DIPARTITO DEMOCRATICO - RENZI MINACCIA LA MINORANZA INTERNA: “BERSANI E BINDI PUNTANO SOLO A RIPRENDERSI IL PARTITO MA SE TIRANO LA CORDA SULL’ART.18 USERÒ L’ARMA DEL DECRETO LEGGE” - CULATELLO BOMBARDA: “NESSUN PATTO COL CAV SUL LAVORO, IL PREMIER MI RISPETTI. GOVERNA COL MIO 25%”
Rosaria Amato e Goffredo De Marchis per “La Repubblica”
«Così non ci sono le condizioni per mediare. Andiamo in direzione e ci contiamo. E se tirano ancora la corda, userò l’arma del decreto legge». Da New York Matteo Renzi si informa sulle riunioni delle minoranze con i suoi a Roma. Quello che considera un vero gesto di sfida, «praticamente la nascita di un partitino parallelo », è il numero delle firme sotto gli emendamenti presentati al Senato per difendere l’articolo 18.
«Quaranta senatori? Significa che non vogliono mediare. Pensano di costringerci a chiedere i voti di Forza Italia, provocando la crisi di governo. Bersani e Bindi non guardano all’articolo 18, puntano a riprendersi il partito. Ma si sbagliano».
Non è la giornata giusta per avviare una trattativa fra le anime del partito. Si ferma persino il vicesegretario Lorenzo Guerini che pure non ha mai smesso di parlare con tutti: «Spero che in quel campo prevalgano le posizioni di Speranza, Epifani, Maurizio Martina». Cioè, che mettano in un angolo i frondisti più scatenati dei quali, a Largo del Nazareno, Bersani viene considerato il capo. In effetti, l’ex segretario non sembra disponibile al compromesso, neanche dopo le parole di Napolitano.
«Un patto con Berlusconi sul lavoro? Ma non esiste, non ha ragione d’essere né numerica né politica. Io non voglio il partito unico destra-sinistra. Renzi stia più sereno, sul serio. E parli col suo partito». Dice di più, l’ex segretario, ancora scottato dalla lettera di Renzi agli iscritti in cui lo si additava come un cacciatore di rivincite: «Renzi governa con il mio 25 per cento. Dovrebbe avere più rispetto».
I dirigenti più vicini al premier sono altrettanto scatenati: «È tornata alla carica l’alleanza dei perdenti. Il primo effetto? Il Pd perde qualcosa nei sondaggi. È più forte di loro, adorano perdere», scrive in un tweet il tesoriere Francesco Bonifazi. Renzi, giurano a Palazzo Chigi, non l’ha fatto ma avrebbe volentieri retwittato, ossia condiviso il giudizio. «Non accettiamo veti», avverte Debora Serracchiani. I toni sono quelli dello scontro finale.
Anche perché la riunione delle minoranze di ieri sancisce un tentativo di darsi un coordinamento, di mettere insieme le forze per raggiungere percentuali vicine al 35-40 per cento. Invece l’assemblea notturna dei bersaniani, orientata dai mediatori, vira verso il dialogo. Restano i sette emendamenti al Jobs Act, che ne cambiano profondamente la portata.
Non solo si recede sull’abolizione di fatto dell’art.18, visto che il “nuovo” art.4 del ddl parla di «pieno godimento» delle tutele del contratto a tempo indeterminato «vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge» a partire «dal quarto anno di assunzione». Ma si attenua anche la possibilità di controllo a distanza, che diventa «sugli impianti», e dunque non più sui lavoratori. Anche sul demansionamento c’è una parziale marcia indietro, e si introduce inoltre una nuova disposizione che impegna il governo a «promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma privilegiata di contratto».
Guerini e Epifani
francesco bonifazi