIANDO I FILM PORNO. RICORDO CERTE CONVOCAZIONI IL SABATO, OTTO ORE, 90 MILA LIRE, USCIVO IN DEBITO DI OSSIGENO" – HO CONQUISTATO MIA MOGLIE FACENDO LA VOCE DI BANDERAS - MI PIACEREBBE LAVORARE CON SORRENTINO O VERDONE. PUPI AVATI MI PIACE, QUANDO MI VEDE DICE: “SEI ALBERTO SORDI!”, PERÒ POI NON MI CHIAMA” – LA SUA TESTIMONIANZA DEL RAPIMENTO DI ALDO MORO E FRANCESCO DE GREGORI CHE SI RIFIUTO' DI STRINGERGLI LA MANO...

 

Elvira Serra per “il Corriere della Sera”

 

francesco pannofino boris

Lei un pesce rosso ce l’ha?

«No, l’ho avuto quando ero più giovane. Ma morivano in fretta».

 

E sul set di Boris come è andata?

«Subito dopo le riprese, il pesce rosso di turno veniva spostato dalla boccia di vetro all’acquario. Un po’ di sacrifici ci sono stati...».

 

Di quale regia è più orgoglioso René Ferretti: «Gli occhi del cuore», «Medical dimension», «Libeccio»?

«Di nessuno. Il suo tormento è aver voluto fare tante cose di qualità e non esserci mai riuscito».

 

francesco pannofino boris

E qual è il tormento di Francesco Pannofino?

«Non ne ha! Sono talmente contento di quello che ho fatto e che faccio: non posso lamentarmi. Ho avuto tutto quello che ho desiderato. Ho deciso di fare questo mestiere negli anni di piombo con incoscienza e tanta faccia tosta».

 

È credente?

«Sì. Non proprio bigotto, ma ho un buon rapporto con la fede. Ognuno poi la vede come je pare. Ma poi alla fine che cos’è, la fede, se non conforto e consolazione?».

 

Frequentava l’oratorio?

«Sì, a Imperia: sono cresciuto lì fino ai 14 anni, poi ci siamo trasferiti a Roma. A quei tempi se volevi giocare a pallone, o andavi all’oratorio o eri fregato. Era stata mia madre, pia donna, a portarmi dai frati. La messa è un bellissimo spettacolo: solo alcuni preti lo fanno male, io adoro quelli vivaci e coraggiosi. Io facevo il chierichetto e leggevo gli atti degli apostoli: le esibizioni mi riuscivano bene».

 

francesco pannofino

Cosa voleva fare da grande?

«Il calciatore. I miei miti erano Rivera, Mazzola e Riva. Allora, però, andavano i giocatori olandesi e quelli della mia età erano alti il doppio di me. O ti chiamavi Maradona, o non avevi speranza di sfondare...».

 

Francesco Pannofino è una delizia di uomo e di attore. Ci incontriamo nella Sala Albertini del Corriere della Sera e lui si guarda intorno come un bambino nella casa di Babbo Natale, con meraviglia e circospezione. Sarà che a un certo punto avrebbe voluto fare il cronista sportivo, ma in lui c’è autentico rispetto. Che non gli impedisce, naturalmente, di immaginare proprio in questa sala una storia per René Ferretti, il suo fortunato alter ego in Boris, che ha per protagonista un direttore corrotto che tratta male i suoi redattori. Non è il nostro!

francesco pannofino

 

«Vi son passato accanto/ vi son passato vicino/ era il 16 marzo/ le 9 e 5 del mattino»: di chi sono questi versi?

«Miei. È Sequestro di Stato, che fu usata come canzone finale nel film Patria, di Felice Farina. La scrissi in una delle pause di Boris, nel mio camerino, con la chitarra».

 

Il 16 marzo 1978 lei passò in via Fani poco prima dell’agguato ad Aldo Moro e alla sua scorta.

«Dovevo prendere l’autobus per l’università, il motorino era rotto. Mi sono fermato in edicola a prendere il Messaggero. Stavo leggendo in prima pagina la notizia della Juve che era riuscita a passare contro l’Ajax grazie a Zoff, quando sono partite le raffiche.

 

aldo moro via fani

Sono scappato sul lato opposto della strada e con una vicina ci siamo nascosti in una viuzza laterale. Non è durato tanto. Quando sono ritornato indietro c’erano le vittime a terra, i bossoli, il sangue. Sembrava un film. Ma ho realizzato la gravità della cosa a casa: in tivù non si parlava d’altro».

 

aldo moro

Lo ha raccontato anche davanti alla Commissione stragi del Senato.

«Quarant’anni dopo. Sono stati anni in bianco e nero. Io ero figlio di un carabiniere e non lo dicevo certo in giro».

 

All’università studiava Matematica.

«Mi ero diplomato all’Istituto tecnico industriale. L’università mi serviva per rimandare il militare e Matematica aveva pochi esami».

 

Però erano difficili.

«Infatti ne diedi solo tre: Algebra, Geometria 1 e Analisi 1».

 

Il successo è arrivato a 50 anni, con «Boris», ma lei lavorava già da trenta.

«Nella mia carriera di doppiatore non mi sono fatto mancare niente, come i film porno. Ricordo certe convocazioni il sabato, otto ore, 90 mila lire. Uscivo in debito di ossigeno».

 

francesco pannofino foto di bacco

Conquistò sua moglie Emanuela Rossi con la voce di Antonio Banderas.

«Beh, in qualche modo si può dire così: ci siamo conosciuti doppiando Donne sull’orlo di una crisi di nervi, dove io facevo appunto Banderas. A quei tempi si doppiava insieme, nella stessa stanza. Però l’approfondimento lo abbiamo fatto con Forrest Gump: poi è nato Andrea».

 

Anche lui è doppiatore?

«Un po’ doppiatore e un po’ attore. A 17 anni mi disse solennemente che non avrebbe mai recitato. Poi ha cambiato idea. Del resto, è figlio mio e di sua madre».

 

Ha recitato anche in «Boris»?

«Sì, una piccola parte nella quarta serie. Certo, è un privilegiato perché ha avuto la possibilità di entrare in campo. Il rovescio è il confronto con i genitori. Sta a lui dimostrare che è bravo».

francesco pannofino

 

A quale attore che ha doppiato è più affezionato?

«A George Clooney e a Denzel Washington».

 

Li ha mai conosciuti?

«Clooney solo per telefono: mi disse che ero bravo, ma era ubriaco: in vino veritas... Denzel lo vorrei conoscere, perché lui recita con gli occhi. Una volta ho incontrato Michael Madsen, cui avevo prestato la voce in Kill Bill. Fu divertente. Mi disse: I love you».

 

Ha senso il doppiaggio oggi, con le serie tv in lingua originale sottotitolate?

«Il doppiaggio morirà quando tutti impareranno l’inglese. Per come la vedo io, è come la traduzione di un libro: ci dobbiamo fidare del doppiatore. Diciamo che è un trucco cinematografico: te ne accorgi solo se è venuto male».

 

francesco pannofino (2)

Ha lavorato anche con John Travolta, per lo spot di una compagnia telefonica.

«Sì, e con Michelle Hunziker. Lui è una persona molto carina. Girammo vicino a casa sua, in Florida: sarebbe anche venuto in Italia pilotando il jet privato, ma il viaggio costava più che far spostare tutti noi in business class».

 

Ci sono dei lavori ai quali è più legato?

«Agli Esercizi di stile di Raymond Queneau, nella trasposizione teatrale di Jacques Seiler, con Gigi Angelillo e Ludovica Modugno. Facemmo quasi duemila repliche. Nella stessa serata puoi interpretare 60 personaggi! E poi, certo, Boris: il personaggio di René Ferretti è difficile da superare».

 

Sembra cucito su misura per lei.

«Non so quanti attori hanno fatto il provino. Ma dopo aver visto me dissero: fermi tutti, lo abbiamo trovato».

 

Un suo ricordo di Mattia Torre?

«Aveva il guizzo dell’ultimo secondo, oltre all’umorismo intelligente. Quelli come lui hanno studiato, non improvvisano. Fu sua l’idea di far recitare mia madre nel film».

francesco pannofino

 

Mamma Angela, sarta, nel ruolo della madre di René.

«Era passata lì per salutarmi. Mattia la vide e se ne uscì con questa cosa. Capirai, lei non vedeva l’ora. Fu bravissima, non guardò mai in macchina da presa. Poi ci prese anche gusto e mi chiese di dire al mio agente che se usciva qualche altra piccola parte lei era disponibile».

 

È venuta a vederla anche a teatro in «Mine Vaganti», di Ferzan Özpetek?

«In questa nuova tournée no, prima sì. È mancata il 27 dicembre. Era ricoverata all’Istituto tumori Giovanni Paolo II di Bari, dove hanno provato a curarla davvero fino all’ultimo. Sono riuscito a salutarla il giorno di Natale, con mia moglie e mio figlio, ma già non ci riconosceva».

paolo sorrentino

 

Mi dispiace molto... I suoi genitori credevano nella sua carriera di attore/doppiatore?

«Mio padre non tanto, mia madre sempre. Poi quando hanno visto che guadagnavo più di loro si sono tranquillizzati».

 

È più bello fare cinema, teatro, una serie tv o il doppiaggio?

«Io preferisco diversificare. La cosa più intrigante è il cinema, però è insidioso. Perché è vero che se una scena va male la puoi rifare tante volte, ma poi quello che hai fatto resta. Il teatro è effimero».

 

Con quale regista vorrebbe lavorare?

«Mi piacerebbe con Paolo Sorrentino. O Verdone, di cui amo l’umorismo. Anche Pupi Avati mi piace. Quando mi vede dice: “Sei Alberto Sordi!”, però poi non mi chiama».

 

Le è capitato di incontrare i suoi miti?

«Altroché: De Gregori, Venditti, Lucio Dalla, Enrico Ruggeri di cui sono diventato amico».

FRANCESCO DE GREGORI

 

E si è emozionato?

«Certo. De Gregori lo incontrai la prima volta nel 1983 a Roma in viale Angelico, mentre mangiava con la moglie fuori da una trattoria. Ero in macchina e quando lo riconobbi non resistetti: avevo appena fatto una tournée al Teatro Stabile di Trieste e la mia colonna sonora era stata per tutto il tempo Titanic, conoscevo le canzoni a memoria. Così mi avvicinai e lui cominciò a gridare: “Nooooo, ti pregoooooo”. Ci rimasi malissimo, volevo solo stringergli la mano e dirgli quanto lo stimassi».

 

Beh, però era in un momento privato.

«Ma sì. Poi l’ho rivisto 40 anni dopo al concerto di Ruggeri, che mi aveva invitato in camerino, e lo trovai lì. Appena mi vide disse: “France’” e mi abbracciò».

 

Dai, dai, dai. La vita a cazzo di cane di PANNOFINO E CORRADI

Vantaggi e svantaggi della notorietà?

«I vantaggi superano gli svantaggi. Devo ammettere, però, che quando mi svegliano in treno mentre mi sono appena appisolato non è bellissimo. Uno si scusò: “Signor Pannofino, non potevo farne a meno, lei è un mio fan!”. Beh, a mia volta non potei che replicare: “Genio!”».

 

Ha ceduto anche lei all’autobiografia. È appena uscito per Aliberti editore il libro-intervista «Dài, dài, dài. La vita a ca**o di cane», scritto con Roberto Corradi .

«Corradi ha insistito tanto, io non lo volevo fare, un po’ perché sono rispettoso del lavoro degli altri. Poi, visto che i giornalisti fanno teatro e i cantanti cinema, ho pensato che potevo farcela anch’io!».

Ultimi Dagoreport

donald trump vladimir putin giorgia meloni

DAGOREPORT - IL VERTICE DELLA CASA BIANCA È STATO IL PIÙ  SURREALE E “MALATO” DELLA STORIA POLITICA INTERNAZIONALE, CON I LEADER EUROPEI E ZELENSKY IN GINOCCHIO DA TRUMP PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L’UCRAINA – LA REGIA TRUMPIANA: MELONI ALLA SINISTRA DEL "PADRINO", NEL RUOLO DI “PON-PON GIRL”, E MACRON, NEMICO NUMERO UNO, A DESTRA. MERZ, STARMER E URSULA, SBATTUTI AI MARGINI – IL COLMO?QUANDO TRUMP È SCOMPARSO PER 40-MINUTI-40 PER “AGGIORNARE” PUTIN ED È TORNATO RIMANGIANDOSI IL CESSATE IL FUOCO (MEJO LA TRATTATIVA PER LA PACE, COSÌ I RUSSI CONTINUANO A BOMBARDARE E AVANZARE) – QUANDO MERZ HA PROVATO A INSISTERE SULLA TREGUA, CI HA PENSATO LA TRUMPISTA DELLA GARBATELLA A “COMMENTARE” CON OCCHI SPACCANTI E ROTEANTI: MA COME SI PERMETTE ST'IMBECILLE DI CONTRADDIRE "THE GREAT DONALD"? - CILIEGINA SULLA TORTA MARCIA DELLA CASA BIANCA: È STATA PROPRIO LA TRUMPETTA, CHE SE NE FOTTE DELLE REGOLE DEMOCRATICHE, A SUGGERIRE ALL'IDIOTA IN CHIEF DI EVITARE LE DOMANDE DEI GIORNALISTI... - VIDEO

francesco milleri gaetano caltagrino christine lagarde alberto nagel mediobanca

TRA FRANCO E FRANCO(FORTE), C'E' DI MEZZO MPS - SECONDO "LA STAMPA", SULLE AMBIZIONI DI CALTAGIRONE E MILLERI DI CONTROLLARE BANCHE E ASSICURAZIONI PESA L’INCOGNITA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA - CERTO, PUR AVENDO IL 30% DI MEDIOBANCA, I DUE IMPRENDITORI NON POSSONO DECIDERE LA GOVERNANCE PERCHÉ NON HANNO REQUISITI DETTATI DALLA BCE (UNO FA OCCHIALI, L'ALTRO CEMENTO) - "LA STAMPA"  DIMENTICA, AHINOI!, LA PRESENZA DELLA BANCA SENESE, CHE I REQUISITI BCE LI HA TUTTI (E IL CEO DI MPS, LOVAGLIO, E' NELLE MANI DELLA COMPAGNIA CALTA-MELONI) - COSA SUCCEDERÀ IN CASO DI CONQUISTA DI MEDIOBANCA E DI GENERALI? LOR SIGNORI INDICHERANNO A LOVAGLIO DI NOMINARE SUBITO IL SOSTITUTO DI NAGEL (FABRIZIO PALERMO?), MENTRE TERRANNO DONNET FINO ALL'ASSEMBLEA DI GENERALI...

donald trump grandi della terra differenza mandati

FLASH! - FA MALE AMMETTERLO, MA HA VINTO DONALD TRUMP: NEL 2018, AL G7 IN CANADA, IL TYCOON FU FOTOGRAFATO SEDUTO, COME UNO SCOLARO CIUCCIO, MENTRE VENIVA REDARGUITO DALLA MAESTRINA ANGELA MERKEL E DAGLI ALTRI LEADER DEL G7. IERI, A WASHINGTON, ERA LUI A DOMINARE LA SCENA, SEDUTO COME DON VITO CORLEONE ALLA CASA BIANCA. I CAPI DI STATO E DI GOVERNO EUROPEI, ACCORSI A BACIARGLI LA PANTOFOLA PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L'UCRAINA, NON HANNO MAI OSATO CONTRADDIRLO, E GLI HANNO LECCATO VERGOGNOSAMENTE IL CULO, RIEMPIENDOLO DI LODI E SALAMELECCHI...

pietrangelo buttafuoco alessandro giuli beatrice venezi

DAGOREPORT – PIÙ CHE DELL’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA, GIULI E CAMERATI DOVREBBERO PARLARCI DELLA SEMPLICE E PERENNE EGEMONIA DELL’AMICHETTISMO E DELLA BUROCRAZIA – PIAZZATI I FEDELISSIMI E GLI AMICHETTISSIMI (LA PROSSIMA SARÀ LA DIRETTRICE DEL LATO B VENEZI, CHE VOCI INSISTENTI DANNO IN ARRIVO ALLA FENICE), LA DESTRA MELONIANA NON È RIUSCITA A INTACCARE NÉ LO STRAPOTERE BARONALE DELLE UNIVERSITÀ NÉ LE NOMINE DIRIGENZIALI DEL MIC. E I GIORNALI NON NE PARLANO PERCHÉ VA BENE SIA ALLA DESTRA (CHE NON SA CERCARE I MERITEVOLI) CHE ALLA SINISTRA (I BUROCRATI SONO PER LO PIÙ SUOI)

donald trump giorgia meloni zelensky macron tusk starmer

DAGOREPORT - DOVE DIAVOLO È FINITO L’ATTEGGIAMENTO CRITICO FINO AL DISPREZZO DI GIORGIA MELONI SULLA ‘’COALIZIONE DEI VOLENTEROSI”? - OGGI LA RITROVIAMO VISPA E QUERULA POSIZIONATA SULL'ASSE FRANCO-TEDESCO-BRITANNICO, SEMPRE PRECISANDO DI “CONTINUARE A LAVORARE AL FIANCO DEGLI USA” - CHE IL CAMALEONTISMO SIA UNA MALATTIA INFANTILE DEL MELONISMO SONO PIENE LE CRONACHE: IERI ANDAVA DA BIDEN E FACEVA L’ANTI TRUMP, POI VOLA DA MACRON E FA L’ANTI LE PEN, ARRIVA A BRUXELLES E FA L’ANTI ORBÁN, INCONTRA CON MERZ E FA L’ANTI AFD, VA A TUNISI E FA L’ANTI SALVINI. UNA, NESSUNA, CENTOMILA - A MANTENERE OGNI GIORNO IL VOLUME ALTO DELLA GRANCASSA DELLA “NARRAZIONE MULTI-TASKING” DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA, OLTRE AI FOGLI DI DESTRA, CORRONO IN SOCCORSO LE PAGINE DI POLITICA INTERNA DEL “CORRIERE DELLA SERA”: ‘’PARE CHE IERI MACRON SI SIA INALBERATO DI FRONTE ALL’IPOTESI DI UN SUMMIT A ROMA, PROPONENDO SEMMAI GINEVRA. MELONI CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO” - SÌ, C’È SCRITTO PROPRIO COSÌ: “CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO”, MANCO AVESSE DAVANTI UN LOLLOBRIGIDA QUALSIASI ANZICHÉ IL PRESIDENTE DELL’UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E MEMBRO PERMANENTE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU (CINA, FRANCIA, RUSSIA, REGNO UNITO E USA) - RIUSCIRÀ STASERA L’EROINA DAI MILLE VOLTI A COMPIERE IL MIRACOLO DELLA ‘’SIRINGA PIENA E MOGLIE DROGATA’’, FACENDO FELICI TRUMP E MACRON?