la traviata dell’opera garnier

SEMPREVERDI! E' “LA ‘TRAVIATA’ DELLA MUCCA” MA NON MANDIAMOLA IN VACCA – MATTIOLI: ALL’OPÉRA LA VERSIONE DEL REGISTA STONE È IPERMODERNA MA IN REALTÀ FEDELISSIMA A VERDI. E SPLENDIDAMENTE DIRETTA DA MARIOTTI CHE RIESCE NELL’IMPRESA DI FAR SEMBRARE ATTUALE, URGENTE, DEVASTANTE, IN UNA PAROLA NOSTRO, IL TITOLO PIÙ USATO E USURATO DELL’INTERO REPERTORIO OPERISTICO…" - VIDEO

 

Alberto Mattioli per www.lastampa.it

la Traviata dell’Opera Garnier

 

«Ancora?» è la reazione tipica dell’operoinomane (e anche parecchio operoinomade) quando si annuncia una nuova «Traviata». Altro che sempreVerdi: statistiche alla mano, quelle del sito per fanatici operabase, è l’opera in assoluto più rappresentata al mondo, e di gran lunga. Rappresentata quasi sempre male, d’accordo, ma è così. La conseguenza è che un’ennesima produzione di «Traviata» ha senso soltanto se si riesce a sottrarre la storia infelicissima e funesta della povera Violetta alle banalità anestetiche e consolatorie della cosiddetta «tradizione» e a ridarle la forza eversiva e destabilizzante, socialmente e politicamente rivoluzionaria, che è la sua vera grandezza. Macché «è stato così bello, ho pianto tanto», come dicono le nonne sopra il collo di pelliccia uscendo da Zeffirelli o dalla Cavani: o «Traviata» è un calcio nello stomaco, una provocazione, uno scandalo, oppure non è. Se non indigna, è indegna, di Verdi, della nostra intelligenza, di tornare in scena per la tremilionesima volta.

 

la Traviata dell’Opera Garnier

Ora, la nuova «Traviata» dell’Opéra di Parigi, collocata a Garnier invece che alla Bastiglia (dunque sacrificando un po’ di botteghino alle ragioni dell’arte, chapeau a Lissner) riesce nell’impresa di far sembrare attuale, urgente, devastante, in una parola nostro, il titolo più usato e usurato dell’intero repertorio operistico. Il merito è dei due responsabili dello spettacolo, il regista Simon Stone e il direttore Michele Mariotti. Il rischio del «famolo strano», certo, è dietro l’angolo: ma quella di distinguere fra la provocazione per far parlare e ciò che davvero merita che se ne parli resta una delle poche facoltà o forse utilità della critica, beninteso senza pretese di infallibilità (anzi...).

 

la Traviata dell’Opera Garnier

Iniziamo da quel che si vede. Nella vulgata social, questa è la «Traviata» della mucca, almeno per chi non l’ha vista ma vuole lo stesso mandarla in vacca. Nel secondo atto, la prima parte del duetto fra Violetta e Germont senior si svolge davanti a una mucca che precedentemente lei ha munto: mucca vera, benché tranquillissima, né muggente né peggio (l’ipotesi che madame la Vache si alleggerisca l’ampio stomaco è terrificante anche perché le scene sono di un bianco immacolato). Il palcoscenico è rotante e moltiplica gli ambienti. Durante il primo Preludio, scopriamo dalle proiezioni che Violetta è un’influencer, star del jet set, onnipresente sui social, titolare di una sua linea di frivolezze, tipo il profumo «Vilain».

 

Michele Mariotti

Ma anche malata di cancro, come testimonia uno scambio di WhatsApp e poi di mail con il dottore Grenvil. La festa si svolge in un nulla molto chic, il brindisi davanti a una spettacolare piramide di bicchieri. Ma, primo colpo di genio, a «Un dì felice» la scena gira e si vede il retro del party, il vicolo con i bidoni della spazzatura e i camerieri che fanno la pausa sigaretta: dimostrazione plastica, e poetica, e toccante, di quell’alternanza di scene di festa e d’amore tariffato e di scene intime e di amore vero che è tipica di «Traviata».

 

Violetta canterà poi la sua aria aggirandosi per una Parigi iperealistica eppure astratta, tipo la statua di Giovanna d’Arco di rue des Pyramides tanto cara a madame Le Pen con il suo bravo ubriaco che beve a canna seduto sui gradini, ma su uno sfondo di un biancore abbacinante.

simon stone

 

Allora nel secondo atto Alfredo che pigia l’uva nel tino (quasi grave come affettare zucchine, secondo Cerniakov a suo tempo fischiatissimo alla Scala) o Violetta che munge la vacca dopo aver munto numerosi protettori sono la rivincita della natura sull’artificio, della vita «vera» su quella virtuale dei social: una tesi anche un po’ reazionaria, se vogliamo, come se le innumerevoli Ferragni o De Lellis dei nostri tempi fossero davvero soltanto  braccia rubate all’agricoltura (ipotesi sostenibilissima ma, com’è noto, antieconomica, almeno stando ai fatturati delle signore).

 

Ma nel duettone fra soprano e baritono la recitazione è d’alta scuola, mentre un «buco», un vero nulla registico, è l’aria di Germont, peraltro come in nove «Traviate» su dieci, comprese quelle belle. Poi festa di Flora fantastica, con maschere fra Fellini e Lynch, quasi surreali, e terz’atto magnifico, con lei che muore sparendo fra i fumi come Don Giovanni, già sottratta alla cronaca per approdare al mito. In conclusione, spettacolo da vedere, come conferma il fatto che alla Scala sarebbe sicuramente fischiatissimo.

GIUSEPPE VERDI FOTO D EPOCA

 

Stone è appena alla sua quarta regia, dopo una «Tote Stadt» a Basilea (prossimamente ripresa a Monaco con Petrenko e Kaufmann), un «Lear» di Reimann e una stupefacente «Medée» di Cherubini, entrambe a Salisburgo. Chissà se qualche teatro italiano sa che esiste e magari se lo scritturerà senza aspettare i soliti vent’anni e che diventi un classico riconosciuto, dunque meno interessante. Ma si sa che le nostre gloriose istituzioni sono ostaggio di quelli che vogliono tutelare Verdi da sé stesso e di direttori artistici che vogliono tutelarsi la poltrona…

 

mattioli gatto

Quanto a Mariotti, dirige «Traviata» come se Verdi l’avesse scritta per noi, qui, adesso, e non l’avessimo ancora mai sentita. Dunque si ascoltano dettagli strumentali che erano sempre sfuggiti (la frase del corno nel primo duetto, ma davvero?), fraseggi nervosi, incalzanti, spiazzanti (cosa sono i violini sotto «Non sapete quale affetto»), i due Preludi suonati quasi senza vibrato, diafani, disfatti, malati, «sforzando» trascinanti, dinamiche amplissime, e l’orchestra che quando Violetta agonizza non la accompagna ma la accarezza, traducendo in suono quello che tutti proviamo. Oltretutto si capisce che l’orchestra dell’Opéra ama il suo direttore e infatti suona meravigliosamente.

 

Compagnia così così. Benjamin Bernheim non ha il tipo di voce che un italiano si aspetta da Alfredo, però è un vero interprete, sensibile, elegante, capace di cantare piano. Alla mia recita come Germont senior al posto di Tézier c’era Jean-François Lapointe, dignitoso, corretto, un po’ noioso ma con un  sussiego di base che sta bene al personaggio. Il problema è Violetta, perché davvero soltanto i francesi possono credere che Pretty Yende sia un grande soprano: voce fragile, legato sdrucito, acuti alla va o la spacca (spesso si verifica la seconda ipotesi), trucchetti vari per aggirare le difficoltà della parte. Però questa Violetta nera recita benissimo e nei momenti più lirici riesce a trasformare i suoi limiti vocali in espressività. Ma qui, francamente, non so se sia merito suo o di questo spettacolo-capolavoro. E dunque, tornando al punto di partenza, ancora «Traviata»? Se è fatta così, ebbene, sì: ancora e sempre.

giuseppe verdi 3giuseppe verdi1

Ultimi Dagoreport

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…