FERMARE L’ILLUSIONISTA FIORENTINO – LETTA, BERSANI E CHITI FANNO PRESSING PER SPINGERE RENZI A RIVEDERE LA RIFORMA DI PALAZZO MADAMA: “QUELLA ROBA VA BENE IN SUDAMERICA” - E I BERLUSCONES SIA TTACCANO AL PD: “ELEGGIAMO I SENATORI”

1. MINORANZA PD IN TRINCEA - BERSANI: ‘QUELLA ROBA VA BENE IN SUD AMERICA'
Alberto Custodero per ‘La Repubblica'

Il ddl di Vannino Chiti per un Senato elettivo, sostenuto da 22 senatori democratici, e le «modifiche» richieste dall'ex segretario Bersani, dividono il Pd. Dal premier, però, arriva il richiamo alla minoranza interna: «Al di là di qualche senatore in cerca di visibilità che nei fatti prova a oscurare il lavoro di tantissimi uomini e donne del Pd, il partito ha discusso queste cose per anni. E le proposte sono state votate più volte». Il segretario-premier apre a «modifiche» ed è «pronto a migliorare». Ma poi fissa i paletti irrinunciabili della sua «idea di Stato» che ispira la riforma costituzionale.

«Lo Stato dovrà essere più leggero». «Chi fa politica non la fa per sempre. Non la fa per prendere super stipendi. Ma la fa per servizio». Renzi si dice «ottimista di portare a casa il risultato». Se l'intenzione di Renzi è di blindare la riforma - unico modo per incassare l'ok del Senato prima delle elezioni europee - Bersani insiste nel chiedere «modifiche».

Secondo l'ex segretario, quello che va aggiustato nel pacchetto riforma del Senato-legge elettorale sono i «contrappesi» necessari e che, al momento, mancano. Bersani, inoltre, è critico sui tempi. «Va benissimo essere rapidi e chiudere entro il 25 maggio - ammonisce l'ex segretario - ma non sbrigativi. Altrimenti si fanno solo pasticci. Prima occorre fare degli aggiustamenti».

La falla nello schieramento del partito di maggioranza relativa si apre proprio all'indomani dell'autaut di Renzi a Berlusconi: o ci stai a fare le riforme con noi, o io vado avanti lo stesso. Ma non è solo il Pd a preoccupare Renzi: il forzista Paolo Romani rilancia l'elezione diretta dei senatori mentre Giovanni Toti, consigliere politico di Fi, chiude alle intese con i M5S: «Non credo che faremo maggioranze parallele sulle riforme con pezzi del Pd e dei grillini. C'è un patto, andiamo avanti con serietà».

È lo stesso Renzi a chiudere all'accordo coi grillini. «I Cinque Stelle mi sorprendono - ha detto il premier - avevo capito che erano nati per altro non per difendere i senatori». L'iter, intanto, va avanti. Il progetto di riforma passa dal Quirinale, viene girato al Senato («senza correzioni», sottolinea attento alle polemiche il Quirinale), quindi prontamente passa alla Prima commissione, la Affari Costituzionali.

2. BERSANI ATTACCA ANCHE L'ITALICUM
Goffredo De Marchis per ‘La Repubblica'

È una tregua quella che Pier Luigi Bersani propone a Matteo Renzi: spazzare via il disegno di legge firmato da Chiti sulla riforma del Senato ottenendo in cambio dal governo l'apertura su un «profondo pacchetto di emendamenti». L'ex segretario non sembra disposto a seguire quella parte (minoritaria) del suo partito sulla strada del sabotaggio all'esecutivo, alle riforme e in buona sostanza al Pd che sulle modifiche costituzionali si gioca una buona fetta del successo alle Europee.

«Capisco che Matteo voglia mettere una bandierina in vista del 25 maggio... «, dice Bersani. È in fondo una concessione al premier per un primo voto favorevole a un pilastro dell'azione dell'esecutivo. Senza offrire una vittoria simbolica al Movimento 5stelle e agli irrequieti di Forza Italia. Poi, però, il Pd, con le sue varie componenti, proverà a lanciare la battaglia degli emendamenti. Anche correndo il rischio che dopo l'elezioni dell'Europarlamento, Renzi sia molto più forte di oggi, aiutato da un buon risultato
del Pd.

A Bersani il testo preparato da Maria Elena Boschi non piace affatto. Come non piace l'-Italicum. Ne ha parlato con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante un incontro che si è tenuto ieri al Quirinale.

«La combinazione delle due riforme, della legge elettorale e della Costituzione, crea un sistema antidemocratico». Sono parole ultimative ma lo resa dei conti appare rinviata a dopo il 25 maggio. Il tono e i contenuti del discorso dell'ex segretario sono durissimi. «L'Italicum è un sistema pericoloso, che si presta alla peggiore corruzione. Si può arrivare al premio di maggioranza con un partito che prende il 25 per cento e dieci partitini dell'1 che non eleggono nemmeno un deputato. Dieci liste così te le metto in piedi in mezza giornata.

Come li ripaghiamo quei partitini? Promettendogli quali posti di sottogoverno? È un sistema davvero velenoso che si realizza per di più senza finanziamento pubblico dove chi ha i soldi può fare il bello e il cattivo tempo. Prevedo solo disastri».

Per questo il consiglio a Renzi è mediare, prendersi il tempo giusto. «Abbiamo fatto tanti pasticci con una frettolosa riforma del titolo V, tanti anni fa. Dev'essere una lezione, altrimenti lo Stato che disegna il premier tra cinque anni collasserà di nuovo», pronostica Bersani. L'abolizione del vecchio Senato ha altri difetti. «Può andare bene una Camera non elettiva ma i contrappesi sono necessari. Sui criteri di nomina dei senatori vedo solo confusione. Si finisce per alimentare un circolo vizioso, un meccanismo su cui l'antipolitica salterà sopra: nominiamo tutti, il capo dello Stato, la Corte costituzionale, il Csm. Così andiamo dritti in Sudamerica».

Però Bersani si rende conto di cosa significa inseguire adesso Grillo o peggio ancora Forza Italia, che un giorno rinnova il patto con Renzi e quello dopo pensa, come dice Paolo Romani, a unire le forze con la minoranza del Pd e 5stelle per far saltare le riforme e la maggioranza. Se Renzi deve rallentare, anche i dissidenti del Pd sono costretti a darsi una calmata. Se ne accorge anche Vannino Chiti. La minaccia di Romani è un campanello d'allarme. Il suo disegno di legge non ha i voti per fare molta strada. Può solo danneggiare Renzi.

«Non è questo il mio obiettivo - spiega Chiti con una nota - . Non voglio ostacolare nessuno, né il governo né le riforme, ma solo dare un contributo». Il contributo che Renzi chiede ai 22 firmatati del testo alternativo è il ritiro. Per non farsi strumentalizzare dai berlusconiani. E da una fronda interna del Pd che è più ristretta del gruppo che ha firmato. Chiti per il momento conferma il ddl. Ma in qualche modo si arriverà al ritiro. Ieri mattina l'assemblea dei senatori del Pd ha dimostrato che la maggioranza sta con Renzi. La prossima settimana il gruppo si riunirà di nuovo, voterà la strategia definitiva e Chiti finirà in evidente minoranza.

C'è quindi solo un'altra strada: la guerra degli emendamenti. Su questo Renzi non farà il muro contro muro. Fatti salvi i paletti della non elezione, dell'abolizione dell'indennità e della fine del bicameralismo perfetto, il provvedimento uscito dal ministero delle Riforme presenta ancora alcuni buchi neri: le competenze, i criteri di nomina, il peso dei vari enti locali. Se non si vuole finire in Sudamerica, il Pd può dare un contributo. Ma non rovinando la corsa di Renzi e del governo verso il 25 maggio.

 

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