AF(FO)GHANISTAN - AL G8 SI DISCUTE LA FINE DELLA GUERRA IN AFGHANISTAN - OBAMA ANNUNCIA LA PACE NEL 2014, MA L’IMPRESA NON È SEMPLICE: IL PAKISTAN VUOLE 1 MLN $ AL GIORNO PER APRIRE I PROPRI CONFINI, LA FRANCIA VUOLE RITIRARSI ENTRO DICEMBRE E I TALEBANI SI PREPARANO A TORNARE AL POTERE - NEGLI USA MONTA LA PROTESTA E I VETERANI DI GUERRA RESTITUISCONO LE MEDAGLIE: “VITE VIOLATE E SOLDI BUTTATI SOLO PER FAR GUADAGNARE LE AZIENDE”…

1- OBAMA: VIA NEL 2013 A KABUL CI SARÀ LA PACE
Maurizio Molinari per "La Stampa"

La Nato pianifica il dopoguerra afghano preparandosi a quella che Barack Obama definisce una «missione non combattente a sostegno della pace» ma il ritiro delle truppe è ostacolato dalla trattativa con il Pakistan che chiede un alto prezzo economico per far transitare i mezzi militari e le truppe in uscita.

Il summit dell'Alleanza a Chicago si apre con il presidente americano che parla della fine della guerra e di ciò che avverrà dopo: «Entro il 2013 le truppe combattenti americane saranno ritirate, entro il 2014 l'attuale missione della Nato sarà finita e la guerra come noi la conosciamo avrà termine» dando inizio ad una «nuova fase di impegno della Nato a sostegno della pace e della partnership con l'Afghanistan». Da qui la richiesta di Washington agli oltre 60 Paesi impegnati nelle operazioni in Afghanistan di far coincidere il ritiro delle truppe con il simultaneo inizio di un impegno finanziario di lungo termine per addestrare e sostenere le forze di sicurezza afghane.

E' una fase di trasformazione della presenza della Nato in Afghanistan «non priva di rischi» sottolinea Obama. Il Segretario Generale della Nato Anders Fogh Rasmussen assicura che il «ritiro avverrà in maniera ordinata e non ci saranno fughe in avanti» ma la realtà è che l'annuncio del neopresidente francese Francois Hollande di anticipare a dicembre la fine della missione sta creando grattacapi ai comandi sul campo. «Lavoriamo ad un'intesa per trasformare l'impegno francese da combattente a non combattente» spiega Rasmussen, facendo capire di voler trovare una formula capace di consentire a Hollande di mantenere in Afghanistan la maggioranza degli oltre 3000 militari senza venir meno alle promesse elettorali.

Ben più delicata, ai fini del ritiro, è la trattativa con il Pakistan perché Islamabad continua a tenere chiusi ai mezzi della Nato i confini con l'Afghanistan e senza la riapertura non esiste una agevole via terrestre per farne uscire una quantità imponente nei prossimi due anni. Il presidente pakistano Ali Zardari è in arrivo a Chicago per discuterne con Obama ma il contenzioso è complicato dal fatto che Islamabad chiede un milione di dollari al giorno per far passare i mezzi alleati e la Nato non è disposta ad accettare una somma considerata esorbitante. Senza un accordo sulla «tassa di passaggio» i tempi della fine della missione potrebbero allungarsi.

«Non abbiamo bisogno delle rotte di terra pachistane per condurre le operazioni - assicura John Allen, il generale dei Marines che comanda le truppe in Afghanistan - ma ci servono per far uscire i soldati». Il leader di Kabul, Hamid Karzai, guarda comunque già oltre il ritiro, ringrazia Obama per «i soldi versati dai contribuenti americani in 10 anni a favore delle istituzioni del mio Paese» e parla di una «partnership fra nazioni sovrane». A pensarla diversamente sono i taleban che parlano di vittoria in vista e chiedono alla Nato di «prendere esempio dalla Francia e andarsene in fretta» lasciando intendere di considerare il ritiro alleato una vittoria militare, preparandosi a tornare al potere a Kabul.

Sul fronte della difesa antimissile la prima giornata del summit si conclude con la decisione formale di attivarla su «alcune porzioni del territorio dell'Alleanza». E' l'ambasciatore Usa alla Nato, Ivo Daalder, a far sapere che «da oggi disponiamo di una difesa anti-balistica grazie alle strutture messe a disposizione da Polonia, Spagna, Romania e Turchia». Sarà il comando alleato in Europa ad avere la responsabilità di gestire il nuovo sistema di protezione, il cui dispiegamento lungo il lato Sud lascia intendere che il pericolo da cui si difende è l'Iran e non la Federazione russa.


2- GLI INDIGNATI ARRUOLANO I VETERANI: "BASTA GUERRE" - CINQUANTA REDUCI IN TESTA AL CORTEO: A NOI LE PALLOTTOLE, A LORO I PROFITTI
Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Dall'altare della United Church of Christ il pastore Dan Dale usa il sermone domenicale per invitare i fedeli a «posare la spada e lo scudo». Sotto al pavimento, nel refettorio di questa tranquilla parrocchia sull'alberata West Wellington di Chicago, Anthony Robledo fa gli ultimi preparativi con i compagni di Occupy Wall Street: «Avete messo gli anfibi? Le mascherine sono state distribuite? E lo spray urticante al peperoncino?».

Anthony, 23 anni, è uno dei ragazzi venuti con i bus gratuiti da New York per la marcia contro la Nato. La United Church of Christ si è offerta come punto di raccolta, e mentre i fedeli pregano, i manifestanti vanno alla metropolitana per raggiungere Grant Park. «Ieri notte - racconta Anthony - è stata dura. Noi camminavamo pacificamente in strada, gridando, e la polizia ha attaccato. Jay, un amico che era con me sul bus, è finito in ospedale con un braccio e una gamba rotta. Altri sei colleghi sono stati arrestati. Però non ci intimidiscono, noi andiamo avanti».

La vigilia della marcia è stata agitata. Dopo l'incriminazione per terrorismo di Brian Vincent Betterly, Jared Chase, e Brian Church, anche Sebastian Senakiewicz e Mark Neiweem sono stati arrestati per possesso di esplosivi. Stamattina, poi, il sito internet della città di Chicago è rimasto bloccato per un attacco degli hacker.

La colonna guidata da Anthony sembra in divisa: felpe nere col cappuccio, maschere in faccia. Sulle braccia hanno scritto il numero di telefono della National Lawyers Guild, da chiamare in caso di arresto. Alla stazione di Sedgwick salgono sul vagone gli agenti O'Connor e Gills, della polizia di Chicago: «Salve ragazzi, tutto a posto?». Appena scendono, Anthony urla: «Kennedy diceva: chi proibisce le proteste pacifiche apre la strada alle rivolte».

Scendiamo alla fermata Adams del Loop, per proseguire a piedi verso Grant Park. Ci accoglie un tipo di mezza età col megafono: «Oggi si muore di caldo, laggiù c'è acqua gratis per tutti». Si chiama Andy Thayer, è uno degli organizzatori: «Dobbiamo smettere di buttare soldi per le guerre, e investire in America. Cinquanta veterani di Iraq e Afghanistan guideranno il corteo per restituire le loro medaglie». Andy ce l'ha con Obama: «E' stato peggio di Bush, ha deluso tutti.

Guerre, droni per ammazzare gli americani, soldi alle banche che hanno provocato la crisi. Un complice del complesso militare industriale». La protesta serve per tenere sotto pressione lui, o chiunque andrà alla Casa Bianca: «Ricordate la battaglia di Chicago nel 1968? Humphrey perse le elezioni, ma Nixon fu uno dei presidenti più progressisti, nonostante fosse un razzista guerrafondaio: chiuse il Vietnam, approvò affirmative action e food stamp, e la Corte Suprema legalizzò l'aborto. E sapete perché? La protesta: se la gente vuole la libertà, deve conquistarsela in strada».

Vicino a Thayer annuisce il reverendo Jesse Jackson: «Obama ha ordinato il ritiro dall'Iraq per la forza degli oppositori della guerra. Ora dobbiamo continuare a premere per spingerlo a lasciare l'Afghanistan e dare ai veterani lavoro e assistenza medica a vita, perché quando combattono li applaudiamo, ma poi li dimentichiamo. Non possiamo spendere 2 miliardi a settimana in Afghanistan, servono alla ripresa della nostra economia».

Uno dei veterani venuti a restituire le medaglie, come accadde davanti al Pentagono durante il Vietnam, è Graham Clumpner, 27 anni, dallo stato di Washington: «Ho servito in Afghanistan con i Ranger, forze speciali, dal 2004 al 2007. Operavo nella zona di Jalalabad». Ha perso amici? «Sì, diversi. Il primo durante l'addestramento, ucciso per errore da un collega. Però non ne parliamo, per rispetto verso le famiglie». E lei ha ucciso qualcuno? «Credo di sì».

Perché adesso restituisce la sua medaglia? «Quando mi sono arruolato ero convinto di farlo perché stavamo dalla parte del giusto. Ora non ci credo più, ne ho viste troppe: vite violate, soldi buttati, abusi inutili. Tutto per far guadagnare le aziende che incassano profitti con la guerra, mentre a noi davano 1.500 dollari al mese per farci sparare addosso».

Graham e i suoi colleghi hanno chiesto che qualche generale della Nato venga a prendere le loro medaglie: «Altrimenti saremo costretti a buttarle in terra». Vorrebbe parlare con Obama, oltre le barricate del vertice: «Dobbiamo andare via dall'Afghanistan ora, non tra due anni. Abbiamo ucciso bin Laden e rovesciato i taleban: se vogliamo stabilizzare il Paese, è venuto il momento di smettere di distruggere, e cominciare a costruire».

La marcia parte, con Graham in testa. Pacifica fino alle 5 del pomeriggio, quando il corteo arriva davanti a McCormick Place, la sede del vertice. I poliziotti prendono il megafono per dire che la manifestazione autorizzata è conclusa: bisogna tornare a casa o finire in manette. Nessuno si muove, gli anarchici del Black Bloc forzano le linee degli agenti. Cominciano a volare bottiglie, una barricata di metallo viene sollevata e lanciata contro i poliziotti. Ci sono feriti da entrambe le parti, arresti. La marcia pacifica è finita, comincia una notte di sfida.

 

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