
LA BOMBA CONTRO RANUCCI FA ESPLODERE UN'ONDATA DI IPOCRISIA - LA MEMORIA CORTA DEI POLITICI DI DESTRA: FINO ALL'ALTRO GIORNO QUERELAVANO E RANDELLAVANO "REPORT" MA, ORA CHE IL CONDUTTORE E' STATO VITTIMA DI UN ATTENTATO, SI SONO RISCOPERTI GRANDI DIFENSORI DEI GIORNALISMO D'INCHIESTA - CON IL GOVERNO MELONI LA LIBERTÀ DI STAMPA GODE DI PESSIMA SALUTE (LA DUCETTA HA DETTO A TRUMP: "NON MI PIACE PARLARE CON I GIORNALISTI"): OLTRE A QUERELARE, L'ESECUTIVO DA' LA CACCIA ALLE FONTI DEI CRONISTI PRESENTANDO ESPOSTI IN PROCURA - E POI: PERCHÉ IL GOVERNO NON HA FATTO ANCORA CHIAREZZA SUI GIORNALISTI SPIATI?
Estratto dell’articolo di Stefano Iannaccone per "Domani"
SIGFRIDO RANUCCI A OTTO E MEZZO
Una delle fotografie della delegittimazione della destra nei confronti di Report e di Sigfrido Ranucci è agli atti al Senato, datata novembre 2023. A prova di smentita.
Il senatore di Forza Italia, Roberto Rosso, ha depositato un’interrogazione dal contenuto quantomeno singolare: sollecitare le indagini, a suo giudizio ferme, per le querele per diffamazione fatte contro il programma di inchiesta di Rai 3.
bomba distrugge le auto di sigfrido ranucci e della figlia 6
Nell’atto presentato a palazzo Madama, il parlamentare di FI chiedeva al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di «comprendere le ragioni della inerzia investigativa nonostante doglianze sovente introdotte da autorevoli personaggi con ruoli significativi nella vita del paese».
E da quella premessa ha chiesto successivamente al Guardasigilli di «disporre dei propri poteri ispettivi per accertare le ragioni che avrebbero determinato tale stato di cose da cui discenderebbe». Un senatore della maggioranza, insomma, si è preso la briga di sollecitare una velocizzazione del lavoro giudiziario contro Ranucci e Report.
Ed è solo un caso specifico tra i tanti. Perché la destra di Giorgia Meloni, che dopo l’esplosione dell’auto di Ranucci ha inneggiato all’unisono alla libertà di stampa, è la stessa parte politica che osteggia il giornalismo di inchiesta indipendente con vari modi. Compresa la caccia alle fonti dei cronisti autori di inchieste sgradite.
ROBERTO SAVIANO E SIGFRIDO RANUCCI A OTTO E MEZZO
Come funziona questo meccanismo? Al posto della querela per diffamazione (o a supporto della querela) viene presentato un esposto per chiedere alla magistratura di indagare su come i giornalisti abbiano ottenuto le informazioni per i loro articoli.
È il “metodo Crosetto”, inaugurato dal ministro della Difesa dopo che Domani aveva pubblicato alcuni scoop sulle sue consulenze (negli anni della presidenza dell’Aiad) con i colossi dell’industria della difesa pochi mesi prima di assumere l’incarico di governo.
giovanbattista fazzolari e giorgia meloni
Un racconto di potenziale conflitto di interessi, che ha provocato la reazione di Crosetto. Così è andato in procura, chiedendo ai pm di scoprire la genesi dell’inchiesta giornalistica.
Quello di Crosetto è poi diventato un modello, che ha fatto scuola nel governo. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, gran consigliere di Meloni, aveva infatti annunciato un esposto alla procura per sapere per quale motivo fossero stati pubblicati alcuni articoli sui rapporti con la società di lobby. Non era bastato riportare le posizioni dei diretti interessati, le precisazioni: l’obiettivo era la scoperta delle fonti attraverso la via giudiziaria.
Da palazzo Chigi anche il capo di gabinetto di Meloni, Gaetano Caputi, (sebbene non sia un esponente politico dell’esecutivo) ha seguito la stessa strada: ha chiesto ai magistrati di indagare sulle inchieste giornalistiche fatte da Domani, in cui venivano raccontati gli affari e del manager pubblico, oggi al fianco della presidente del Consiglio in un ruolo centrale.
FAZZOLARI DIRETTORE DEL TG1 - MEME BY IL GIORNALONE - LA STAMPA
Anzi rispetto a Crosetto e Fazzolari ha fatto un passo ulteriore: ha contestato l’uso di banche dati pubbliche per la realizzazione di inchieste giornalistiche. Ma non c’è solo il metodo della caccia alle fonti, che rappresenta solo la punta dell’iceberg dell’offensiva contro la stampa da parte dei meloniani. Le querele fioccano, talvolta anche verso testate “amiche”, come testimoniano il caso dell’azione legale avviata dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, contro il Tempo (con la precedente direzione di Davide Vecchi) e il Giornale.
La maggioranza, nel corso di questa legislatura, ha votato una norma-bavaglio (prendendo spunto da un emendamento del deputato Enrico Costa, prima di Azione ora di Forza Italia) che vieta la pubblicazione delle ordinanze cautelari, integrali o per estratto, fino al termine dell’udienza preliminare. […]
Dal punto di vista normativo, invece, è rimasta lettera morta qualsiasi ipotesi di riforma del reato di diffamazione. Un testo era stato incardinato al Senato, a prima firma del meloniano Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama.
Il contenuto, però, rischiava di peggiorare il quadro normativo, introducendo delle pesanti sanzioni pecuniarie per i giornalisti. E senza trattare la materia più delicata, quella delle querele temerarie, ampiamente praticate, per silenziare le voci dissonanti. Il confronto in parlamento si è quindi arenato, visto che l’intento di andare avanti in maniera bipartisan era complicato.
Al netto delle dichiarazioni di facciata, insomma, il governo Meloni non è destinato a passare alla storia come un modello di confronto con l’informazione libera. Gli attacchi alla stampa non si contano più. Del resto la premier è nota per evitare il confronto con i giornalisti.
MAURIZIO GASPARRI FIRMA DENUNCIA CONTRO SIGFRIDO RANUCCI