ALE-DANNO MARINATO NON HA LE IDEE CHIARE: “TORNO A FARE L’INGEGNERE. MA SARÒ IL LEADER DELL’OPPOSIZIONE IN COMUNE”

Francesco Bei per "la Repubblica"

Davanti alle telecamere promette che farà «il leader dell'opposizione a Marino», che non darà tregua. Invita i militanti a «non avere paura». Ma al primo piano del suo quartier generale, dopo aver abbracciato a lungo il figlio Manfredi, essersi commosso, aver stretto mille mani, il primo (ex) sindaco di destra della Capitale può finalmente tirare il fiato. In fondo, anche se non lo ammetterà mai, sembra quasi sollevato, come il pugile che alza la mano e si arrende. E smette di prenderle.

«Cosa farò adesso? Io mi sono lanciato senza paracadute. Mi occuperò del partito, farò il consigliere di opposizione, certo. Ma penso proprio che sia arrivato il momento di "strutturarmi" anche in un'altra dimensione, quella della professione privata. Tirerò fuori la mia laurea in Ingegneria, la mia iscrizione all'Ordine degli Ingegneri. Ho un mio cugino ingegnere che da anni mi chiede di aprire uno studio insieme a Roma, penso proprio che gli darò retta. In fondo il politico di professione è un modello al tramonto...anzi, no. È un modello morto e sepolto».

Sulle cause della sconfitta, su questo simbolo eterno di Roma che volta le spalle alla destra postmissina e al berlusconismo, Alemanno non getta la croce su nessuno, anzi se la carica da solo sulle spalle. In maniche di camicia, tolta la giacca e anche la cravatta, il sindaco prova a fare una prima riflessione: «Non incolpo nessun altro, Berlusconi ha fatto quello che ha potuto. Anche sul Pdl non ho recriminazioni.

Del resto basta scorrere i numeri del voto in città: i 375 mila voti presi alle politiche dal centrodestra quando il Cavaliere era in campo, i 392 mila delle Regionali, i 364 mila del primo turno, i 373 mila del ballottaggio, si scorre questa tabellina e si vede che lo scarto è minimo. Se io avessi preso 100 mila voti in meno, potrei recriminare contro il partito. Ma il problema è che i nostri che sono andati a votare sono sempre quelli, nessuno è venuto meno, nessuno ha tradito. Piuttosto bisogna chiedersi perché il centrodestra è ormai inchiodato sui quei tre-quattrocentomila voti».

Per Andrea Augello, il senatore del Pdl che ha curato la campagna elettorale, «si tratta ora di mangiare un po' di polvere, assaporare un po' del proprio sangue in bocca e poi rialzarsi, come abbiamo sempre fatto in questi 60 anni. Andando a trovare nuove figure, nuove leadership direttamente dai corpi sociali ». Per Andrea Ronchi, che nella sconfitta è tornato qui ad abbracciare di nuovo Alemanno, invece «è finita definitivamente un'epoca cominciata nel 1993 con Fini. Ora si tratta di ricreare la destra italiana».

Una destra, bisogna aggiungere, che a Roma è stata travolta anche a causa di un'epopea di scandali. Una drammatica carenza di classe dirigente all'altezza. Che viene colpita in massa: dal ragionier Panzironi, prima ammini-stratore delegato di Ama, poi a Roma Multiservizi, inchiodato da parentopoli, a Riccardo Mancini, amministratore di Eur spa, incastrato sulla tangente per i Filobus, da Francesco Morelli, della Tecnopolo spa (un'altra azienda legata al comune), arrestato addirittura per concorso esterno, fino all'inchiesta sui manager Atac, Trambus, Metro spa, una serie impressionante di scandali piccoli e grandi, milionari oppure soltanto patetici, che hanno macchiato manager e consiglieri comunali, assessori e consulenti vicini alla giunta o gravitanti comunque nell'orbita del sindaco.

Amici di gioventù, ex camerati, finanziatori della sua fondazione. Alemanno sostiene che si tratta in gran parte di un polverone, di un tiro al piccione del sistema dei media contro di lui, di alcuni casi ingigantiti ad arte dagli avversari. E tuttavia la percezione di un sistema ha fatto breccia nei cittadini. E si è unito al risentimento verso un'amministrazione che, in tempi di crisi, non ha potuto fare molto altro che tagliare. E tagliare ancora.

«All'origine di quello che è successo in queste elezioni - riflette Alemanno - c'è un problema che riguarda la natura del Pdl, troppo fondato su un modello individualista. È un modello anzitutto culturale che, in tempi di vacche grasse, può anche andar bene. Ma in tempi di crisi non attrae. Si dimostra inadeguato di fronte all'angoscia delle persone. La riflessione che dobbiamo fare è se non serva immaginare un modello più inclusivo, un tempo noi dicevamo "comunitario". Bisogna tornare lì».

E il centrosinistra questa caratteristica l'ha saputa mantenere? Il sindaco uscente ammette che, almeno sul piano dell'immagine, il centrodestra ha qualcosa da imparare. «Il problema è il tipo di politica che offriamo agli elettori, l'immagine che sappiamo dare. Siamo ormai in una fase di pauperismo della politica. E l'immagine di questi candidati sindaci in bicicletta, così lontana dallo stereotipo che circonda i candidati del centrodestra, funziona di più».

Alemanno viene risucchiato dagli abbracci dei militanti. Molti hanno le lacrime agli occhi. Solo Augello, rispolverando un ricordo della guerra di Spagna, conserva la consueta ironia: «Siamo qui nella fortezza dell'Alcazar, circondati dalle forze repubblicane, mentre i nostri valorosi cadetti sparano dalle finestre ». Allora però arrivarono i rinforzi di Franco.

 

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