dagospia 18

STASERA LILLI GRUBER A “OTTO E MEZZO” FESTEGGIA I PRIMI 18 ANNI DI DAGOSPIA – DAGO-INTERVISTA A “NOVELLA 2000”: “PAOLO MIELI PARAGONÒ INTERNET AL “BORSELLO”, UNA MODA STAGIONALE. NESSUN GIORNALE AVEVA PENSATO DI DIFFONDERE CONTENUTI SU UN SITO. LA RETE ERA VISTA CON MOLTA DIFFIDENZA. CI SONO VOLUTI ANNI PER FAR CRESCERE DAGOSPIA…”

Stasera alle 20.30 la puntata di "Otto e mezzo" è dedicata a questo sciagurato sito diventato maggiorenne.

gruber dago emanuele severino jpeg

 

Tiziana Cialdea per Novella 2000

 

Dagospia è maggiorenne. Sì perché alla fine di maggio il sito creato da Roberto D’Agostino ha compiuto diciotto anni di attività.

Umore del fondatore? Felice, ovvio, ma anche un po’ incredulo, perché diciotto anni fa, lo stesso D’Agostino mica ci credeva che il suo “sito- figlioccio” avrebbe avuto tutto il successo che poi è arrivato.

 

dago col bouquet

«L’idea di aprire un blog risale al 1999 anno della bolla speculativa sui titoli digitali alla Borsa di New York», ci racconta D’Agostino, «a quei tempi c’era una situazione abbastanza dubbia sul futuro di Internet. Nel 2000, quando ho inaugurato il sito, non esistevano i social e i motori di ricerca non erano così diffusi. Mi ritrovavo a scrivere l’indirizzo del sito su pezzetti di carta che consegnavo a mano agli amici. Prima di me ad aprire un sito d’informazione era stata Barbara Palombelli: siamo stati due pionieri. È stata lei a suggerirmi di aprire un blog, perché a cinquant’anni volevo essere padrone di me stesso. Ero insofferente verso chi sapeva la metà degli argomenti che conoscevo io. Volevo avere la libertà di raccontare storie, non fare la rivoluzione».

 

zero e dagp..

Roberto, poi però, Dagospia un po’ la rivoluzione l’ha fatta, perché non è stato solo pioniere dell’on-line, ha anche cambiato il modo di raccontare storie e fare informazione.

«Questo è avvenuto perché gli altri avevano un’idea diversa di Internet, Paolo Mieli lo paragonò al “borsello”, cioè disse che sarebbe stata una moda stagionale. Nessun giornale aveva pensato di diffondere contenuti su un sito. Erano pochi ad aver fatto questo passo, la rete era vista con molta diffidenza. Ci sono voluti anni per far crescere Dagospia. Da parte mia c’è stata parecchia tenacia e ho dovuto crederci sempre. All’inizio lo facevo da solo: era una produzione artigianale».

BARBARA PALOMBELLI ROBERTO DAGOSTINO

 

È solo negli ultimi anni che con Internet si guadagna. Finora per lei non deve essere stato semplice. C’è stato un momento in cui ha pensato di mollare?

francesco persili riccardo panzetta giorgio rutelli federica macagnone

«Tante volte. In particolare quando mi sono arrivate richieste di risarcimento danni. Lavorando in tempo reale, spesso non si fa nemmeno in tempo a dare una notizia, che subito ce n’è un’altra da pubblicare. Chi lavora in rete non può “bucare” una notizia, questo fa sì che serva una dedizione totale. Quando facevo il giornalista per la carta stampata, dopo aver scritto un pezzo, buttavo la penna e buonanotte, finito. Adesso mi ritrovo in una catena di montaggio, vivo attaccato al computer».

 

Quante persone lavorano per Dagospia?

«Tutto il Paese lavora per Dagospia! Arrivano di continuo notizie, indiscrezioni, dritte. Poi ho un gruppo ristretto di collaboratori che fanno da filtro, lavorano al desk, controllano le notizie. Ma i miei collaboratori principali sono fuori dalla redazione. Non è una redazione classica, ci sono cinque o sei persone fisse, per me è un soddisfazione poter dare loro lavoro. Ma essere capo comporta tante responsabilità».

 

Secondo lei c’è futuro per la carta stampata?

BERLUSCONI PIANGE DURANTE IL COMIZIO DOPO LA SUA CONDANNA A ANNI

«Nella misura in cui giornalisti, direttori ed editori sollevano le antenne per intercettare i bisogni del pubblico. Bisogna capire cosa interessa alla gente, cosa la gente vuole avere da un giornale. Ormai un quotidiano è occupato da almeno quattro o cinque pagine di politica, ma ci sono tanti argomenti, dal benessere, alla vita sessuale, che riguardano chiunque e richiamano l’attenzione. Me ne rendo conto quando pubblico articoli a tema sul sito».

 

C’è uno scoop che Dagospia vorrebbe fare?

«Vorrei avere la sicurezza che l’Italia non sia travolta dalla reazione dei mercati internazionali. Se succede qualcosa, le tasche di tutti vengono colpite. La situazione economica mi preoccupa: l’Italia ha preso impegni che non si possono non rispettare».

 

virginia raggi

Per Dagospia funzionavano di più i politici del passato o quelli di oggi, che fino all’altro ieri facevano altro  nella vita e ne vanno ben fieri?

«Quelli del passato, una volta finiti i loro impegni istituzionali, si andavano a divertire: penso all’epoca di Berlusconi, in cui documentavo tutto col mio Cafonal. I politici andavano in discoteca, erano molto esposti a gaffe private. Oggi gli errori che si commettono sono pubblici, cioè riguardano i cittadini. Io vivo a Roma, dove la giunta del sindaco Virginia Raggi ha già cambiato otto assessori in due anni. La città è in decadenza. Significa che arrivare al potere senza avere un rapporto coi quadri, cioè con la macchina burocratica che sorregge il potere, porta a una sorta di paralisi. L’inesperienza costa».

 

Dagospia negli ultimi anni si è dedicato, più che al gossip dei Vip dello spettacolo, al gossip politico, cioè sulla politica e sui suoi retroscena. D’Agostino, lei ha mai pensato di fare politica in prima persona?

«Mai. Perché è un mestiere che non conosco. È come se mi chiedessero di fare l’elettricista: che ne so io del perché una lampadina si accende o si guasta?».

 

Non le è stato nemmeno mai chiesto?

EDOARDA CROCIANI - DAGO - SILVIO BERLUSCONI

«Una volta, sì. Antonio Di Pietro voleva candidarmi nell’Italia dei valori, ma la mia risposta è stata chiara: assolutamente no. Ognuno deve fare il suo mestiere. La politica non è un hobby, implica la conoscenza delle leggi. Non è che uno si sveglia una mattina e pensa di poter mettere a posto i problemi degli altri. Se Berlusconi non avesse avuto alle spalle un Gianni Letta, che aveva una sua rete di collegamento molto ampia nelle stanze del potere, non sarebbe mai rimasto per nove anni a Palazzo Chigi. Perché  veniva da un altro tipo di esperienza professionale, diversa da quella politica».

DAGO BY UBALDO PANTANI

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