donald trump nancy pelosi

UN APPLAUSO PELOSI - L'UNICA COSA CHE FA NOTIZIA DELLO STATO DELL'UNIONE È LA MANINA DELLA SPEAKER - NON FATE LEGGERE AL CORRISPONDENTE DEL ''CORRIERE'' A WASHINGTON QUELLO CHE SCRIVE IL CORRISPONDENTE DEL ''CORRIERE'' A PECHINO: ''TUTTI SEMBRANO DIMENTICARE CHE LA «PAZIENZA STRATEGICA» DI OBAMA, BUSH E CLINTON HA SOLO OSSERVATO L'ASCESA DELLA POTENZA NUCLEARE NORDCOREANA. E ORA È UN FATTO CHE DA 15 MESI NON PARTONO MISSILI E INVECE ARRIVANO LETTERE DI BUONE INTENZIONI

 

 

 

1. TRUMP ANNUNCIA IL «BIS» CON KIM IN VIETNAM

Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera

 

Il giorno dopo il «discorso sullo stato dell' Unione» di Donald Trump si discute sugli applausi della Speaker Nancy Pelosi: autentici o sarcastici? Sulla performance delle neo parlamentari democratiche, vestite di bianco come le suffragette e protagoniste di una scena da gita scolastica.

 

C' è poco o nulla da registrare, invece, sul piano politico.

L' unica notizia è l' annuncio del secondo vertice tra il presidente americano e il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un: si farà in Vietnam il 27 e il 28 febbraio.

 

I consiglieri di Trump hanno costruito con abilità il testo del messaggio e anche la scenografia: gli ospiti in tribuna, alla fine, hanno dato spessore alla serata. Hanno commosso tutti il sopravvissuto del campo di concentramento di Dachau, Joshua Kaufman, seduto accanto a Herman Zeitchik, uno dei soldati americani che lo hanno liberato. Oppure Grace Eline, la bambina di 10 anni colpita da un tumore al cervello. È guarita lo scorso autunno, nel frattempo ha raccolto 40 mila dollari da destinare alla ricerca.

L APPLAUSO DI NANCY PELOSI A DONALD TRUMP

 

Trump ha incartato il discorso con storie di questo tipo, con ripetuti appelli all' unità, con richiami al patriottismo.

Alla fine ha raccolto 84 applausi da senatori e deputati riuniti in seduta comune. Anche la maggioranza del pubblico televisivo ha gradito: il 66% secondo un sondaggio della Cbs; il 59% stando alla rilevazione della Cnn.

 

Eppure quando è arrivato al dunque il presidente non ha offerto nulla di nuovo ai democratici su immigrazione e sicurezza: la materia di scontro che rischia di innescare un altro shutdown , la paralisi dell' amministrazione, il prossimo 15 febbraio.

«Io il Muro lo costruirò», ha annunciato Trump. In cambio propone: «assistenza umanitaria, rinforzi per la polizia di frontiera, contrasto al traffico di droga e di essere umani». Le stesse cose di un mese fa. Sono cambiati solo i toni: troppo poco, anzi nulla hanno risposto ieri Nancy Pelosi e il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer.

 

C' era molta attesa per il confronto diretto tra Trump e la Speaker della Camera. Pelosi si è unita agli applausi molte volte. Ma il suo atteggiamento ha suscitato tanti commenti. Per esempio quando ha proteso le braccia per battere le mani all' indirizzo di Trump che aveva appena finito di dire che i partiti devono lavorare insieme, mettendo da parte la logica della rappresaglia. Consenso sincero o sofisticata ironia? È una domanda che ha appassionato la Rete, ma che probabilmente verrà superata dai fatti nei prossimi giorni.

 

Trump dice ai democratici: datemi il Muro, facciamo insieme le infrastrutture e non speculate sulle «indagini faziose e ridicole», cioè il Russiagate, l' inchiesta sull' ipotesi di collusione tra il comitato elettorale dell' allora costruttore newyorkese e il Cremlino. Qual è la risposta strategica dei progressisti?

 

donald trump nancy pelosi

A questo punto a Pelosi non basterà alzare gli occhi al cielo, come ha fatto ieri, mentre il presidente alludeva agli accertamenti del super procuratore Robert Mueller. E ai parlamentari democratici non sarà sufficiente la goliardia messa in scena dalla deputata Rashida Tlaib che l' altra sera è scattata in piedi gridando: «È vero io ho trovato un nuovo lavoro, qui al Congresso», mentre Trump diceva: «Nessuno ha beneficiato più delle donne della nostra ripresa economica. Le donne hanno ottenuto il 58% dei nuovi posti di lavoro creati nell' ultimo anno».

 

 

2. NUCLEARE E DAZI - IL NEGOZIATORE DONALD HA MENO DI UN MESE

Guido Santevecchi per il ''Corriere della Sera''

 

 

KIM TRUMP

 Era un anno fa: nel discorso sullo stato dell' Unione Donald Trump definiva «depravato» il regime nordcoreano e diceva al Congresso che i suoi missili nucleari avrebbero presto minacciato il territorio degli Stati Uniti. Ora invece siamo all' appuntamento con Kim Jong-un in Vietnam il 27 e 28 febbraio per il secondo round (pacifico) dopo il primo vertice di Singapore. Il presidente ha scelto nuovamente la sala del Congresso per l' annuncio, rivendicando il successo della sua linea: «Se non fossi stato eletto io, ora saremmo in una grande guerra con la Nord Corea, milioni di persone uccise, invece da 15 mesi nessun test nucleare e missilistico. Molto lavoro resta da fare ma la mia relazione con Kim Jong-un è buona».

 

Ogni frase, ogni tweet di @realDonaldTrump vengono sezionati dagli artisti del «fact-checking», i quali subito sostengono che non esistono prove che con un presidente diverso ci sarebbe stata la guerra. Ma tutti sembrano dimenticare che la «pazienza strategica» di Obama, di Bush e di Clinton ha solo osservato l' ascesa della potenza nucleare nordcoreana. E ora è un fatto che da 15 mesi da Pyongyang non partono missili e invece arrivano lettere di buone intenzioni (tutte da verificare, certo).

donald trump e kim jong un 10

 

Però le agenzie di intelligence degli Stati Uniti a fine gennaio hanno presentato il loro rapporto sulle «Minacce mondiali»: la loro valutazione è che la Nord Corea non intende rinunciare alle sue armi nucleari perché le ritiene essenziali alla sopravvivenza del regime (e del suo leader Kim). I sospetti sono rafforzati da un rapporto dell' Onu secondo il quale i nordcoreani stanno occultando e disperdendo le loro capacità missilistiche e nucleari in impianti civili per evitare attacchi americani.

 

Ma Trump va avanti con la sua strategia. E subito dopo il vertice con Kim, a Pechino ci si aspetta che Trump incontri Xi Jinping, per chiudere la partita commerciale e seppellire l' ascia della guerra dei dazi.

 

L' inviato della Casa Bianca, Stephen Biegun, ieri è andato a Pyongyang per discutere l' agenda del vertice. Nei giorni scorsi Biegun ha detto tre cose importanti. 1) Trump è pronto a dichiarare la fine della Guerra di Corea, ferma dal 1953 su un cessate il fuoco; 2) Kim ha promesso di smantellare tutti gli impianti per l' arricchimento di uranio e plutonio, componenti indispensabili per la costruzione di nuovi ordigni nucleari; 3) La denuclearizzazione completa va ancora definita e discussa, può attendere, e nel frattempo gli Stati Uniti concederanno qualche cosa alla Nord Corea, per tenerla al tavolo negoziale.

donald trump e kim jong un 1

 

Il negoziatore di Trump promette che «gli Stati Uniti non cercheranno di rovesciare il regime», stanno cercando di costruire un quadro di fiducia e la dichiarazione di fine della guerra servirebbe a questo. Ma resta aperto il finale di partita, quella «Completa verificabile, irreversibile denuclearizzazione» che era l' obiettivo iniziale.

 

Fino a quel momento resteranno le sanzioni, ripete Trump. Però fa aggiungere al suo inviato: «Non abbiamo nemmeno affermato che non faremo niente fino a quando loro non faranno tutto». Si parla di un «pacchetto economico miliardario» per invogliare Kim a fare passi specifici per lo smantellamento del programma di armi nucleari.

Lo scenario del Vietnam, che cresce all' ombra dell' amicizia americana, potrebbe illuminare il Maresciallo.

 

Al momento dunque Trump sarebbe soddisfatto di ottenere l' impegno allo smantellamento degli impianti di arricchimento di plutonio e uranio. Sarebbe già uno sviluppo notevole, perché implicherebbe l' apertura della Nord Corea a ispezioni internazionali.

 

kim jong un e donald trump 7

Trump pensa anche a un «big deal» con la Cina «che si farà quando incontrerò il mio amico Xi». Ieri ha ripetuto di avere «grande rispetto per Xi», ma di volere azioni concrete nel campo dei commerci ma anche della protezione della proprietà intellettuale (americana). Tutto entro il 2 marzo, perché in mancanza di intesa quel giorno scatterebbero nuovi dazi su 250 miliardi di dollari di prodotti cinesi. Tre settimane per due «grandi accordi».

 

 

 

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