UN SU-DARIO PER I TECNICI! - UN BOATO BIPARTISAN ACCOGLIE IN AULA IL “DISCORSO DELLA LIBERAZIONE” DI UN INGRILLITO DARIO FRANCESCHINI - “BASTA TECNICI, LA SOVRANITÀ APPARTIENE AL POPOLO E NON ALLE CANCELLERIE STRANIERE, AI MERCATI FINANZIARI! CON LE ELEZIONI FINIRÀ LA TRANSIZIONE E SARÀ UNA BELLA GIORNATA PER LA DEMOCRAZIA!” - IL CAPOGRUPPO PD SMENTISCE ANCHE NAPOLITANO E LA SUA PASSIONACCIA PER IL MONTI-BIS…

Antonello Caporale per il "Fatto quotidiano"

Basta con la rappresentazione dei tecnici bravi e dei politici somari!" (Applausi dall'emiciclo, vivi complimenti). "Con le elezioni finirà la transizione e sarà una bella giornata per la democrazia!" (applausi ripetuti). "Basta tecnici, la sovranità appartiene al popolo e non alle cancellerie straniere, ai mercati finanziari!". Un uragano, feste e abbracci, mani che si contorcono e volti che si illuminano e che soddisfazione, che bravo questo Franceschini.

Diamine se ci voleva! Una felicità tonda nei corpi dei deputati, il sapore al miele della penitenza conclusa e il piacere grasso di dirglielo in faccia a Mario Monti e ai suoi tecnici: tra poco andrete a casa. Grazie. È il discorso della liberazione dei partiti dai professori. Questo giovedì 22 novembre, giorno di santa Cecilia, è destinato ad essere ricordato per le baionette infilate nelle cravatte dei ministri dai quali hanno sofferto ogni mortificazione.

Ieri la giubilazione, e quella gioia di vedere finito il buio, sono sorrisi e non più lacrime. Il commiato è stata opera del Partito democratico che per bocca del suo capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, ha formalizzato il divorzio. Con una standing ovation Montecitorio manda così il governo tecnico fuori dai piedi. Al gran completo l'esecutivo ha assaggiato quel che gli aspetta: "La sovranità appartiene al popolo e non alle cancellerie straniere" ha detto Franceschini quando il fragore ha coperto le altre parole e i volti, distesi e sorridenti dei colleghi, lo hanno accompagnato nel Transatlantico. Parola al popolo, già.

Ma l'invito per la prima volta è risultato un bisticcio non formale con quello opposto che da Parigi, nello stesso giorno e quasi contemporaneamente , riversa su Roma il capo dello Stato. Mario Monti potrà rifare il premier ma non il candidato. Giorgio Napolitano si prende cura di sistemare fin nei dettagli il profilo e la futura carriera politica del Professore. Lo richiama a palazzo Chigi, annuncia il ritorno statuendo per lui però l'incandidabilità. È senatore a vita, "ha un ufficio a palazzo Giustiniani", non deve chiedere nulla a nessuno.

Si consuma così uno strappo sia politico che istituzionale. Per la prima volta il Partito democratico rifiuta il consiglio del presidente della Repubblica e anzi gli mostra il pugno.
La distanza si allarga al punto che la determinazione con cui Napolitano dispone per Monti e per l'Italia il futuro prossimo risulta indigesta, lontana, improvvisamente ostile al Pd, così tanto da doverlo dichiarare. È un conflitto nuovo, imprevisto e piuttosto spettacolare. Napolitano sfila letteralmente dalle mani di Montezemolo e Casini il nome di Monti, "come sapete è incandidabile", e formalizza per lui la destinazione.

Il Professore non si vota, si ama. Dopo le elezioni i partiti lo chiameranno al bis e indicheranno - secondo l'ipotesi tracciata da Napolitano - al nuovo capo dello Stato ("il mio successore") il suo nome per l'Italia. Il Partito democratico, sempre più coinvolto nella corsa alla leadership, sente come nemica questa possibilità.

E lo dice allontanando da sé l'idea che Monti possa essere nuovamente insignito delle stellette da generale di campo. Infatti Pier Luigi Bersani lo trasferisce al Quirinale: "Non ho puntato neanche un cent sull'ipotesi di un Monti bis, ma ora un cent lo punto sull'ipotesi che lui salga al Quirinale". Con un centesimo di euro inizia la guerra.

 

DARIO FRANCESCHINI MARIO MONTI E GIORGIO NAPOLITANOGIORGIO NAPOLITANO E MARIO MONTIpier luigi bersani

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