WOODY, UN “NERONE TRUFFATO” A ROMA - ESCE IL SUO FILM PARIGINO, E GIÀ SI PARLA DI QUELLO SU ROMA, GIRATO L’ESTATE SCORSA TRA UNA MAGNATA IN OSTERIA E UN’OSPITATA NEI PALAZZI DELLA ROMANELLA GODONA - “HO CAMBIATO IL TITOLO DA ‘BOP DECAMERON’ A ‘NERO FIDDLED’ (NERONE TRUFFATO, GIOCO DI PAROLE CON ‘FIDDLE’, CORDA DELLA CETRA SUONATA DALL’IMPERATORE), PERCHÉ NESSUNO IN AMERICA CONOSCEVA BOCCACCIO” - DA BENIGNI A SCAMARCIO, LA NUOVA CARTOLINA CON GLI STEREOTIPI CARI AGLI AMERICANI…

Giuseppina Manin per il "Corriere della Sera"

«Se ho un rimpianto? Non essermi fermato a Parigi quand'ero giovane». Al telefono da New York, Woody Allen sospira ancora ripensando a quella sua prima volta nella capitale francese, sfondo incantevole al suo debutto nel cinema, attore e sceneggiatore di Ciao Pussycat. «Avevo trent'anni. Me ne innamorai. Pensai di restare, ma mi sembrava un salto nel buio. Non l'ho fatto e me ne pento».

Ma poiché il cinema è magia, ecco che 45 anni dopo Woody decide di vivere quel sogno mancato per interposta persona. E già che c'è, si fa un lifting radicale affidando il suo alter ego a un bellone come Owen Wilson, aitante, biondo, aria svagata e sorriso sexy. Sarà lui a perdersi tra café e boulevard, a farsi coinvolgere nella fantastica avventura di Midnight in Paris (dal 2 dicembre nelle sale), commedia romantica con cast stellare, da Wilson a Rachel McAdams, da Marion Cotillard a Kathy Bates, da Adrien Brody a Michael Sheen, e Carla Bruni in cameo.

«Nel film c'è tutta la "mia" Parigi - assicura Woody, 76 anni il primo dicembre -. Come l'ho sognata attraverso il cinema, la letteratura, la musica. Una città da vivere di notte, sul filo delle emozioni. Alla ricerca di un passato leggendario».

Un'Età dell'oro che il suo protagonista insegue febbrilmente... La realtà oggi è così cupa e deludente?
«Non si tratta di nostalgia. Personalmente non vorrei vivere in altra epoca che in questa. Non oso pensare come doveva essere andare dal dentista prima dell'anestesia... E' vero però che oggi anche le città più belle sono sfregiate da brutture e volgarità. Il cinema permette di spazzarle via, di fare salti nel tempo, incontri meravigliosi».

Parigi, Barcellona, Venezia, quest'estate Roma... Il suo Gran Tour cinematografico per l'Europa prosegue...
«Per il mio prossimo film probabilmente tornerò a casa, a New York. Ma certo girerò ancora in Europa. Penso alla Germania, ad Amburgo, a Berlino. Ma anche Stoccolma, con le sue luci d'inverno, mi attrae. Bergman è il mio idolo. Per me è una grande emozione pensare di girare nei luoghi dei registi con cui sono cresciuto».

E Roma, dove la scorsa estate ha girato il suo nuovo film prodotto da Medusa, quali mondi le evocava?
«Quelli di De Sica, Antonioni, Rossellini, Fellini, Monicelli, Germi... I loro capolavori me l'hanno fatta scoprire prima ancora di approdarvi. Per me Roma era una città in bianco e nero, come i loro film. Un luogo affollato di personaggi vivaci, grossi e allegri, che chiacchierano tanto, con il culto della famiglia. Di donne attraenti, sensuali, senza trucchi...»

Ritrovarla ora com'è stato?
«Naturalmente è cambiato tutto. Adesso è una città a colori, a tinte forti. Molto divertente. Dove tutto accade "all'esterno", nelle piazze, nelle strade, nei parchi... Appena potevo mi calcavo un berretto in testa per passare inosservato e con le mie figlie andavo a Villa Borghese o per mercatini».

Che dicono le sue figlie dei suoi film?
«Non ne hanno mai visto uno! Mia moglie stessa avrà visto si e no una ventina dei 42 film che ho realizzato. Alle mie figlie faccio vedere i film che ritengo belli, quelli di Hitchcock o di John Huston. Ma non i miei. Non voglio che pensino a me come un regista, voglio che siano bambine normali. Con una vita normale: vanno a scuola, fanno i compiti, studiano la chitarra...»

Tornando a Roma, qualcosa che non le è piaciuto?
«Il sole. Troppo forte. Per me che amo le mezze tinte, quelle giuste erano solo all'alba e al tramonto».

Questo suo film romano è a episodi, ispirato a Boccaccio, con attori italiani e americani
«Boccaccio, ma in versione jazz... Quattro storie, una dentro l'altra. Buffe, un po' surreali. Amori che si intrecciano, coppie che si scambiano... Nel cast ci sono anch'io. Torno a recitare dopo sei anni, l'ultima volta fu con Scoop. Qui sono un americano che arriva a Roma con sua moglie per conoscere la famiglia del giovane che la loro figlia vuole sposare. Poi c'è Alec Baldwin, architetto della California, turista per caso. Poi una coppia di sposini, Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi, arrivati nella capitale in luna di miele. Infine Benigni. Che è Leopoldo, un uomo qualunque trasformato in star da uno show tv».

Nel cast anche Penelope Cruz, Jesse Eisenberg, Judy Davis, e sul fronte italiano Flavio Parenti, Antonio Albanese, Riccardo Scamarcio. Persino un tenore, Fabio Armiliato...
«Molto bravo. Canterà una canzone in un momento speciale. Sono rimasto sorpreso dalla bravura dei vostri attori. Tutti hanno saputo trovare il giusto tono per la parte. Quanto a Benigni è stato un privilegio lavorare con lui. E' fantastico, più di quanto immaginassi. Come i grandi comici, da Chaplin a Keaton, ha un lato tragico che lo rende interessante e complesso. Roberto è il vero erede dei giullari, sa unire cultura alta e bassa, è intelligente e buffo. Proprio quello che volevo».

Perché ha cambiato il titolo «Bop Decameron»? E cosa significa il nuovo, «Nero Fiddled»?
«Con grande sorpresa ho scoperto che nessuno conosceva il Decameron. Quando lo nominavo mi guardavano con gli occhi sbarrati, non solo negli Stati Uniti ma anche in Italia. Nero Fiddled evoca Nerone che suona la cetra. C'è sempre qualcuno che se la spassa mentre la città brucia».

Sembra un riferimento alla crisi attuale...
«Non so ne usciremo indenni. Di certo so che siamo legati tutti a doppio filo. Anche da noi si avverte il pericolo. Obama è un grande presidente, un uomo colto e civile. Cerca di fare quel che può. Ma ci sarebbe bisogno di una svolta radicale: dobbiamo cambiare mentalità, capire che è venuto il tempo di pensare a una diversa distribuzione dei beni».

 

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