1. NELLA SUA INFINITA RISTRETTEZZA DI MEZZI, QUESTO POVERO SITO BECCA ALFONSINA LA PAZZA ATTOVAGLIATA GUANCIA A GUANCIA CON RENZIE E LA NOTIZIA SCOMPARE DALLE PUR DOTTE ARTICOLESSE DEI GIORNALONI SULLE MOSSE DELL’ASFALTATORE 2. IL ‘’CORRIERE’’ DI LETTA NON DEDICA UNA RIGA AL FATTO CHE IL DIRETTORE DI “CHI”, OLEOGRAFO UFFICIALE DELLA FAMIGLIA (ALLARGATA) BERLUSCONI, ABBIA SENTITO IL BISOGNO DI STRUSCIARSI PREVENTIVAMENTE A UN POSSIBILE PREMIER DEL FUTURO 3. ‘’LA REPUBBLICA’’ DI RENZI, IN UN PEZZO DI CECCARELLI, NE FA UN RAPIDO CENNO SENZA CITARE LA FONTE (SONO FATTI COSÌ, A LARGO FOCHETTI, ESISTONO SOLO LORO) 4. PIÙ SVEGLI (E CORRETTI) ALLA ‘’STAMPA’’, DOVE AGGANCIANO ALFONSINA LA PAZZA E GLI FANNO DIRE: “LO STIMO E MAGARI LO VOTO. RENZI HA LO STESSO FASCINO DEL CAVALIERE” 5. MENTRE ‘’IL FOGLIO” DI FERRARA DEDICA UN RICCO EDITORIALE AL PRANZO DEI CARINI

1. SIGNORINI A PRANZO CON MATTEO: "LO STIMO E MAGARI LO VOTO"
Giuseppe Salvaggiulo per "La Stampa"

Alfonso Signorini, direttore del settimanale "Chi" della berlusconiana Mondadori, è vero, come rivelato da Dagospia, che ieri ha pranzato con Renzi a Firenze?
«Ebbene sì. Siamo amici, ci vediamo, ci stimiamo. Ma ero a Firenze anche per vedere gli Uffizi».

Anche lei sul carro di Renzi?
«Lo stimo come persona, è un grande comunicatore. Come tanti, anche di destra, subisco il fascino della sua leadership. Sono contento di conoscerlo meglio, esattamente come anni fa con Berlusconi».

Appunto. Lei, così legato a Berlusconi...
«Si dicono cose incredibili... leggo i saggi di Feltrinelli su Signorini ideologo del berlusconismo. Elucubrazioni mentali, per non essere volgare».

Non sarà diventato di sinistra?
«Ma no, sono un berlusconiano di primo pelo, estraneo alla cultura di sinistra. E prima del '94 votavo Dc».

Allora è già pronto per il democristiano Renzi.
«Vuol farmi dire che voto Renzi? Magari lo voto. Per me quel che conta è se un politico mi colpisce, è in grado di affascinarmi. Allora ho voglia di conoscerlo, lo sostengo».

Come l'ha conosciuto?
«Intervistandolo alla radio come sindaco di Firenze. Pensai: questo tipo sa parlare alla gente. Poi l'ho seguito e all'epoca delle primarie gli ho proposto una copertina di "Chi" con il padre. Siamo rimasti in contatto. Sono andato ad ascoltarlo a Verona, Genova e Sesto San Giovanni».

Che qualità apprezza?
«Mi piace come comunicatore, è efficace. Sa toccare le corde giuste».

Lo considerano un «Berluschino».
«Ma questo gli può solo far comodo. Chi altri nel Pd ha questo potere di arrivare alla gente?».

Ma Renzi è di sinistra?
«Pare di no, ma se lo conosci meglio capisci che è veramente un uomo di sinistra».

In che senso?
«Per la sensibilità su certi valori. Per esempio sta per inaugurare un teatro dell'opera avveniristico».

Ed è una cosa di sinistra?
«La cultura sarebbe un valore universale, se la destra non se ne fosse allontanata. Basti pensare ai tagli governativi alle istituzioni culturali».

Berlusconi si risentirà della sua frequentazione renziana?
«Figurati! A parte che in questo momento ha ben altro a cui pensare, è una persona di grandi aperture...».

Vuole dire che anch'egli, se potesse, andrebbe a pranzo con Renzi?
«Certo, e gli farebbe bene. Sono i due leader della politica italiana».

Dopo la De Filippi, Briatore, Cavalli, ecco Signorini. Renzi non starà esagerando?
«Ho una concezione politica classica, che guarda al mondo greco-romano. Quindi parlare con Cavalli e Briatore, due imprenditori di successo, pranzare con Signorini o andare in tv dalla De Filippi, avvicinandosi al linguaggio dei giorni nostri, non è contrario ai doveri di un politico. Se n'è accorto anche Casaleggio, che ha posato per "Chi" rompendo la cortina di incomunicabilità imposta da Grillo».

Come l'ha convinto?
«Io non convinco nessuno. Vengono loro sponte».

È andato a pranzo anche con Casaleggio?
«No, perché non subisco lo stesso fascino».

Ma la visita agli Uffizi l'ha poi fatta?
«Ah, che meraviglia. È la bellezza del nostro lavoro, unire l'utile al dilettevole. Poi bisogna capire se l'utile sono gli Uffizi o Renzi...».


2. IL RIMPIAZZO DEL PUZZONE
Da "Il Foglio"

Santoro, sul Corriere, dice di voler cominciare a parlare coi ricchi e prendere un drink al Billionaire. Il rude Michele fa i complimenti a Bruno Vespa e tesse, infine, l'elogio di Maria De Filippi. Ed è più di un segnale tutto ciò. Matteo Renzi, poi, va a pranzo con Alfonso Signorini. Ed è un fatto. Signorini non è un Veneranda qualunque. E' il direttore di Chi, ossia la torpediniera più smagliante della flotta Mondadori.

E tra fatti e segnali, c'è una morale: ancora non se n'è andato via il Puzzone e tutti stanno già a spartirsi il parco "mostri" dell'Italia più sgargiante. Tutta la speciale distinzione della sinistra, la superiorità etica, va a carte quarantotto se poi lo stilista Roberto Cavalli, malgrado tutto il botulino nelle guanciotte, diventa un eroe per il Fatto quotidiano. Cavalli rinuncia a champagne, yacht e modelle e si rivela ben più di un semplice manettaro, un delatore piuttosto: "Quando vedo le Ferrari parcheggiate in giro", confida a Beatrice Borromeo che lo intervista, "mando le targhe ai Finanzieri".

Ecco, Cavalli è un altro di quelli appena saliti sul carro di Renzi e se fosse solo per la natura furbacchiona del sindaco di Firenze, sarebbe facile far combaciare l'eterna Italia dei buzzurri con quella del potere ma c'è questo dettaglio della sinisteritas, questo ostinato fatto tutto leninista - quello di volere prendere possesso del Pd - che fa già impazzire la maionese. Ed è motivo sufficiente per avere una facile profezia: tutto l'anatema antropologico speso contro il ventennio puzzone tornerà addosso alla sinistra. Dovrà, insomma, farsi "puzzona" la sinistra per vincere con Renzi.

Dovrà rinunciare ai sandali Prada, un tempo feticcio distintivo dei Girotondi alto-borghesi e calzare le babbucce di Briatore. Dovrà, poi, essere fichissima e perciò berciare nel linguaggio proprio di chi parcheggia in seconda fila e dovrà, questa sinistra, dismettere l'uggia della Ditta e destinarsi così al surrogato.

Quel Renzi, seduto a tavola con Signorini, è certamente il candidato alla segreteria del Partito democratico. E siccome il fatto è ostinato, ma ancor di più l'interpretazione, quel Renzi lì, visto al desco del campione tra i campioni dell'immaginario berlusconiano, risulta nell'esito di una nemesi. Come un rimpiazzo del Puzzone. Manco il tempo di vederlo andare via, dunque, il Puzzone, che devono riprenderselo giusto i suoi carnefici. In forma di surrogato.


3. PIÙ ATTENZIONE PER I BIMBI
Andrea Marcenaro per "Il Foglio"

C'è troppa disattenzione ai bambini. Dovunque, e soprattutto nelle famiglie. Poi mancano gli asili, gli educatori sono sovente inadeguati, i giovanissimi vengono scarsamente stimolati e si trovano privati, spesso, perfino degli spazi all'aria aperta in cui giocare. E non parliamo della televisione o delle nuovissime diavolerie.

Che vanno bene se dosate con scrupolo, molto male, invece, se gestite per togliersi dai piedi un fastidio, magari un capriccio, e insomma, quella richiesta di attenzione cui ogni bimbo avrebbe diritto e troppo spesso viene meno. Dovremmo riflettere di più sull'attenzione ai bambini, perché ce n'è davvero troppo poca. Questo poi, naturalmente, non è un buon motivo per consentire al bimbo Renzi di continuare a fracassare le palle degli adulti.

4. DALLA ROTTAMAZIONE AL PARTITO COOL - MATTEO TRA IL PARLAR FRANCO E IL TRASH
Filippo Ceccarelli per "La Repubblica"

«OH, ma fanno tutti polemica sulle parole! - si è sorpreso ieri Matteo Renzi - Rottamare non va bene, asfaltare è violento, cool è troppo inglese, e le ironie che facilmente immaginate...».

Queste ultime, in effetti, di scontatissima assonanza anatomica, si sono levate quasi subito sulla rete, fermo restando che il «fattore C», la fortuna secondo Machiavelli, ha sempre avuto il suo peso nel destino dei leader.

Ma cool, attribuito al Pd, non è solo un aggettivo troppo inglese. In quella lingua ha diversi usi, ma quello scelto da Renzi non è immediatamente traducibile in italiano. Grosso modo, sta a indicare qualcosa di «ganzo», come direbbe lui, o di «fico»; qualcosa che fa moda o tendenza; più in generale uno stile di vita conformatosi con un certo successo su un'autosufficienza creativa e vagamente individualista, per non dire spavaldamente egocentrica, decisa a rompere con il passato e comunque piena di nuova energia e inedita capacità empatica e quindi comunicativa.

Detta altrimenti, non è che Renzi voglia tanto un Pd cool, è lui stesso che si sente e forse è già abbastanza cool. Nel dibattito politico nostrano la parola entra con qualche ritardo, essendosi affermata in Inghilterra ai tempi nuovi del New Labour e del blairismo (cfr Cool Britannia di Antonio Polito, Donzelli, 1998).

Grazie alla benemerita bancadati dell'Ansa si apprende che la parola è stata usata da D'Alema, Buttiglione, Capezzone, Lorenzin e a giugno anche dal premier Letta, cui pure non difetta un repertorio esterofilo-giovanilista, che confessò di invidiare Obama in quanto «molto cool».

Ieri Civati e Cuperlo hanno liquidato l'attributo con sbrigativa degnazione. «Ho smesso di commentare gli slogan di Renzi» ha detto il primo; e l'altro: «Divertente, ma io non voglio un segretario divertente, voglio un segretario che» eccetera. Ma in entrambi, più che lo scandalo per la pretesa dissacrazione dell'entità-partito, che francamente suonerebbe lunare,
era esplicita l'idea che il sindaco di Firenze non faccia realmente politica, o meglio «fa solo battute», non offre soluzioni, è indeterminato, superficiale, vuoto. E non devono essere solo loro a pensarla così, e comunque l'altro giorno amichevolmente gliel'ha detto anche Veltroni, che Renzi deve resistere a chi l'incoraggia, come il Sordi dell'Americano a Roma: «A' americà, facce Tarzan!».

Dal cool al trash, pare di interpretare il messaggio, il passo è breve. Ma tanti altri suoi interlocutori - e potenziali elettori - non si pongono questi problemi. Ieri Renzi ha incontrato Alfonso Signorini, che in giornata gli ha riconosciuto di «arrivare alla pancia delle persone». Il direttore di Chi aveva da tempo illustrato le varie tappe di avvicinamento del sindaco a Maria De Filippi, un percorso culminato nel servizio con giubbotto di cuoio e posa sfacciatella alla Fonzie.

A chi non è di sinistra l'evanescenza di soluzioni concrete e di programmi finisce per configurarsi come una specie di garanzia, e il fatto che il personaggio usi un linguaggio così diretto - Firenze «città smart», Bersani «spompo», il Pd «lo rivolto come un calzino», «io cattivo? Ma de che?» - è la prova regina che egli non ha, come del resto non perde occasione di assicurare, «la puzza sotto al naso».

E perciò appare predestinato a vincere, tanto che alla festa di Genova, quando è salito sul palco, hanno messo come canzone "We are the champions"; e a Milano Fassino e Profumo, per sentirlo, si sono seduti per terra, in platea, che in foto sembrava un po' penitenziale, mentre ai piedi dell'imminente leader e campione vittorioso sono stati fatti accomodare tanti giovani e - attenzione! - anche una suora,
con tanto di velo.

Secondo Grillo Renzi è «un venditore a tempo pieno di se stesso». Secondo Marco Revelli: «Quasi certamente vincerà non perché abbia una risposta ai problemi, ma perché ha una diversa retorica; ed è un outsider rispetto a un apparato odioso. Non porterà nessuna soluzione, ma servirà a rinviare la dissoluzione di quel non partito».

Il mese scorso Renzi è andato a pranzo con Briatore, ma pochi giorni dopo - sempre per restare in ambito lessicale - durante una cerimonia ha fatto un certo scalpore che si sia rivolto ai vecchi partigiani chiamandoli: «Compagni!». Vero è che poi, a parziale riequilibrio, in quella stessa sede ha richiamato l'esempio di Gino Bartali, terziario francescano. La politica insomma è molto cambiata - se in senso cool o non cool lo decideranno i vincitori, con buona pace degli osservatori.

 

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