BEPPUZZO E LA “DECRESCITA” FELICE DEL M5S: IL CALO NEI SONDAGGI E L’ADDIO ALLE “MELE MARCE”

Ja. Ia. Per "la Stampa"

Cos'hanno intenzione di fare in questa fase Grillo e il Movimento cinque stelle? E come vivono un passaggio in cui sembrano messi all'angolo dal sistema?
Se si sta ai sondaggi (e alla vulgata), dopo la non alleanza col Pd e le sparate di Grillo, il Movimento è sceso a una cifra intorno al 18 per cento (c'è chi dice poco più, chi dice leggermente meno), insomma, qualcosa di lontano dal quasi incredibile 25,5 delle politiche, anche se tuttora notevole.

Ma è un presupposto che non spiega nulla, perché Grillo e il cervello del Movimento considerano questi numeri puri «sondaggi di regime», al servizio di una narrazione costruita ad arte. In sostanza, non c'è nessuna ansia, né a Milano tanto meno a Genova, per numeri del genere.

Loro credono ai sondaggi esattamente quanto credono ai partiti, ai giornali, e a moltissimi giornalisti: zero. E comunque, prendendoli per veri, il M5s, dato nel novembre del 2011 - dalle stime più favorevoli - al 5 per cento, è poi salito di venti punti in un anno e mezzo di governo Monti, per poi perderne circa sette: al netto resterebbe una forza impressionante. Ma per fare cosa? Questo è il punto.

Innanzitutto, bloccare tutto ciò che non va in Parlamento. Grillo certo ammette «abbiamo fatto molti errori», la clamorosa sottovalutazione della forza di resistenza del sistema politica-tv è stato il più lampante. Tra l'altro, nel libro scritto con Fo e Casaleggio per Chiarelettere due mesi prima del voto, i due fondatori dei cinque stelle ragionavano su una dimensione di «ottanta-cento parlamentari».

Ne sono invece arrivati 163, ora scesi a 156, e è probabile che qualche altra uscita sia in arrivo. Espulsioni? Uscite volontarie? Per quanto possa sembrare paradossale, per Grillo e il suo staff non fa tanta differenza. Alcuni degli eletti sono apparsi subito estranei alla visione del M5s, i parlamentari più radicali non esitano a chiamarli «mele marce», dunque - anche mettendo nel conto di passare come dittatori - a Milano e a Genova preferiscono non averli dentro, «evitiamo il logoramento continuo». Il primo punto per contrattaccare è proprio «dimagrire»: più snelli ma più compatti, ritengono, avranno sicuramente risultati migliori.

Il secondo punto per ribaltare un po' l'accerchiamento - il fatto che indubbiamente si sia bruciato un piccolo patrimonio di aperture che erano arrivate anche da settori della società non tradizionalmente «cinque stelle» - è mostrare la propria «diversità morale». Formula che qualcosa richiama, alla mente. Giovedì è stato fissato il Restitution day, l'annuncio del primo milione e mezzo di euro restituito dai parlamentari. Grillo non ci sarà.

Ma è il terzo tassello il più importante, uscire dall'angolo in Parlamento. In questa ottica va vista la richiesta di un incontro con Napolitano (ne parliamo qui sopra), e le proposte di legge. Per esempio quella per abbattere l'Irap, presentata in queste ore. «Siamo gli unici controllori», dicono.

Ma devono muoversi con un po' di imprevedibilità, essere meno schematici. Usare la fionda, visto che non hanno i cannoni. A proposito della Santanchè, da Milano non hanno mai considerato l'idea di votare per la vicepresidenza della Camera Roberto Marcon. Gli spiragli mostrati a Sel alla Camera hanno più il sapore della tattica, per provare a stanare il Pd. Ora è normale che spieghino che voteranno fino in fondo il loro candidato, Francesca Businarolo.

 

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