LA “VERA” CIA E’ PIU’ FINTA DI QUELLA FINTA - IL CAST DI “HOMELAND” IN GITA A LANGLEY SCOPRE CHE ANCHE GLI 007 COSTRUISCONO SET

Maureen Dowd per "The New York Times" pubblicato da "La Repubblica" - Traduzione di Anna Bissanti)

Carrie Mathison sarà anche stata cacciata dalla finta Cia della serie Homeland, ma lunedì è stata accolta a braccia aperte dalla vera Cia. «La nostra gita a Langley» l'ha definita ironicamente Claire Danes. «Ci è sembrato quasi di essere tornati ai tempi del liceo». (E di sicuro saprà il fatto suo).

L'attrice ammette che in questo caso il fatto che la sua vita si sia così intrecciata all'arte è stato un po' "stravagante", tenuto conto che entrambe le trame sono segrete e non se ne può parlare.

«C'era un lungo tavolo pieno di agenti della Cia e poi c'eravamo noi, seduti proprio di fronte, come se fossimo pronti a scoprire i nostri giochi» dice ridendo. «Loro non potevano dirci niente, in realtà. E noi non potevamo dire loro niente del nostro show. Che genere di conversazione avremmo potuto mai avere?».

La situazione si è fatta ancora più bizzarra quando si è unita al gruppo la compagna con la quale Danes divideva la camera a Yale da matricola, ex agente che ora lavora a Langley come avvocato, vestita per puro caso proprio come il personaggio di Danes. «Tailleur pantalone» dice Danes impassibile. «Non puoi sbagliare».

Alex Gansa, co-autore e show runner di Homeland, ha definito l'incontro di due ore a Langley con le sue star, gli autori, i dirigenti e un gruppo di agenti della Cia uno «scambio in tutta franchezza e libertà sul business dell'intrattenimento e sul mondo dell'intelligence, incontro che ha evidenziato parecchi paralleli». Poi ha elencato ironicamente: «Entrambi costruiamo set. Entrambi interpretiamo ruoli. Ed entrambi facciamo brainstorming: loro sulle operazioni, noi sulle storie delle puntate».

L'agente capo John Brennan ha addirittura accompagnato l'interprete della sua versione fiction, Mandy Patinkin, nel proprio ufficio. Patinkin in seguito ha detto di aver osservato i «massicci libroni rilegati in pelle» impilati sul tavolo delle riunioni, pensando che
invece di essere semplici oggetti di scena quelli contengono «il destino del nostro mondo». Brennann ha raccontato come svolge il compito di tenere costantemente sotto sorveglianza i nemici estremisti dell'America.

(Come ama dire Patinkin, quando interpretava il personaggio di Inigo Montoya per La principessa sposa: «Sono nel business delle rappresaglie da così tanto tempo che adesso che è finita non so proprio che cosa fare del resto della mia vita».)

L'attore ha dato un affascinante ritratto di Saul Berenson, il centro morale dello show. (O forse la talpa, per meglio dire, visti i temi della doppiezza e della bipolarità). Brennan ha raccontato a quella figura paterna spesso afflitta da molte preoccupazioni per la folle erudita Carrie, i suoi dolorosi doveri di padre quando deve incontrare le famiglie degli agenti caduti. Perché il brusco Brennan ha accolto Hollywood?

Si potrebbe pensare che la Cia sia troppo impegnata con quella spedizione così a lungo rimandata di armi ai ribelli siriani, ma questa non è soltanto l'agenzia più paranoica e indecisa in città - tanto bipolare quanto la sorprendente Carrie interpretata da Danes -; potrebbe essere benissimo anche la più consapevole della propria immagine.

Alla Cia hanno ancora i brividi al ricordo delle volte in cui al Congresso alcuni hanno chiesto se non sarebbe meglio chiudere o ridurre l'agenzia: si tratta di un timore riflesso nel debutto della terza stagione della serie Homeland che andrà in onda il 29 settembre.

In quell'episodio si assiste ad alcune udienze del Senato dopo che un'autobomba dei terroristi è esplosa a Langley, facendo fuori i vertici della Cia e a pezzi Carrie e Brody, i nostri innamorati preferiti e predestinati, un mix tra Romeo e Giulietta e Bonnie e Clyde. («Gente malata, gente malata » come ama dire Patinkin, citando sua moglie.)

Così la Cia ha deciso di rischiare il disonore per mano di Peter King, rappresentante newyorchese al Congresso che ha lanciato un'inchiesta che ha portato a un'indagine dell'ispettore generale, per sapere se l'agenzia d'intelligence ha rivelato troppe informazioni riservate a Mark Boal e Kathryn Bigelow, autori di Zero Dark Thirty.

Lunedì sera un'anteprima e un ricevimento glamour alla galleria d'arte Corcoran organizzati da Showtime e da David Nevins, l'innovativo presidente, hanno attirato un gruppo schiamazzante di agenti operativi dell'agenzia come pure Michael Hayden, ex direttore della Cia, e Michael Morell, ex vicedirettore della Cia. Jose Rodriguez, ex capo del servizio segreto della Cia che ha dato l'ordine di distruggere i filmati sulle torture dell'agenzia, era presente e socializzava con tutti.

«Mi fa venire i brividi», ha confidato Gansa, aggiungendo che lo show ha consulenti che «sono ancora agenti in servizio dell'agenzia d'intelligence, mentre molti altri sono agenti in pensione».

Quanto a Danes, che ha vinto gli Emmy Award, ha rivelato di aver ereditato la sua "faccia gommosa e di plastilina" dal padre: «Mio padre non aveva cartilagine nelle orecchie... e io adoro stropicciargli la faccia». Se Carrie forse è "trasgressiva" e "profondamente turbata", dice Danes, «è anche un po' una super eroina, che sbaglia spesso, ma finisce col salvare la situazione».

L'agenzia preferisce fare public relation su personaggi da fiction un po' squilibrati ma devoti che non su quelli veri che brancolano nel buio. Carrie e Saul, che nella nuova stagione sono soggetti a molta più sorveglianza da parte del Congresso di quanta ne riceva la Cia nella vita reale, di fatto hanno dato un forte slancio all'immagine dell'agenzia.

La Cia preferirebbe parlare di programmi illeciti, come gli omicidi mirati, che ritornare sopra ai suoi madornali errori: non essersi accorta del disfacimento dell'Unione Sovietica e del complotto dell'11 settembre di Osama; e aver sbagliato a immaginare che ci fossero armi di distruzione di massa in Iraq e sentirsi sconcertata dalla Primavera araba.

Danes scherza sull'abbraccio di gruppo alla Cia: «Forse c'è questa strana idea per la quale i tuoi successi non saranno mai festeggiati ufficialmente mentre i tuoi flop saranno rivelati a tutti. Ci deve essere una specie di sollecitazione a mettere in mostra in senso positivo anche le proprie vittorie perfino nell'ambito di una fiction'».

 

 

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