UN TRENO CHIAMATO DESIDERIO (DI VIOLENZA) - LA BATTAGLIA NO TAV DIVENTATA PALESTRA DI GUERRIGLIA PER GLI ANARCHICI

Lirio Abbate e Tommaso Cerno per L'Espresso

C'è una nuova data segnata in rosso sul calendario No Tav. È il 16 settembre, il giorno in cui la talpa meccanica è stata messa in funzione. Scaverà il tunnel di 7 chilometri in Val Clarea e i No Tav non hanno potuto fermarla. Non ci sono riusciti. Eppure per loro quello è il "mostro d'acciaio", il nemico numero uno. Il segnale che lo Stato fa sul serio, e che quel treno prima o poi taglierà in due la loro vallata. Hanno fatto assemblee, comitati, incontri. Ma anche blitz, assalti alle reti, molotov e lacrimogeni. Mesi di discussioni e di preparativi, mesi di agguati notturni nei boschi.

Con il solo obiettivo di impedire a quella fresa gigante di penetrare nella loro montagna. E invece no. La talpa scava. Divora tonnellate di roccia. Senza mai dormire. E così, la lunga lotta del movimento No Tav dovrebbe finire qui, se fosse un film ci sarebbero i titoli di coda.

Certo senza entusiasmo, certo con rassegnazione. Invece fra Bussoleno e Susa, passando per Condove e Ramat, l'aria che tira è diversa. Perché dentro il magma variegato di quel popolo in guerra contro lo Stato, fatto di vecchi e bambini, di no global e anarchici, c'è una linea rossa che, lentamente, li ha divisi. E una domanda: cosa sta davvero succedendo in Val di Susa?

RISCHIO EVERSIONE
C'è una prima ipotesi. Viene dalla Procura di Torino. Sotto la Mole, è stato creato un pool di magistrati, dopo che alle manifestazioni del popolo No Tav, dal 2005 in poi, si sono sostituiti gli scontri. Roba che sembrava organizzata meglio, da una mano più esperta. Adesso i magistrati guidati da Gian Carlo Caselli hanno alzato il tiro. Si procede per «attentato per finalità terroristiche e di eversione».

Con la convinzione di inquirenti e investigatori che, dopo indagini, controlli, intercettazioni, il tunnel dell'Alta velocità in Val di Susa sia ormai diventato solo un pretesto. E serva a mettere in scena azioni, che i pm definiscono «micidiali», che riportano alla mente gli anni di piombo. Così come scrivono nei provvedimenti di arresto, quasi un centinaio, solo nell'ultimo anno. Tra questi sono finiti in carcere figli di magistrati e politici locali. Lo scenario di questa strana guerra è una vallata alle porte di Torino.

Pochi ettari di bosco, arrampicati sulla Maddalena, che sembrano essere diventati un laboratorio di guerriglia urbana. Quasi una palestra, secondo la Procura, nella quale «professionisti della violenza» agiscono indisturbati. Mentre il popolo No Tav continua la sua battaglia silenziosa, senza però prendere le distanze dai gruppi anarchici. Gente che sale in valle da mezza Italia, in gran parte da Milano, Trieste, Bologna, Firenze, ma anche dalla Calabria e dalla Sicilia. Altri dall'estero, e non solo dall'Europa: Spagna, Francia, Russia ma anche Brasile.

OBIETTIVO ANARCHICO
Non ipotesi, ma verifiche della Digos che ha identificato decine di anarchici. Per un'ottantina di loro è stato firmato un foglio di via e gli agenti li hanno accompagnati alla frontiera perchè indesiderati. E già con precedenti specifici nei loro paesi. Si trovavano in Val di Susa come se partecipassero a un corso di formazione. Uniti da un progetto: usare quel cantiere, divenuto simbolo di una lotta, come obiettivo per sperimentare la guerriglia urbana.

I magistrati sono i primi a fare una distinzione. Una cosa è il movimento No Tav, nato nel 1991 per difendere la Val di Susa dal treno d'acciaio. Gente comune, che negli anni ha animato una protesta di stampo "ambientalista". Una protesta dai toni anche aspri, ma sempre confinata nell'alveo della democrazia. Altra cosa i No Tav di ultima generazione.

Da quanto emerge dalle inchieste e dalle intercettazioni, non rimane molto di quel vecchio ideale. Nei blitz violenti e negli attacchi alle forze dell'ordine che presidiano il cantiere investigatori e magistrati vedono dell'altro. Emerge dalle inchieste coordinate da Caselli, dall'aggiunto Sandro Ausiello e dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo. Il cantiere della Clarea è diventato il palazzo d'inverno che autonomi e anarchici insurrezionalisti devono conquistare «come obiettivo politico da raggiungere per poter poi crescere e maturare e dilagare con questi metodi di lotta sperimentati in valle», confermano in ambienti giudiziari.

Un salto di qualità, insomma. Forse non ancora del tutto pianificato. Ma nell'aria. Possibile. Ipotizzabile. Tanto che a una decina di antagonisti valligiani, così come ad esponenti dell'autonomia torinese, legati al centro sociale "Askatasuna" sono stati consegnati avvisi di garanzia. Con accuse pesanti: attentato per finalità terroristiche o di eversione. Alcuni sono indagati per aver partecipato ad uno degli ultimi attacchi al cantiere Tav il 10 luglio scorso: una trentina di incappucciati hanno lanciato razzi, petardi e molotov contro poliziotti e carabinieri. Un attacco, secondo gli inquirenti, «particolarmente violento», ed eseguito con «stile paramilitare».

SPACCATURA NO TAV
Parole di Procura, nel gergo burocratico di chi insegue crimini e delinquenti. Quattordici episodi negli ultimi cento giorni. Mezzi, camion, apparecchiature danneggiate. Tutte legate a doppio filo con il cantiere della Tav. Parole difficili da tradurre con il dizionario dei No Tav.

E questo perché a Susa il movimento è come l'acqua di un fiume che tracima. La linea rossa che divide i buoni dai cattivi non esiste per questa gente. "L'Espresso" ha parlato con uno dei leader del movimento. Uno che in Clarea sta sempre in prima linea. E che tiene i ponti anche con i gruppi di Torino e Milano. Ma anche con la Grecia. «Qui», dice, «la convinzione è che lo Stato faccia tutto da solo: la guerra alla valle e la guerra allo Stato».

Passa pure una signora di 80 anni, una che quando vede i black bloc, grida «arrivano i nostri». Non farebbe male a una mosca. Né sa cosa significhi la parola "eversione". Quel che interessa a lei, è che quando è caduta durante gli scontri a Venaus è finita a camminare con le stampelle. «Ma nessuno ha parlato di violenza. La violenza c'è solo quando possono accusare noi». Non ci credono, insomma, non la massa almeno. Eppure, se ti sposti verso il nucleo dei No Tav, l'aria che tira è più pesante.

Quel che sanno qui è che c'è un fronte anarchico che si è scaldato. E diviso. «Gente di Rovereto e di Firenze, da là vengono. Alcuni si sono trasferiti qui. Altri li hanno già cacciati via». Sanno pure che c'è qualcuno che «fa le prove di insurrezionalismo per conto dei No Tav», continua. E sanno pure che c'è un altro fiore all'occhiello dei No Tav che non funziona più. Il campeggio in Clarea, quelle tende accampate a proteggere, come un abbraccio, la valle tagliata in due dal grande cantiere.

Un tempo era luogo di lotta silenziosa, oggi è terreno fertile per no global e black bloc. Molti giovani della valle già questa estate hanno dato forfait. «Altri non hanno capito che erano cambiate le regole del gioco. E si sono messi a giocare alla guerra con i petardi sotto le telecamere della polizia. Così ci siamo andati di mezzo tutti. E lo sappiamo bene. Solo che abbiamo deciso di non badare a questo, perché il rischio vero è che lo Stato ci monti addosso. C'è gente che sta cercando di tenere unito il movimento e di raffreddare gli animi di quei pochi, e sono pochi, che vogliono fare cose sbagliate».

IL SABOTAGGIO
Ecco che la grande talpa non è solo uno scavatore d'acciaio. È molto di più per la Val di Susa. Il simbolo che lo Stato ha vinto una battaglia. E così le mega-assemblee della Val di Susa si vanno via via riducendo. «Troppo pericoloso, troppo strumentalizzabile», ripete uno dei leader valsusini. «Meglio fare piccole riunioni nei paesi e poi coordinarsi».

Anche perché l'ultima volta la parola "sabotaggio" è stata usata. Pronunciata a voce alta, da chi crede che la strada da seguire sia quella di fermare, con la forza, imprese e operai del cantiere maledetto. «Il sabotaggio esiste da quando esiste la modernità. Cos'erano le proteste nelle catene di montaggio, se non sabotaggi?

Il discorso è un altro: noi siamo favorevoli, ma nessuno si deve fare male. E finora è stato così», aggiunge. «La polizia elenca sempre un gran numero di feriti, ma chi è presente a quegli scontri sa bene che nessuno s'è fatto male davvero fra le forze dell'ordine. Anche perché noi tiriamo petardi in aria, e loro parlano di armi da guerra, mentre i poliziotti tirano i lacrimogeni ad altezza uomo».

I feriti, insomma, sarebbero da contare solo fra le loro file. Così come le vittime delle azioni di sabotaggio più gravi. «Delle nostre auto in fiamme, delle minacce, del mobbing sul posto di lavoro, delle denunce contro i No Tav non parla mai nessuno. Eppure le abbiamo presentate tutte in Procura. Ma non appena qualcuno denuncia un'azione contro l'alta velocità, subito veniamo accusati».

E quelle accuse risuonano in tutta la valle. Qui a Susa, dove essere No Tav non vuol dire tifare contro il treno, ma avere scelto un modello di vita comune: qui ci si sposa dentro i presidi No Tav, qui amici d'infanzia hanno smesso di parlarsi per colpa di quel treno. Qui, dove negli anni Settanta gli operai incrociarono le braccia contro le armi prodotte alla Moncenisio. Qui dove nacque il movimento pacifista. Qui dove ormai non si parla più di traffico merci o di linee ferroviarie. A guidarli quarant'anni fa c'era Achille Croce, classe '35, nativo di Condove, il Gandhi della valle.

OSPITI DESIDERATI
Diversa la realtà del cantiere. A poca distanza da Chiomonte ne è stato aperto un altro per realizzare il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus. Una talpa, del tutto simile a quella del tunnel ferroviario in Clarea, ha già scavato quasi tutti i 12 chilometri di galleria. Qui, però, non c'è guerriglia. Tutto si svolge senza opposizione. Come mai la protesta dei No Tav non si è spostata anche alle pendici del Frejus?

Secondo molti, anche fra gli investigatori, il movimento No Tav della prima ora è ormai decimato. Non in numero, ma in partecipazione effettiva. È in minoranza rispetto ai violenti, almeno come percezione collettiva. Un elemento che lascerebbe pensare a una netta presa di distanze dei comitati di base, di fronte ad azioni violente. Presa di distanze che, finora, non c'è mai stata.

Anzi, il numero degli "invitati" alle manifestazioni - da altre città, o altri Paesi - è in continuo aumento. Con un effetto di trascinamento che ha portato, in alcuni casi, ad «adottare» e «identificarsi» proprio nelle frange estreme, con slogan gridati e cartelli esibiti: «Siamo tutti black bloc, siamo tutti terroristi...». Non solo. Dopo gli scontri, gli arrestati spesso invocano il silenzio. E sostengono tesi, in tutto simili - secondo la Procura - alle affermazioni dei brigatisti degli anni Settanta: «La lotta armata non si processa, la rivoluzione non si condanna».

Intanto, fuori dai libri di storia, restano le elezioni di primavera. Si vota a Susa, si vota a Bussoleno, si vota a Chiomonte. E sono le prime comunali con il cantiere della Tav aperto. Prima il treno veloce era un'ombra che si allungava sulla valle, adesso è lì davanti a loro. Qui ripetono tutti che il pallino ce l'ha in mano Beppe Grillo, che in questi paesi alle ultime politiche ha fatto il pieno, sfiorando il 50 per cento.

Se il Movimento 5 stelle (che ha presentato un'interrogazione in Parlamento accusando la Procura di Torino ma il ministro Anna Maria Cancellieri ha ribadito: «L'operato della Procura è stato sempre legittimo») andrà da solo, il rischio è che vincano i sindaci favorevoli alla Tav. Se, invece, farà quadrato con gli altri, i No Tav avranno vittoria facile. «Cambierebbero molte cose, anche nel rapporto fra i No Tav e le azioni di lotta. È ovvio che se le amministrazioni saranno favorevoli al cantiere, sarà più difficile controllare le teste calde».

 

 

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