COME ALLO ZOO - STUDENTI VIP INGLESI IN GITA “SOCIOLOGICA” ALLO STADIO PER IMPARARE LE ABITUDINI DELLA CLASSE OPERAIA: I TIFOSI PROTESTANO - ANCHE IL “TIMES” CONTRO L’INIZIATIVA: “UN VIAGGIO PER STUDIARE COME SONO FATTI I POVERI”

Enrico Franceschini per “la Repubblica”

 

Scusi, signore, lei si sente un esempio di mascolinità? «Masco che?», risponde l’uomo sulla quarantina, testa rasata, tatuaggio che sbuca dal collo, giaccone di pelle nera su felpa nera con cappuccio, jeans, Adidas ai piedi. Riproviamo con un altro termine: virilità, machismo? «Mi piacciono le donne, se è questo che intendi, perché a te no?». Attorno al cronista, nel pub vicino allo stadio, si forma un capannello di altri uomini a cui sicuramente “piacciono le donne”, tutti con la stessa uniforme, cranio pelato, felpa con cappuccio, giaccone scuro.

 

A questo punto bisognerebbe chiedergli se, tra le altre loro predilezioni, figurano anche l’omofobia e il razzismo. Ma poi uno vorrebbe uscire incolume dal pub e non è detto che sarebbe un’impresa facile. Meglio lasciare che domande simili gliele facciano, se vogliono, gli studenti del Varndean College di Brighton, scuola privata della cittadina sulla Manica, che nei giorni scorsi si sono sentiti proporre, come gita propedeutica allo sviluppo intellettuale, una spedizione a Londra per assistere a una partita casalinga del Millwall Football Club, squadra che milita nella serie B inglese, allo scopo dichiarato di imparare qualcosa sulle abitudini “della classe operaia” e sulle caratteristiche di taluni suoi appartenenti, quali “mascolinità, omofobia e razzismo”, appunto.

 

Premessa per chi non conosce il Millwall: la formazione londinese non deve la sua fama tanto ai meriti calcistici, avendo giocato soltanto un paio d’anni in Premier League e per il resto sempre in seconda o terza divisione (la sua maggior gloria è stata nel 2004 la finale di Coppa d’Inghilterra, persa contro il Manchester United), quanto alla reputazione della sua tifoseria, in particolare dei suoi hooligans, autori di frequenti intemperanze in passato e ancora oggi giudicati piuttosto pericolosi, a dispetto delle severe norme introdotte in Inghilterra contro gli ultrà un paio di decenni or sono.

 

Perfino sul sito del club ci sono avvertimenti ai sostenitori delle squadre avversarie di non indossare maglie o simboli con i colori del team del cuore neanche se vanno a guardare la partita in un pub a discreta distanza da The Den (La tana), lo stadio del Millwall, e per nessuna ragione di andare a guardarla in quelli nelle vicinanze dell’arena sportiva.

 

Consiglio con cui è difficile non concordare: visti da vicino, i fans del Millwall non sembrano particolarmente amichevoli nei confronti degli estranei, specie dopo aver bevuto qualche birra. Ancora meno se uno comincia a fargli domande tipo: siete mascolini? Magari anche un po’ omofobi? Razzisti pure, per caso?

 

Ma il punto è un altro. A puzzare, se non proprio di razzismo, perlomeno di discriminazione e cattivo gusto, è l’idea di mandare degli studenti di una scuola di élite a osservare da vicino dei tifosi della “working class” come se fosse una gita allo zoo o tra i selvaggi di una tribù di cannibali. Non a caso il Times ha stigmatizzato l’iniziativa come un viaggio per “studiare come sono fatti i poveri”.

 

Sociologia da strapazzo, la si potrebbe chiamare, specialmente fuori luogo se a condurla, invece che dei sociologi, sono ragazzi di buona famiglia destinati a Oxford e Cambridge. Senza contare che gli ultrà si somigliano sociologicamente ovunque, e non solo in Inghilterra, sebbene quelli del Millwall, in fatto di hooliganismo, li superino in pochi.

 

Tra l’altro il Millwall Football Club e i suoi tifosi meriterebbero davvero un’indagine sociologica (nel 2005 hanno ispirato anche un film, “Hooligans”), ma condotta assai più seriamente. Fondato nel lontano 1885 dai lavoratori di una fabbrica dell’Isola dei cani, nel quartiere di Tower Hamlets, East End di Londra, appena al di sopra del Tamigi, ha avuto tra i suoi primi tifosi i portuali e i manovali che lavorano nei docks.

 

Ci sono tante società di calcio del genere, in Inghilterra, con un forte attaccamento alle realtà operaie locali. Poi nel 1910 club e stadio si sono trasferiti a sud del Tamigi, nella zona di South Bermondsey, dove la matrice operaia è rimasta ma ha preso gradualmente anche altre tinte, mescolandosi a un sottoproletariato bianco, effettivamente xenofobo, omofobo, contagiato anche da gruppuscoli di estrema destra.

 

Le violenze dei Millwall Bushwackers (motto: “no one likes us, we don’t care”, non piacciamo a nessuno e non ce ne frega niente) furono così efferate, negli anni ‘80, da diventare tra le cause delle leggi contro gli ultrà che hanno cambiato il calcio inglese, facendo sparire i violenti dagli stadi anche se non necessariamente dai pub intorno agli stadi.

Suggerire a studenti sedicenni di passare un pomeriggio a The Den, con l’avvertimento di travestirsi da classe operaia, “mangiando apple-pie e bevendo tè”, per vedere da vicino il popolino, è invece soltanto ridicolo o offensivo. Il Varndean College rifiuta ogni commento. Il Millwall anche. «E allora, che vuoi sapere?» dicono i suoi tifosi al cronista nel pub. Mah, niente, via, scherzavo. Posso offrirvi una birra?

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