dago

“IO MORIRÒ DAVANTI AL COMPUTER SCRIVENDO SU DAGOSPIA” – IL “TESTAMENTO” DI DAGO: “IL SITO NON L’HO FATTO PER I SOLDI E NON INTENDO VENDERLO. HO SEMPRE CREDUTO CHE LA FELICITÀ SIA FARE LA COSA CHE CI PIACE, E CHE IL LAVORO SIA LA DIGNITÀ DELL’UOMO. IO FACCIO QUELLO CHE MI PIACE. HO UNA REDAZIONE MERAVIGLIOSA, CON IL MIO VICE RICCARDO PANZETTA, E ANDRANNO AVANTI ANCHE DOPO DI ME – MIO FIGLIO ROCCO È UNO SCIENZIATO, AMA QUEL LAVORO E DI DAGOSPIA NON GLI FREGA ASSOLUTAMENTE NULLA. È PADRONE AL 100%, DECIDERÀ LUI IL DA FARSI”

Claudio Plazzotta per “Italia Oggi”

 

DAGO A PIAZZAPULITA

Roberto D’Agostino si gode il successo del suo atto di amore verso la città che adora, il documentario «Roma santa e dannata» distribuito in vari cinema italiani e che, tra qualche settimana, verrà trasmesso pure dalla Rai. «È una cosa bella e malinconica», dice D’Agostino a ItaliaOggi, «senza coatteria. Un racconto dolente sulla nostra città. Perché ovunque andassimo, a Londra, Parigi, New York, Los Angeles, poi però volevamo tornare sempre a Roma, a casa».

 

dago e la redazione di dagospia foto di bacco

Una vita di eccessi, di tatuaggi, di «volevo essere Keith Richards», e poi il contrappasso pure per D’Agostino: il figlio Rocco, 28 anni, laureato in ingegneria civile alla Brunel University di Londra. Tra il 2016 e il 2017 master all'Imperial college sempre di Londra. Un esperto di scienze dei materiali, senza neanche un tatuaggio, che, dopo un'esperienza in Finmeccanica, dal febbraio 2018 vive e lavora a Milano in Pirelli. Niente Roma, quindi, e niente Dagospia, nonostante Rocco sia padrone al 100% del sito di news lanciato da D’Agostino nel 2000.

 

DAGO A PIAZZAPULITA

«Certo, Rocco è uno scienziato, ama quel lavoro e di Dagospia non gli frega assolutamente nulla. È padrone al 100%, deciderà lui il da farsi». Perché Roberto D’Agostino, nonostante la camicia sbottonata d’ordinanza che se lo fa un quarantenne prende la bronchite all’istante, ha compiuto 75 anni, ed è tempo per porsi qualche domanda. Del tipo: una società, come quella di Dago, che nel 2021 ha avuto ricavi per 2,9 milioni di euro con 778 mila euro di utili, e che nel 2022 ha chiuso con 2,6 milioni di ricavi per 680 mila euro di utili, con un rapporto utili/ricavi del 26%, potrebbe essere molto appetibile per tanti investitori.

 

riccardo panzetta foto di bacco (3)

Vale la pena vendere? «Però», risponde D’Agostino, «il sito l’ho fatto a 52 anni perché fino ad allora lavoravo con capi che mi chiedevano pezzi ma io ne sapevo sempre più di loro. Internet non costava niente, e ho aperto un mio blog perché il contratto che avevo con l’Espresso, all’epoca, non prevedeva esclusive per Internet. Ho lanciato Dagospia perché ero infelice, amareggiato. Non l’ho fatto per i soldi e non intendo venderlo. Ho sempre creduto che la felicità sia fare la cosa che ci piace, e che il lavoro sia la dignità dell’uomo. Io faccio quello che mi piace. Ho una redazione meravigliosa, con il mio vice Riccardo Panzetta, e andranno avanti anche dopo di me. Io morirò davanti al computer scrivendo su Dagospia».

roma santa e dannata rocco dagostino 01 ph antinori

 

Domanda. Ma è vero che alla prima stesura il documentario si doveva chiamare «Roma santa e puttana»?

Risposta. Sì. Ma poi Google non accetta le parolacce, di questi tempi si deve tenere conto dell’algoritmo. E allora…

 

D. Nel documentario lei racconta soprattutto la Roma degli anni 60, 70, 80, 90. Quale ha preferito?

R. Di sicuro non ho amato la Roma degli anni 70, degli scontri politici, del terrorismo, della paura, del coprifuoco. Sono stati anni tumultuosi, e oggi i ragazzi si godono libertà che a noi sono costate botte e fughe da casa. Quando uscivo con la pelliccia di mia madre mi sentivo dire di tutto da mio padre. Ma lo capisco, era un uomo che aveva i valori della fine dell’800. Mi piace comunque ricordare sempre che le grandi rivoluzioni non le ha mai fatte la ideologia, ma la farmacia: prima con la pillola anticoncezionale, poi col viagra. Per noi, fino ai primi anni 70, non esisteva un rapporto sessuale tranquillo, c’era il terrore di mettere incinta le ragazze e i profilattici erano una specie di cinturato Pirelli, sensibilità zero.

 

LA REDAZIONE DI DAGOSPIA - FOTO DI BACCO

D. Gli anni 60, invece?

R. A Roma c’è il Vaticano, c’è Dio, c’è Gerusalemme ma c’è pure Babele. A quei tempi tutti i gay stavano a Roma, Gore Vidal, Tennessee Williams, Marlon Brando, tutti a Roma perché qui si scopava. Non c’era il castigo della carne, non c’era il moralismo, tutti facevano la Dolce vita. Pensiamo a Pier Paolo Pasolini che stava coi ragazzini di 14 anni: oggi se accadesse qualcosa del genere ti arrestano. Roma è sempre stata un bordello.

roma santa e dannata roberto dagostino e milena gabanelli 01 ph antinori

 

D. Poi, negli anni 80, è arrivato il craxismo, l’edonismo reaganiano…

R. Io ho lavorato con l’assessore Renato Nicolini alla Estate romana. La popolazione romana era divisa, scontri per bande, coprifuoco. E serviva riconciliare tutti, con l’effimero. La cultura dell’Estate romana ha reso possibile la riconciliazione, con i film al cinema Massenzio, io che mettevo la musica a Villa Ada. E non la musica rock anni 70, divisiva. Ma quella dell’età dell’oro, degli anni 60.

 

D. Lei ama ripetere che i romani sono sempre stati capaci di distinguere bene la storia dalla cronaca. Con un disincanto massimo verso qualsiasi personaggio o fenomeno. Così, però, non si rischia di rimanere fermi, ancorati al passato?

R. Obama era cronaca, Kennedy era cronaca, nessuno se li ricorda più. A Roma svanisce tutto, in testa alla classifica ci sono sempre Cristo, il Vaticano e Roma. Per noi la storia è tutto. Per noi il passato è il nostro percorso, la forza del passato ci rende ancora più forti. Quando arriva una coatta a Palazzo Chigi, il romano si mette sulle sponde del Tevere e aspetta che passi il suo cadavere.

 

roma santa e dannata antonio ricci roberto dagostino e marco giusti 01 ph antinori

Così come è accaduto per Bossi, Renzi, Salvini o Conte. Roma è una città capitale d’Italia ma detesta l’unità di Italia. È una capitale decisa da Cavour che a Roma non ci era mai stato. Nel mio quartiere comandava il prete, a Roma comandano ancora i preti. E molti romani non hanno metabolizzato la breccia di Porta Pia, non hanno accettato la fine dello stato Pontificio. D’altronde, il più grande poeta di Roma, Gioacchino Belli, lavorava al Vaticano.

 

D. Meravigliosi, poi, i passaggi nei quali ricorda che i romani che si attovagliano per ore e ore al Moro o al Bolognese non sono parassiti fancazzisti. Sono romani che stanno portando a termine un lavoro, il lavoro più importante: tessere relazioni, allacciare conoscenze, creare rapporti…

MARCO GIUSTI E DAGO INTERVISTATI DAL TG1

R. A Roma il primo grande lavoro è avere relazioni, stare a tavola, avere una propria nomenclatura. Moravia aveva la sua corte, la Morante la sua, il gruppo 63 di Angelo Guglielmi la sua, serve avere una filiera, una rete che ti protegga, perché se stai da solo vai a sbattere. Non è un caso che a Roma ci siano molti circoli, dove è difficile entrare, dall’Aniene a quello della Caccia, degli Scacchi o del Tiro a volo. Sono logge, centri di potere. A Roma non esiste la solidarietà, ma solo la complicità, e tutti stanno zitti.

 

D. Roma abbraccia tutti, romanizza tutti?

R. Ricordo bene Franco Tatò, che conoscevo perché aveva lavorato alla Mondadori. Quando divenne capo dell’Enel arrivò a Roma. Una sera, a cena, lui iniziò a pontificare su Roma ladrona, una latrina da bonificare, con sua moglie che annuiva. Io ridevo. Dopo tre mesi lo beccai in giro mano nella mano con Sonia Raule. A Roma finisce sempre così.

marco giusti roberto dagostino foto di bacco

 

D. Prima parlava di una coatta a palazzo Chigi. Che ne pensa del governo Meloni? Che fine farà?

R. Se non scoppiava la guerra in Israele le agenzie di rating e pure Bruxelles l’avrebbero già massacrata. Ora, però, non possono farlo, non è consigliabile creare instabilità in un paese al centro del Mediterraneo. Lei, però, si è messa contro tutti, ha perso spagnoli, polacchi, Ursula von der Leyen, ma dove va? Al governo ci sono tre partiti uno contro l’altro, diversissimi. Chiusa la guerra in Israele, secondo me salta. E all’Italia serve una cura greca, con la troika (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, ndr), perché ormai è un legno troppo storto e va spezzato.

dago al festival del cinema di romaroberto dagostino salvo nastasi foto di bacco marco giusti e dago al festival del cinema di romadago lavinia matteucci rocco d agostino foto di baccodago e massimo ceccherini foto di baccodago e cesare previti foto di baccoroma santa e dannata poster by macondo 6roma santa e dannata poster by macondo 4lorenzo mieli dago e anna federici foto di baccoMARCO GIUSTI E DAGO INTERVISTATI DAL TG1mirella serri roberto dagostino foto di bacco

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