CON LA TESTA-TA RIVOLTA AL PASSATO – DIETRO L’ADDIO DEL BLOGGER NATE SILVER AL “NEW YORK TIMES” LE INVIDIE DEI COLLEGHI ANZIANI ATTACCATI ALLA CARTA

Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

La storia è un po' diversa da come l'avevamo capita. Non è tanto che Nate Silver è andato via dal New York Times, per perseguire un'opportunità di carriera più interessante alla ESPN; è il New York Times che in sostanza lo ha rigettato, con la resistenza dei colleghi anziani della carta stampata. Questo, almeno, si capisce dall'articolo della Public Editor Margaret Sullivan sull'intera vicenda. E se le cose stanno così, la "Signora in Grigio" non fa esattamente la figura di una struttura giornalistica proiettata verso il futuro.

Per chi non avesse capito una parola di quanto abbiamo scritto finora, è utile ricordare che Nate Silver è un famoso blogger, specializzato nelle analisi statistiche. Ha 35 anni e al principio si era fatto notare sviluppando il PECOTA, un sistema studiato per prevedere le prestazioni dei giocatori di baseball.

In sostanza partiva dai risultati ottenuti dai vari campioni, per anticipare cosa avrebbero potuto raggiungere nel prossimo futuro. Poco alla volta si è interessato alla politica, e ha messo il suo sistema al servizio della previsione delle elezioni. Attraverso i suoi calcoli ha centrato il pronostico delle presidenziali vinte da Obama nel 2008, e poi ancora nel 2012, costruendosi una fama di mago delle statistiche.

Il New York Times gli ha offerto lo spazio per un blog, chiamato FiveThirtyEight, e lui ne ha fatto una delle principale calamite di traffico sul sito del giornale. Due giorni fa però ha annunciato che lascia la "Signora in Grigio", per passare alla televisione sportiva ESPN e alla ABC, che fanno parte dello stesso gruppo.

In apparenza, si tratta di un ritorno alle origini: Nate era nato col baseball, e così riscopre la sua passione. Ma la Sullivan, che come Public Editor ha proprio il compito di controllare e criticare gli eventuali errori del giornale, ha raccontato una versione diversa: "Silver era un elemento di disturbo nella redazione, non si è mai integrato nella cultura del New York Times". Non solo: molti colleghi anziani ed esperti non lo sopportavano, al punto che avevano tempestato di mail critiche la povera Margaret, quando si era azzardata a difendere il lavoro di Nate. Il problema stava in una profonda differenza di cultura giornalistica. I colleghi esperti erano abituati alla vecchia copertura politica, basata sui sondaggi, le analisi, il racconto delle storie dalle campagne elettorali: ottimo lavoro, ma tradizionale. Nate basava tutto sui numeri e sui calcoli statistici delle probabilità, divinando le elezioni con una tecnica completamente diversa.

La Sullivan ha cercato di sminuire l'impatto delle sue rivelazioni, dicendo che la spaccatura culturale tra Silver e la redazione ha avuto un ruolo limitato nella sua decisione di andare via. Il direttore Jill Abramson e l'amministrazione hanno fatto il possibile per trattenerlo, ma i rivali offrivano un pacchetto composto da soldi, opportunità multimediali e possibilità di occuparsi di quello che voleva, dallo sport alla politica, che non si poteva battere.

Può darsi che sia andata così, ma il fatto che il principale giornale americano si lasci sfuggire il principale trascinatore di traffico sul suo sito è imperdonabile. E se le invidie dei colleghi vecchio stampo hanno avuto anche un minimo ruolo in questa sconfitta, la storia di Nate non depone bene per le prospettive del Times di restare protagonista della nuova informazione digitale.

 

NATE SILVERnate_silverNew York Time logoSullivan Margaret

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