IO SONO LA MIA FICTION - LA VOLGARITÀ CELEBRATA COME GENUINITÀ NEL NUOVO ROMANZO DI MARTIN AMIS: COLPA DEI MEDIA? NO, NOSTRA CHE PRETENDIAMO UNA “VITA IN DIRETTA”

Gian Paolo Serino per "Libero"

Più che un evento mediatico o un fenomeno editoriale è un ciclone che a ogni nuovo romanzo riesce a spazzare via qualsiasi pregiudizio, qualsiasi qualunquismo, qualsiasi vanità e sbatterci sulla prima pagina del nostro specchio. Ogni nuovo libro di Martin Amis è una nuova scoperta, come questo nuovo Lionel Asbo. Lo Stato dell'Inghilterra (in uscita per Einaudi e presentato in anteprima nazionale dal grande scrittore inglese sabato 21 settembre al festival Pordenonelegge).

Pubblicato la scorsa estate in Inghilterra e America, il libro ha provocato una marea di polemiche, spiazzando i lettori (ancora scottati dal precedente La vedova incinta, decisamente noioso e lontanissimo dai vertici narrativi e filosofici di Amis) e dividendo la critica. Per lo più è stato stroncato: attaccato su tutti i fronti, spesso con violenza per un romanzo che vorrebbe essere di satira sociale nella tradizione inglese di Swift, ma che molti hanno trovato scontato e ripetitivo.

Una versione anni zero-zero dei successi più importanti di Amis. Ed il bello del libro è questo, il suo essere un romanzo decisamente violento: non per chi lo legge, ma per chi non lo comprende. Un romanzo che inchioda il nostro mondo (im)mediato allo specchio deformato e deformante di mezzi di comunicazione di massa che amplificano tutte le idiozie possibili pur di fare «audience».

Tutto è messo sullo stesso piano: la guerra come la nascita del principino d'Inghilterra, la morte di Lady Diana come una strage di terrorismo. Tutto quanto fa spettacolo non diventa spettacolo, ma diventa parte integrante dello spettacolo stesso. Senza accorgercene, vuole raccontarci Amis, diventiamo attori inconsapevoli di una farsa che, però, a sua volta si trasforma nel nostro reale.

Un cortocircuito già affrontato da molti sociologi (da Guy Debord a Neil Postman, da Baudrillard a Virilio), ma che Martin Amis riesce con violenta leggerezza a trasformare in un romanzo sboccato e in molti passaggi volgare perché vuole rappresentare esattamente questo.

Diventare la cartina di tornasole delle surreali vite degli altri raccontate nei romanzi, senza accorgerci di quanto grottesca sia la nostra vita o quella del nostro vicino di casa. Amis estremizza, porta tutto ai limiti: anche del già sentito, del già letto, del già scritto (persino da lui stesso). Si scaglia contro l'imperialismo delle multinazionali del tempo perso, contro quel sistema di intrattenimento da tinello che è diventato format(o) famiglia. Perché il problema non è perdere tempo, ma è che i media ci fanno perdere il nostro bene più prezioso: il tempo perso.

Quando tutto è telenovelizzato, quando tutto diventa una farsa, un avanspettacolo, un teatrino (anche la politica). Il romanzo racconta questo attraverso le mirabolanti avventure del giovane protagonista Lionel, un disperato ventenne che cresce nel quartiere (immaginario) di Diston, a Londra.

Lionel si chiamain realtà Pepperdine, come la mamma Grace (una ragazza-madre con 7 figli), ma al compimento del diciottesimo anno d'età cambia il suo cognome in Asbo, l'acronimo per Anti-Social Behaviour Order. Arrestato per una tentata estorsione ecco che irrompe l'imprevedibile: Lionel vince il primo premio della lotteria. Una cifra astronomica che lo trasforma di colpo in uno degli uomini più ricchi d'Inghilterra, ma soprattutto cambia la sua vita.

Da anonimo e fallito criminale in carriera i media lo tramutano in una figura pubblica. E così nella sua ignoranza e volgarità diventa per molti un nuovo simbolo, quasi un mito come calciatori e cantanti. Senza far nulla è tallonato dai fotografi e dai giornalisti dei tabloid e Lionel (e la sua fidanzata fotomodella) continua a comportarsi con la stessa volgarità (ben espressa dalla copertina originale inglese): dal leggere giornalacci nei locali più trendy a cibare il suo cane con alimenti conditi al tabasco piccante per renderlo «più buono».

Volgarità celebrata come genuinità: e qui sta l'errore. L'errore, vuol farci comprendere Amis, non sta poi neanche nei media, ma sta in noi, che pretendiamo sempre più di avere una «vita in diretta».

Una «egemonia sottoculturale globale», ha raccontato lo scrittore inglese al quotidiano britannico Guardian, «che mi ha sempre appassionato. Come l'incorreggibilità umana, la gente che ripete all'infinito gli stessi errori con risultati identici». Mentre sul francese Nouvel Observateur ha parlato di una vera e propria «fatiscenza morale» del nostro tempo. Perché per Martin Amis più che sotto un regime, viviamo in un «Reame». Il che, da molti punti di vista, è davvero peggio.

 

LA COPERTINA ORIGINALE DEL ROMANZO DI MARTIN AMIS - LIONEL ASBOMartin Amis e famiglia jpegChristopher Hitchens e Martin Amis Martin Amis

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